Criminali senza causa

Criminali senza causa Criminali senza causa Acqui Terme, 5 giugno. Cronache dell'Italia tragica e violenta. Ricompaiono, nelle quiete campagne fra le Langhe e il Monferrato, fra i vigneti e le colline macchiate di papaveri, i gruppi armati del terrorismo, la frangia folle (e ormai sanguinaria) dell'estremismo. Poche ore, quelle che passano fra la sparizione di un giovane industriale, come inghiottito nella campagna, e il suo ritorno alla libertà, qualche decina di chilometri più lontano, fra scoppi di bombe a mano e raffiche di mitra. Il confine fra terrorismo politico e brutale delinquenza comune si confonde. La scena finale, l'assalto alla cascina Belvedere di Arzello, su una gobba verde dell'Acquese, non somiglia in nulla alla guerriglia urbana: riporta alla memoria, semmai, in quest'angolo quieto e rurale del Piemonte, la caccia ai banditi nel Mezzogiorno, o gli epiloghi delle storie di gangsters in fuga nell'America degli Anni Trenta. Nella piccola caserma della compagnia dei carabinieri, alla periferia di Acqui, la scena è caotica. Agenti e carabinieri in tenuta da campagna, magistrati e funzionari impegnati a rispondere a mille domande, commilitoni dei feriti che vengono a chiedere notizie, con gli occhi pieni di rabbia e di lacrime. Proprio oggi, che è la festa dei Carabinieri, oggi che ci sono state le parate e i discorsi nelle caserme torinesi di via Cernala, oggi che è un giorno d'allegria, con le famiglie che sciamano nelle camerate e le medaglie al valore. E invece qui, in un'aia d'un cascinale, un tenente, un maresciallo e un appuntato sono stati sorpresi da un fuoco improvviso. In un angolo, ormai quasi dimenticato, c'è lui, il protagonista, Vittorio Vallarino Gancia. E' eccitato, confuso. Deve ripetere cento volte la sua storia, e paradossalmente è quello che sa meno di tutti: l'hanno ammanettato, gli hanno messo un cappuccio, l'hanno chiuso in un antro buio, è stato accucciato un'ora quando ha sentito raffiche e sirene intorno a lui, finché la porta della cella s'è spalancata sotto il calcio del fucile d'un brigadiere. La banda che lo ha rapito ha ancora in parte il volto coperto. C'è una giovane donna stesa sull'aia della cascina, uccisa mentre tentava di fuggire. Altri sono fuggiti, li cercano nei boschi e lungo i torrenti, è difficile che vadano lontano. C'è uno in carcere, arrestato ieri, che forse ha permesso di dipanare la matassa. Ma la segnalazione è venuta quasi per caso, la gente della collina ha visto movimenti insoliti. Prima lezione: la campagna non offre rifugi, è difficile nascondersi. «Per fortuna non sono riusciti a portare il sequestrato in città», ammette il procuratore della Repubblica di Asti, Antonino Parlatore. Sono Brigate rosse. Nessuno lo dice esplicitamente, fra magistrati e agenti, ma le allusioni sono chiare. Troppi indizi, troppe tracce. I nomi, i metodi, le targhe, i documenti, le bombe a mano... Quelli di Labate e di Amerio, quelli di Sossi. Solo che ora sparano, hanno rivelato un volto feroce. Non più azioni dimostrative, « esemplari », accompagnate da minacciosi volantini rivoluzionari. Ora sparano i mitra, volano le bombe a mano. Erano apparse a Torino l'ultima volta, le « bierre », per bruciare le auto dei sindacalisti della Cisnal. Era ancora, follemente, un gesto « politico ». Ora siamo alla criminalità pura, il sequestro che ricalca quelli della mafia, l'estorsione autentica, magari per finanziare altre imprese. Come i Nap, come il sequestro Moccia a Napoli, in un contagio di violenza. Un industriale spaventato che dovrebbe versare miliardi per armare altre bande che si fingono « proletarie ». E' il mito di Robin