I Paesi dell'Opec riuniti da ieri per tre giorni a Libre ville, nel Gabon di Mario Salvatorelli

I Paesi dell'Opec riuniti da ieri per tre giorni a Libre ville, nel Gabon I Paesi dell'Opec riuniti da ieri per tre giorni a Libre ville, nel Gabon Si prepara un altro rincaro del petrolio? (Dal nostro inviato speciale) Roma, 9 giugno. Il prezzo del petrolio greggio alle libere aste mondiali e nelle vendite alle compagnie «indipendenti» è sceso negli ultimi dodici mesi da un minimo dell'1,6 a un massimo del 38 per cento, dove il minimo si riferisce al greggio della Nigeria (da 12 a 11,80 dollari al barile) e il massimo a quello dell'Iran (da oltre 17 a 10,50 dollari a barile). Intanto dall'inizio dell'anno, dopo le ultime conferenze e le più recenti decisioni — ormai unilaterali, non frutto di accordi tra Paesi produttori e compagnie — sia per le tasse e le royalties, sia per la quota di partecipazione diretta dei paesi alla produzione, sia per i prezzi stessi, il greggio arabo continua a costare 10,46 dollari a barile (circa 48.000 lire la tonnellata al cambio attuale) alle «sette sorelle», che in realtà sono otto, cioè le compagnie multinazionali integrate: Exxon, Shell, Texaco, Gulf, Mobil, Chevron, BP e Cfp (la compagnia francese del petrolio). Questo prezzo dovrebbe restare inalterato fino a tutto settembre, quando si riuniranno a Vienna, per riesaminarlo, i 13 Paesi dell'Opec, l'organizzazione dei Paesi produttori ed esportatori di petrolio, fondata a Bagdad | nel 1960, allo scopo «di impe-1 dire il ribasso dei prezzi del i petrolio», da Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait e Venezue- j la, e alla quale hanno successivamente aderito Indonesia, Libia, Algeria, Qatar, Abu ! Dhabi, Nigeria, Ecuador. Non si può dire, certo, che : l'Opec non abbia assolto il I suo compito: il petrolio non solo non è ribassato, ma da allora — anzi, negli ultimi quattro anni — ha sestuplicato il suo prezzo, passando da 1,60 a quei 10,46 dollari a barile dove, come s'è detto, si trova attualmente. Ma vi si trova da troppo tempo, secondo alcuni Paesi produttori, i quali non accettano la legge della domanda e dell'offerta, non vogliono sentir parlare di produzione sovrabbondante rispetto ai consumi, quale si registra da quando essi stessi hanno scatenato la guerra del petrolio, e vorrebbero nuovi aumenti. Arabia Saudita ed Iran hanno fatto sapere di recente che il prezzo del greggio andrebbe, quanto meno, adeguato al ritmo d'inflazione dei Paesi industriali; l'Algeria ha chiesto una riunione straordinaria dell'Opec. Il Venezuela, che fa parte dell'ala moderata dell'Opec, è riuscito a convincere l'altra ala che non era il caso di riunioni straordinarie. Però alla conferenza che si è aperta oggi a Libreville, capitale, del Gabon, Paese associato alla Comunità europea ( ciò potrebbe essere di buon ' auspicio per noi consumatori), ma sulla costa occidentale dell'Africa, quindi non interessato alla riapertura del Canale di Suez (ciò che potrebbe essere di cattivo auspicio), si parlerà anjhe di ciò che sta a cuore ad Algeria, Iran e Arabia Saudita (ed ovviamente agli altri, che possono temerlo, ma un aumento non lo rifiuterebbero). Ogni decisione sui costi di approvvigionamento è per l'Italia forse più importante che per qualsiasi altro Paese del mondo. La riapertura di Suez ci ha anche aperto uno spiraglio di speranza in questo senso. Che cosa ci può venire — inoltre, oppure invece, questo è il problema — dalla conferenza del Gabon? L'abbiamo chiesto all'ingegner Aldo Sala, presidente della Esso Italiana, che copre con le altre multinazionali il 36 per cento del mercato italiano (il 33 per cento è dell'Azienda di Stato, l'Agip più la Iip, ex Shell; il 31 per cento delle società nazionali private). Il presidente della Esso Italiana non è molto ottimista, visti gli argomenti all'ordine del giorno a Libreville: diritti speciali di prelievo, prezzi del petrolio, necessità di evitare spaccature nel fronte dei Paesi Opec. Il primo argomento, infatti, si riferisce alla possibilità di sganciare il prezzo del petrolio dal dollaro, per agganciarlo ai diritti speciali di prelievo, il cosiddetto «oro carta», la nuova unità di conto internazionale (nuova di qualche anno, ma ancora poco sfruttata) che oggi è nel rapporto di circa 1,3 con il dollaro. Ciò significa che se il prezzo del greggio a barile, fermo restando tutto il resto, dovesse passare da 10,46 dollari a 10,46 «Sdr» (diritti speciali di prelievo), in pratica si avrebbe un rincaro del 20-30 per cento, e il greggio passerebbe da 48 mila lire alla tonnellata ad almeno 55 mila lire (all'origine, naturalmente, più il trasporto, la raffinazione e tutto il resto). Ma anche se non ci sarà lo sganciamento del dollaro e l'ancoraggio agli «Sdr», visto che al secondo punto dell'ordine del giorno si parla di prezzi, il risultato — dice Sala — non sarebbe molto diverso. Rimane il fatto che in ogni caso ci dovrebbe essere un periodo di transizione, e che qualsiasi variazione di prezzo non dovrebbe andar in vigore fino a tutto settembre, cioè fino alla prossima riunione di Vienna, secondo l'impegno preso dai Paesi dell'Opec. Ma non sarebbe la prima volta — dato che da tempo le loro decisioni sono assolutamente unilaterali — che i Paesi dell'Opec cambiano parere. C'è, però, il terzo punto dei lavori nel Gabon, quello che riguarda la necessità di evitare spaccature nel fronte dell'Opec. Se questo argomento è in discussione, si può desumere (non è necessario ce lo suggerisca l'ingegner Sala ) che il fronte non sia cosi compatto, quanto meno rischi di non esserlo più. Le «termiti» che ne minacciano la solidità sono il calo della domanda di petrolio (non solo per la crisi economica, in fase di superamento, ma anche per le economie nei consumi che si stanno realizzando dovunque, a parità di produzione), l'intensificazione delle ricerche di pozzi in Paesi esterni all'area dell'Opec e il nuovo impulso impresso allo sfruttamento di altre fonti di energia. Prima che il petrolio torni a essere un medicamento dei reumatismi (com'era considerato nel 1869 quando fu aperto il Canale di Suez) dovrà passare molto tempo ancora. Ma è altrettanto certo che è difficile poterlo contrattare come se a dominare il mercato fossero ancora e sempre i Paesi produttori e senza tener conto della flessibilità dei sistemi economici e delle risorse, di tecnica e di produzione, dei Paesi consumatori. Mario Salvatorelli

Persone citate: Aldo Sala