Il Principe autonomista

Il Principe autonomista LE REGIONI ASSENTI DAL DIBATTITO ELETTORALE Il Principe autonomista Scaricando sullo Stato tutte le colpe, si ritarda una più feconda presa di coscienza Il problema non è di mandare assolte o meno, semplicisticamente, le Regioni. E' di capire da quale angolazione si parte, da quale tipo di analisi, per vedere quali possibilità reali ha davanti a sé la via regionale dello sviluppo italiano. Finora le analisi critiche sulle insufficienze della prima legislatura sono andate avanti più per linee esterne che per linee interne. Sulle inadempienze istituzionali dello Stato e sulla responsabilità di un centralismo duro a morire si trovano accomunate Regioni meridionali e Regioni del Centro Nord. Mammì (pri), Querci (psi), Galloni (de) ed Ingrao (pei) hanno indicato nel mancato funzionamento di una serie di meccanismi istituzionali e in una serie di inadempienze (non sono state emanate le leggi quadro, non c'è stato pieno trasferimento dei poteri, non si è avuta la riforma finanziaria) la causa fondamentale delle difficoltà incontrate dalle Regioni. Ingrao è andato oltre: queste si sono scontrate con un « centralismo di tipo nuovo» che è il risultato dell'intreccio fra capitalismo di Stato e sistema di potere de. / meridionalisti Da Giustino Fortunato in poi il problema dello Stato è stato sempre al centro delle riflessioni dei meridionalisti. Sul problema della continuità fra fascismo e Stato repubolicano la polemica è sempre aperta (di tale continuità Giuseppe Tamburrano ha parlato come di trasformismo, male inestirpabile da De Pretis in poi, di quella formula di cui, in polemica con Togliatti, Guido Dorso denunciò la sempre viva pericolosità nel 1947). Ma nello scorso aprile non sono stati pochi gli storici e i commentatori politici che hanno rifiutato, giudicandolo perico¬ loso, il giudizio sulla cosiddetta «Resistenza tradita». Ebbene, il nuovo sistema delle autonomie deve fare i conti con questo nuovo tipo di Stato e con le forze che lo sostengono. Sennonché, mentre nei vecchi testi della tradizione repubblicana, socialista e meridionalista il quadro istituzionale a cui riferirsi, soprattutto dopo l'avvento del fascismo, era chiaro, oggi l'analisi diventa più diffìcile, essendo venuta meno l'alleanza storica su cui poggiavano monarchia e sistema economico e politico accentrato e accentratore, quella fra grande industria protetta del Nord e borghesia agraria del Sud. Quest'ultima ha perduto il suo potere, tanto da fare scrivere da Giuseppe Galasso su questo stesso giornale, a proposito di vento del Nord e vento del Sud, che nel Mezzogiorno almeno un risultato importante era stato ottenuto, mentre nel Nord le cose erano andate diversamente, essendo uscito intatto se non rafforzato dal fuoco della Resistenza il potere industriale. C'è chi, come Alfredo Reichlin, giura che l'alleanza corporativa fra industria protetta ed operai protetti, che è al centro dell'analisi di Salvemini e di Gramsci, non funziona più. Ma vi sono altri meridionalisti, pur attenti ai fatti nuovi verificatisi nel movimento sindacale, che rifiutano questa tesi, sulla base delle esperienze che fin qui si sono avute, prima fra tutte la grande emigrazione nel triangolo industriale. Le politiche finora condotte fuori dell'area meridionale hanno fortemente contraddetto e indebolito gli sforzi in favore del Mezzogiorno. Il problema è sul tappeto, in tutta la sua «centralità» e non gli sono certamente estranei quelli delle Regioni, delle Province, dei Comuni, dei quali siamo soliti discorrere senza calarli nelle condizioni oggetti¬ ve in cui si svolgono le contrapposizioni di interessi. I meridionalisti che oggi si sforzano di introdurre elementi nuovi nel dibattito, richiamando l'attenzione generale sull'influenza che la trasformazione delle classi e la evoluzione del capitalismo esercitano sulla lotta politica e sulla politica di sviluppo, rifiutano i facili schematismi, quasi che il Nord sia sempre quello descrittoci dai liberisti antiprotezionisti, dagli indomiti avversari dei baroni dell'acciaio o degli zuccherieri. Un'ottica diversa Se è vero che l'intreccio fra problemi dell'area meridionale e struttura economica fortemente accentrata nelle aree trascinanti del Paese va urgentemente riproposto alle forze politiche e sindacali come tema centrale, non è men vero che la mediazione fra gli interessi del Nord e quelli del Sud su basi di riequilibrio strutturale, difficilissima oggi all'interno dei partiti e dei sindacati — lo ammise anni fa a Milano Giorgio Amendola che andò a proporre la programmazione meridionalista agli operai — diverrà più facile a due condizioni: 1) che la cultura politica del Nord, in larga parte ferma agli Anni Cinquanta, affronti con un'ottica diversa i problemi dello sviluppo generale del Paese, rifiutando facili equivoci e deformazioni semplicistiche e moralistiche (la critica al neo-clientelismo e al neo-trasformismo meridionali deve affrontare il bisturi, partendo da Milano e da Torino, nel groviglio delle mediazioni nazionali); 2) che le forze politiche e culturali del Mezzogiorno, che credono nel rilievo nazionale ed europeo dei problemi meridionali, si attrezzino adeguatamente e unitariamente per dialogare con un Nord che non conoI scono e che si è profonda¬ mente trasformato, se non vogliono soggiacere alla logica della parte economicamente e politicamente più forte del Paese investita da una crisi economica per il cui superamento saranno imposti ulteriori sacrifici al Sud. Ammesso che esistano due possibili linee di critica alla prima legislatura regionale, quella per linee esterne e quella per linee interne, quella che imputa alle forti resistenze dell'apparato centrale e alla sua palese inefficienza il limitato e contrastato processo di regionalizzazione, e quella che guarda piuttosto alla debolezza ed alle insufficienze delle forze regionaliste, quest'ultima è stata certamente la meno battuta. Finché si scaricheranno sullo Stato tutte le colpe, di cui per altro non c'è chi non sia convinto, ci si chiuderà davanti la strada fruttuosa dell'autocritica e dell'adeguamento dei partiti, del Principe autonomista, alla nuova realtà istituzionale e sociale del Paese. Ciò vale per il Nord e per il Sud. Le Regioni settentrionali, di fronte alla crisi economica, sono chiamate a rielaborare i loro piani di sviluppo, quelle meridionali, più deboli, ad organizzare programmaticamente ed unitariamente la piena utilizzazione della spesa ordinaria e di quella straordinaria, di cui hanno tuttora bisogno. Come sono state impiegate le risorse? Quale è stata la politica della spesa delle Regioni? Perché non hanno programmato? Prima di parlare dei programmi futuri non si può fare a meno di rispondere a questi interrogativi. Senza solido retroterra politico e culturale politica della spesa e programmazione finiscono con l'obbedire a logiche settoriali, clientelari, municipalistiche, corporative. Purtroppo questi argomenti sono raramente al centro del dibattito elettorale. Vittore Fiore

Luoghi citati: Milano, Torino