Divergenze fra Usa e Francia

Divergenze fra Usa e Francia Divergenze fra Usa e Francia Petrolio, oro, cambi discussione a Parigi La riunione prepara la prossima assemblea del Fondo monetario che si terrà in autunno - L'Italia rappresentata da Colombo e Carli - Il nuovo ruolo assunto dai Paesi petroliferi (Nostro servizio particolare) Parigi, 10 giugno. I grandi problemi monetari internazionali sono al centro di una serie di riunioni che ha visto convergere a Parigi ministri e «banchieri centrali» dei venti Paesi che costituiscono il comitato interinale del Fondo monetario internazionale (Colombo e Carli per l'Italia). La riunione del comitato interinale, in programma oggi e domani, sarà seguita da quella del comitato di sviluppo, giovedì e venerdì. Si tratta di contatti destinati ad offrire alle assemblee annuali del Fmi e della Banca mondiale, in programma ad autunno, le basi di studio per la riforma, da tanti anni auspicata, del sistema monetario internazionale. Sono tre le principali questioni sul tappeto. La prima riguarda la revisione, e l'aumento, delle «quote» con cui i vari membri della comunità internazionale alimentano il Fmi. In vista di una migliore distribuzione delle quote, cui corrispondono «pesi» paralleli in fatto di diritto di voto, si vuole in particolare che quella complessiva elei Paesi Opec passi dal 5 al 10 per cento. Questo ritocco, che significa in pratica il riconoscimento delle nuove responsabilità delle potenze petrolifere, implica un calo relativo della presenza dei Paesi industrializzati. Ora se da un lato ci sono Paesi, come la Gran Bretagna, che non hanno niente da obbiettare ad un ridimensionamento delle loro quote al Fmi, ce ne sono altri che resistono a questa prospettiva. Tipico il caso degli Stati Uniti, che attualmente hanno al Fondo una quota del 22,95 per cento, e che dovrebbero scendere al di sotto del 20 per cento. Perché gli americani non vogliono saperne di questo ritocco? Perché lo statuto del Fmi prescrive, per le decisioni importanti, la maggioranza dell'80 per cento delle quote: da ciò discende che gli Stati Uniti, unico Paese ad avere più del 20 per cento, godono di un automatico diritto di veto. Si parla di un compromesso: gli americani accetteranno di ridurre la loro quota sotto il 20 per cento, ma in compenso la maggioranza prescritta per le grandi decisioni sarà portata all'85 per cento: facendo salvi insieme una migliore distribuzione delle quote e il particolarissimo potere americano in seno al Fondo. Seconda questione importante, il ruolo dell'oro che la comunità internazionale ha affidato al Fondo, circa sette miliardi di dollari al valore convenzionale. Su questo punto si sono scontrati, al solito, le opposte concezioni di Parigi e Washington. I francesi volevano che l'oro del Fmi venisse restituito ai Paesi sottoscrittori, che lo avrebbero contabilizzato al valore di mercato impiegando il plusvalore nell'aiuto al Terzo Mondo. Gli americani, invece, volevano che il Fondo vendesse l'oro in suo possesso sul libero mercato, per poi organizzare direttamente l'aiuto ai Paesi sottosviluppati. Su questo punto, si è cercato di raggiungere questa mattina, in una riunione preliminare dei «dieci», un accordo di compromesso: una parte dell'oro sarà venduta direttamente dal Fondo, un'altra parte sarebbe restituita ai Paesi sottoscrittori. Ma pare che il compromesso non abbia ancora risolto il caso. Infine, il regime dei cambi, altro problema chiave dell'assetto monetario internazionale. Anche qui sono di fronte due punti di vista contrastanti, l'uno americano, l'altro francese. Secondo Washington, occorre stabilire il principio di una piena libertà in materia di cambi: ciò significa che le autorità monetarie darebbero dignità ufficiale al sistema della fluttuazione, per la quale non occorrerebbe più l'assenso del Fondo. Secondo Parigi, invece, il nuovo ordine monetario passa attraverso il ritorno ad un sistema di cambi «fissi ma controllati», cioè al vecchio regime delle parità eventualmente modificabili con singole decisioni nazionali ma comunque ancorate a tassi stabiliti. Questo dibattito avviene sullo sfondo di una nascente nuova contabilità internazionale, che si basa ormai sempre più sui «diritti speciali di prelievo», cioè su una «moneta» di calcolo che si basa sul- l'apporto fisso di sedici divise I nazionali, precisamente quel le dei sedici Paesi che contribuiscono per almeno l'uno per cento al commercio internazionale. In questo momento il « Dsp » vale un dollaro e 25 cents, mentre valeva un dollaro e 21 quando il meccanismo fu ricalcolato meno di un anno fa. Questa evoluzione, direttamente legata al deprezzamento del dollaro rispetto ad altre monete, spiega come mai la decisione, presa ieri a Libreville dai Paesi Opec, di calcolare i loro profitti petroliferi non più in dollari ma in «Dsp», implica un sostanziale rincaro del petrolio. Alfredo Venturi ta oggi a Parigi in occasione della sessione ministeriale del comitato interinale del fondo. L'accordo — raggiunto direttamente dal « Fmi » con le banche centrali degli undici Paesi — interessa l'Austria (50 milioni di diritti speciali di prelievo), il Belgio (100 milioni), la Germania Federale (300 milioni), l'Iran (410), il Kuwait (200), l'Olanda (200), la Nigeria (200), la Norvegia (50), l'Arabia Saudita (mille), la Svizzera (150) e il Venezuela (200). Alcuni di questi Paesi, tra cui l'Arabia Saudita, l'Iran, il Venezuela e la Germania Federale, hanno inoltre consentito ad aumentare l'ammontare dei loro prestiti prima della fine dell'anno se il Fondo monetario Internazionale avesse bisogno di risorse o non avesse raggiunto lo obiettivo di 5 miliardi di diritti speciali di prelievo.

Persone citate: Alfredo Venturi, Carli