Hood, ma con la maschera dei malviventi e degli assassini. Seconda lezione: se prima questi gruppi vantavano e millantavano una presunta funzione di vendetta popolare e rivoluzionaria, ora sono i contadini del Monferrato a denunciarli, la gente comune li esecra, le lacrime sono per il povero appuntato colpito, lui sì proletario davvero. S'era capito già stamane ad Asti, nel lucido palazzo di giustizia, che la pista era quella delle bande parapolitiche. Carabinieri, polizia e magistrati sentivano odore di organizzazione, o almeno di quel nuovo tipo di delinquenti comuni che si danno motivazioni politiche. Riflettevamo, ad Asti, poco prima che giungesse la segnalazione da Acqui Terme, come questa nuova malavita pseudopolitica abbia sconvolto mentalità e metodi giudiziari, abbia abbattuto i vecchi parametri delle indagini, costringa gli uomini a impadronirsi di abitudini nuove, di tattiche più difficili. Allo stesso tempo, però (ed è la terza lezione), questi sono criminali che non si mimetizzano col paesaggio, che saltano agli occhi, guerriglieri senza causa, di sperati senza complici, estra nei a tutti. Bande che imi tano le tattiche sudameri cane, la bravata inutile al ternata al terrore puro. Una tecnica sinistra, cui si addestrano in solitudine, che ri vela una scuola assurda. Oggi le indagini si sono I mescolate al caso, il setacciamento politico si è sommato a quella triste fortuna che ha portato quattro uomini soli, allo scoperto, da una piccola caserma di provincia alla prima linea del fuoco. Ma c'è un'organizzazione da sconfiggere. Anche se non hanno un entroterra di simpatie, queste bande terroristiche hanno ormai una storia e un impianto criminale. E anzi il Piemonte, con la Lombardia, sembra essere una base operativa, una terra di scorrerie e di rifugio. Cominciò qui, la storia, proprio con Labate e Amerio. Curcio e Pranceschini (il primo dei due era oggi nella cascina?) furono arrestati a Pinerolo, Curcio è fuggito dal carcere di Casale, Sofia è a Fossano, Zicchitella è a Saluzzo. Quel Giorgio Panizzari che da rapinatore comune s'è fatto estremista, e che ha guidato la rivolta nella galera di Viterbo, ha fatto qui i suoi primi passi, ha voluto questo come scenario per le sue deliranti arringhe antisistema. Un mazzo di chiavi ha aperto, nelle barriere torinesi, molte sedi di centrali rozzamente efficienti, con schedari e apparecchiature radio. La cronaca di oggi è durata solo poche ore, sia pure convulse e dolorose. Se il distacco fra questi gruppi ed ogni possibile sinistra, anche la più spericolata, era ormai nettissimo, il sangue di oggi lo ha scavato ancor più. Ormai, è una guerra, e da questa parte c'è lo Stato, tutto lo Stato. In prima fila, quei militi che oggi non sono potuti andare a sfilare in via Cernaia, che avevano le divise ancora sporche di terra, e che buscano un magro salario. Ma poi tutti gli altri, la gente di Acqui e di Asti, e i contadini delle colline, e la gente che legge i giornali e non sa darsi ragione d'una violenza così criminale. E' una guerra difficile, perché l'avversario è accecato dal fanatismo, perché l'isolamento porta a reazioni disperate, perché ci sono ancora tanti nodi oscuri da sciogliere su queste organizzazioni che puntualmente cercano di avvelenare le vigilie elettorali. Ma oggi si è visto che, sia pure a durissimo prezzo, possono essere sconfitte. Andrea Barbato i Acqui Terme. Il corpo della misteriosa brigatista davanti alla cascina. La ragazza, uscendo dalla casa, ha finto di arrendersi, mentre alle sue spalle un complice ha sparato. I carabinieri hanno risposto al fuoco con alcune raffiche di mitra (Foto « La Stampa » - Gianni Giovannino