Il servo pastore all'Università
Il servo pastore all'Università Il servo pastore all'Università Gavino Lcdda: « Padre padrone: l'educazione di un pastore », Ed. Feltrinelli, pag. 226, lire 3000. Nel 1958 un pastore sardo di vent'anni, Gavino Ledda, praticamente analfabeta sino a pochi mesi prima, si presenta come privatista all'esame per la licenza elementare, titolo richiesto per arruolarsi come volontario nell'esercito. Gli viene assegnato come tema « Una lieta scampagna- ta », una delle tante espres I sioni di quella concezione i | dilliaca della campagna sa na e incorrotta che continua a trionfare nella nostra scuola. Che cosa sia la campagna nella sua cruda realtà di fatica e di sfruttamento Gavino lo sa troppo bene perché ci vive dentro da quindici anni, ma non gli riesce di esprimerlo, perché non è ancora arrivato al linguaggio, cioè alla storia. Lo muove soltanto la disperata volontà di uscire dalla morsa in cui il padre lo aveva obbligato a sei anni, primo dei figli, svellendolo letteralmente dalla scuola appena iniziata per farne un pastore a tempo pieno nella tanca a otto chilometri dal paese di Siligo, in provincia di Sassari. Usato come un attrezzo, «educato» al mestiere a suon di legnate, mangiato dalle pulci e inseguito dal freddo invernale nella capanna in cui dorme, il bambino cova in solitudine la rivolta contro la società patriarcale esemplarmente incarnata dal padre, ossessionato dalla «roba» e ben deciso a sfruttare sino in fondo il piccolo sottoproletariato familiare di cui dispone. In campagna Gavino impara a conoscere le cento voci del bosco e degli animali, apprende i trucchi per scoraggiare i banditi, per curarsi le ferite, per mungere le pecore ribelli. La natura diventa « l'unico amico con cui poter comunicare senza vergogna né soggezione ». La parola non gli serve più: usa la gola , olo per emettere richiami e rauche urla contro le volpi. All'apparire di altri pastori fugge intimidito a nascondersi nei cespugli. La « nevicata estiva » delle cavallette, più forti degli amuleti e dei santi, ma non dei nuovi disinfestanti chimici, apre una provvisoria parentesi di socialità, presto sopraffatta da nuove solitudini e soggezioni. L'iroso padre-padrone sfoga su di lui le ansie e i fallimenti, ma nella rivalità sempre più accesa che li divide i due trovano talvolta una sorta d'inconscia solidarietà nel comune destino di dannati della terra: come quando una bufera di neve distrugge il giovane uliveto cui l'uomo ha accudito per trent'anni, e egli capisce che la sua vita « vale solo una notte di gelido vento ». Gavino non si rassegna, cerca con ostinazione il varco che gli consenta di uscire dall'universo concentrazionario in cui è cresciuto solo biologicamente. Quando lo trova nell'esercito, dove impara l'italiano come una lingua straniera, studiando di notte nelle latrine ancora illuminate, e poi di licenza in licenza arriva all'università, anche il paese gli si rivolta contro, non ammettendo che qualcuno possa costruirsi un destino non stabilito dalla legge non scritta dei padri. Quel che fa l'eccezionalità del caso, purtroppo non raro (un milione di bambini sotto i 14 anni viene tuttora sottratto all'obbligo scolastico per lavorare) è che sia lo stesso emarginato di ieri, oggi professore all'università di Sassari, a restituircelo con parole sue, dall'interno, in un libro che dostoevskianamente potreb'je anche intitolarsi Memorie del sottosuolo: e che ricorda il processo di autoeducazione raccontato da Malcom X nella sua autobiografia. Documento di una condizione umana e sociale che sta alla base di tante tragedie isolane, il libro dell'ex pastore offre al linguista, all'antropologo e al sociologo preziosi materiali di prima mano. Ma esso rappresenta soprattutto la testimonianza di un'Italia «altra», decisa a uscire dallo stato di minorità in cui è sempre stata tenuta, che matura e cresce e lotta a dispetto delle vecchie strutture. Ernesto Ferrerò Dalla copertina
Persone citate: Ernesto Ferrerò, Gavino Ledda, Malcom X
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