STORIE SCRITTE E PARLATE

STORIE SCRITTE E PARLATE STORIE SCRITTE E PARLATE Caro Zavattini Caro Za, ho fatto un sognoI Caro Za, ho fatto un sogno bellissimo: eravamo sul ring a Minneapolis per disputare il campionato mondiale di aggettivi. Mi hai attaccato subito « lavorandomi » ai fianchi con gli avverbi. II gong ti ha aperto al sorriso. Io mi sono messo a piangere. Una scena non prevista nel contratto di ingaggio, ma che al momento ha avuto la sua platea. Tu ti sei alzato dall'angolo, mi sei venuto vicino tirando l'arbitro per la mano: «Sia comprensivo, gli mormoravi con soavità, è inesperto ». Dalla sala si sono levate subito le grida: « Cornuti! Cornuti! ». Avevano capito che eravamo d'accordo. Da quarantacinque anni. A questo punto mi sono svegliato e, lo confesso, te ne volevo per Minneapolis, un nome dolce, sdrucciolo, da mostra di fiori. Che c'entra con te e con me? Da quarantacinque anni io sono il tuo dirimpettaio, abbiamo speso la vita sulle parole, chi le scrive c chi le fa leggere. Minneapolis, si capisce, è la scelta di un suono. Ostica come mi è la meccanica, ci sono termini tecnici, per esempio, che a me sembrano addirittura amorosi: biella, alesaggio, frizione, paranchina... Perché piangevo? La nostra giovinezza? Al tempo del tuo primo libro Parliamo tanto di me ci trovavamo la sera per preparare l'Almanacco letterario. Tu eri rimasto a lavorare fino a tardi, facevi il correttore di bozze presso un editore. Arrivavi mangiando un panino a piccoli morsi, come se dovessi strappare le ali a una farfalla. Avevamo trent'anni pieni di salute. Forse i colpi ai fianchi hanno quella lontana origine perché non ci interessavamo ad altro che non fosse il fatto | letterario. Nell'ufficio di via J Durini 24, la mia prima sede, stendevamo sul tavolo le fotografie. Tu le guardavi al rove-1 scio. Dicevi che erano più suggestive e ti strappavi con metodo le sopracciglia. Le lacrime sul tempo passato non ci spettano e non ci appartengono. Abbiamo idee abbastanza precise della vita e della morte. Ne abbiamo parlato sere intere sulla soglia dell'ascensore o accompagnandoci a casa vicendevolmente. Ormai avanti negli anni, ci guardiamo negli occhi, ciascuno dei due misurando quanto tempo ci resta per guardarci in compagnevole silenzio. Ci resta proprio il tempo passato, una girandola di fuochi d'artificio. Alla chiusura dello spettacolo si accende la ruota a scoppi successivi, coi colori che svariano e si invadono e una luce abbagliante. In modi diversi, speriamo che sia così. Tutto scrittore e artista, tu ci sguazzi nella stessa misura in cui vorresti credere in Dio come un regalo per il compleanno. « Questo Dio di cui vorrei la prova proprio adesso che sono ateo ». (« Mitragliamenti alla periferia, una bomba vicino; cerco di riempirmi di pensieri buoni, parendomi imporsibile che io e i miei si possa essere colpiti quando sono in tale stato d'animo »). L'acqua che muove il tuo mulino macina rimorsi. « Io come uomo esisto da pochi anni, prima ero un albero. Questo impone degli obblighi per riguadagnare il tempo perduto ». La tua letteratura ha le cifre in rosso come nei bilanci: un estratto conto debitorio, di cui ti senti responsabile prima di noi o in nostra vece. « A me non interessano i fatti quanto gli uomini, questi mondi isolati nello spazio. Ognuno cammina per la strada come se gli altri non ci fossero. Una sera attraversai la piazza per andare sul ponte: avevo deciso di uccidermi. La gente mi passava vicino, mi urtava, senza neppure voltarsi ». Si capisce il tuo odio per la storia, che vorresti lieve e con la coda luminosa come una lucciola. Allora stravolgi la realtà. Con una specie di rabbiosa rivolta inventi il padre che si inchina alla fanfara per far credere al figlio che suonano per lui. Inventi il bandito di strada che intima: « O la borsa o la vita mia! ». Oppure l'omino che segue i funerali per sfuggire ai creditori; i nomi delle strade con le moltipliche: sei per otto quarantotto. Inventi quattro passi tra le nuvole o insinui che sei il diavolo e che i poveri sono matti; in quella pazzia infili di soppiatto un miracolo, magari nel cemento di Milano. Chiuso in casa come un monaco nella cella, sei sempre in partenza: questa impressione viene dall'ingorgo delle cose che dici a cavallo di te stesso, corriere dello Zar. Ma quale Zar? Tu sei il tuo stesso tiranno, ti lasci invadere dai fatti come una colonia e da solo, di notte, fai la guerriglia per liberarti. Quando esci allo scoperto sei un amico « ritrovato » anche per chi ti incontri per la prima volta. Di colpo diventi coetaneo e compagno! diventi coetaneo e compagno d'infanzia: quella infanzia che ti nutre e protegge, patita e lucida, compromessa e salvata. Un uomo carico, goloso, largo, contadino inurbato concittadino socievole e solitario, fluido e straripante come il tuo Po. Scrivi cento pagine, riempi interi quaderni di note c appunti, poi stampi sette righe; sulle bozze ne tagli una. Dovevi scrivere, come hai fatto, un libro intitolato Non libro. (« Le parole ci portano all'ammasso? ... né scritte, né parlate, le parole spaventano, e allora ciao, io parto per Caprera — proverò altri sistemi forse degli ululati...»). Un gior no eri in clinica, in mesa j d'essere operato. Io ti ho por- tato via un foglietto di taccili-' no; c'era scritto: « Alle 5 mi operano. Ripeto: mi operano. Sembra che debba andare incontro a una parola, non a un fatto ». La parola come uri fatto, la parola come un rischio; la pa rola come responsabilità: che I , ■ y • j n, vuol dire ì due aspetti della | coscienza, quella letteraria c l'altra, una «barricata conti- nua ». Un uomo scomodo, di- j cono. Disarmato in apparenza. ! stai sul ponte a coscienza spia- j nata, col cólpo in canna. Poeta tragico che scrive in prosa (ma I anche in versi), la tua pagina ! è colma di folgorazioni peri l'effìmero nel bene e nel male della cronaca minuta. A cena con i compaesani j nella tua Luzzara rientri nella [ placenta, senza perdere di vista | la pagina. Dici: « Ciascuno dirà quello che vuole, sollecitato | 0 non. Io starò in mezzo ad ascoltare». E' il libro (e il film) che hai cominciato più volte: « L'ultima cena »: un non-discorso per chi ha orecchio ai silenzi. L'altro ieri sui colli laziali, nella casa di campagna di tuo figlio, con un bicchiere di vino, il sole e il verde dei prati, eravamo felici. Mi hai raccontato un episodio, inventato naturalmente, come se vi avessi assistito il giorno prima. Due uomini si incontrano alla stazione mentre il treno sta partendo. Non si vedevano da anni e si abbracciano in fretta, con grida, si informano: moglie? figli? amici? ti ricordi?... Il capostazione alza la paletta. Salgono di corsa su due vagoni vicini, uno di prima classe e l'altro di seconda. Si affacciano subito ai finestrini, si sbracciano, riprendono le domande, ci vediamo, ci vediamo... Poi mi hai travolto con una grandinata di progetti e proposte urgenti, guardavi l'orologio e scuotevi il capo. « I giovani, proprio nel momento che 1 vecchi hanno completato la loro esperienza e gli spetta perciò di scendere in piazza, li pregano di appartarsi, di morire, insistono un po' con le buone, un po' con le cattive, I bisogna accontentarli per tra- ! dizioni umanistiche, e così ere-dizioni umanistiche, e così cresce la tremenda rabbia dei vecchi, che vorrei avere la sorte di vedere esplodere ». Il non-discorso è quella esplosione. Le parole ti stupì-1 scono come un sopruso. Anche Pirandello era stupito di seri- [ vere « sotto dettatura ». Porse j i li per questo che ti alzi di notte j e dipingi messaggi: il Cardtna- ì le che porta il Viatico... Lo | firmi con un uovo azzurrino. : che è il tuo autoritratto. Chi j riceve il messaggio, lo traduce: | « Sbrigatevi, bisogna far qual ' cosa... ». Ti ricordi quando mi scrive- ; vi dal Messico? « Avrei inten-1 zione di cambiare vita... pochi, sanno che mi vien voglia spes- so di accovacciarmi all'angolo della strada come uno di questi indii e di lasciarmi , passare .o-; pra i fatti col loro rullo di tam- buri. Come si fa a non parteci- pare? Quando si alza la luna ci sono delle acque che brillano \ e altre no ». | Il libro che stai ora scriven- do si intitolerà- Quella noli A , ."'"""«a- che ho dato uno schiaffo a Mussolini e dopo piansi: una storia che ci riguarda tutti dal vicino. Tra i tanti libri che non j hai finito, questo lo finirai,! nella tua cella col berretto di i ìnna e una bottiglietta ^ »«-1 ili ga- Valentino Bompiani zosa- nerché sai che duellé na brilleranno sotto la luna

Persone citate: Mussolini, Pirandello, Storie Scritte, Valentino Bompiani, Zavattini

Luoghi citati: Messico, Milano, Minneapolis