La ragazzina piange e sviene due volte "Perchè non mi credete: non l'ho ucciso io"

La ragazzina piange e sviene due volte "Perchè non mi credete: non l'ho ucciso io"Il quattordicenne assassinato in cascina e trascinato sulla strada? La ragazzina piange e sviene due volte "Perchè non mi credete: non l'ho ucciso io" Non è stata ancora trovata l'arma del delitto - Alcune lettere d'amore in casa della vittima - Sembra che l'amichetta fosse gelosa di una sua coetanea - Sul muro di un gabinetto vi sono alcuni fori con proiettili uguali a quello che ha colpito il ragazzo - Un'altra ipotesi: un proiettile vagante - La zona è riserva di caccia (Dal nostro inviato speciale) Asti, 4 giugno. Si colora sempre più di giallo la vicenda del ragazzino ucciso da un proiettile in un campo e soccorso dalla sua amichetta che era andato a trovare. Non c'è traccia dell'arma, che deve essere una calibro 22, pistola o carabina, e nemmeno del sangue che pure il ragazzo deve aver perduto abbondantemente. Antonio Melfi, la vittima, aveva compiuto i quattordici anni il 30 aprile; abitava a Castell'Alfero, dove frequentava la seconda media. Un ragazzo che don Piero Gagliardi, parroco del paese, descrive come introverso, di poche parole, di intelligenza media. Tuttavia, anche se chiuso, aveva saputo conquistare il cuore di alcune coetanee. C'è chi dice che si vantava di filare con due o tre ragazzine. Due innamorate le aveva di certo: Stella e Giovanna. In casa custodiva dei bigliettini che le due gli scrivevano. Maria Maddalena, la sorella sedicenne di Antonio, me li apre, li distende sul tavolo di cucina. \ Foglietti che mettono in mostra cuori trafitti e frasi in stampatello che si impongono sulla scrittura in corsivo: «Ti amo», «Ti amo pazzamente», «Love, love». Il padre, Michele, 42 anni, operaio alla Sisa, fabbrica di imballaggi, e la madre, Maria Tatavitto, 37 anni, sono qui anche loro, seduti intorno alla tavola insieme ad altri parenti venuti da Campobasso, la loro città di origine dalla quale sono immigrati sei anni fa. Tutti piangono. Gli scriveva Stella Magnone, tredici anni, alunna della prima media: «Carissimo Antonio (amore). Io ti amo, ti amo e poi ti amo. Senti, quand'è che vieni di nuovo a trovarmi? La panettiera non te la presta più la bici? E' vero che ti hanno menato? Se è vero mi dispiace perché ti amo. Senti, non venire venerdì, sabato, domenica, lunedì perché c'è mìa madre a casa e vado via. Ti amo ogni giorno di più». E Giovanna, tredici anni, da Tonco, scriveva: «Carissimo Antonio, perché non mi parli più? Perché non vieni più da me? Dimmi, chi ti piace? Tu dovresti andare con chi ti piace. Se non rispondi per iscritto (...), non ti piaccio più? Dillo. Mi hai piantata? (...). Dalla finestra stamane ti ho visto, ma hai salutato solo Magnone. E a me? Perch:? P.S. Io non sono gelosa perché Magnone mi ha detto che preferisci lei perché io sono gelosa. No, non è vero!». Antonio preferiva Stella. Racconta la sorella: «Un mese fa mi aveva chiesto qttali erano le frasi che doveva dire I per manifestarle il suo amo re». Ieri era martedì, uno di quei giorni indicati dalla ragazzina come adatti per la visita. Antonio è andato a trovarla. Non era la prima volta, secondo quanto raccontano Stella e sua madre, Angela Giolito, di 46 anni. S'era recato una prima volta nella cascina di Stella Magnone a Valmaggiore, una frazione di Asti, una ventina di giorni fa. La madre di Stella racconta: «Venne con la bicicletta, disse che era un compagno di scuola della mia bambina e io lo invitai in campagna a girare il fieno. Con me c'erano la Stella e mìo suocero (mio marito è ricoverato al Cottolengo di Torino per una malattia cardiaca). E' rimasto fino alle sei e mezzo e quando se n'é andato io gli ho detto di non tornare più perché spesso sono a lavorare in fabbrica e in casa non c'è nessuno con Stella. Invece abbiamo saputo che un giorno è venuto, insieme con altri ragazzi, ma non ha trovato nessuno a casa». Ieri, dunque, Antonio Melfi va a far visita a Stella. Ha preso nascostamente la bicicletta della panettiera di Castell'Alfero, Luigina Stroppiana, come del resto aveva fatto tante altre volte, indifferente ai rimproveri. La cascina in strada Cerro Verde, è lunga: la stalla e poi l'abitazione. A metà c'è una rete che divide anche il cortile: dall'altra parte abita un sacerdote, don Francesco Quirico, insegnante di italiano nelle scuole di Villafranca, che fu già professore della sventurata Maria Teresa Novara, altra tredicenne, morta tragicamente dopo otto mesi di assenza. Don Quirico è a casa, un po' lavora nell'orto e poi si siede all'ombra, su un lato della casa, a parlare con un conoscente passato di là e non vede cosa succede nel cortile. Stella racconta: «Sono rincasata dai campi, dov'ero stata a girare il fieno, alle 15. Antonio era nel cortile con la bicicletta. L'ho fatto entrare in cucina, abbiamo parlato, mi ha detto che questa estate sarebbe andato a fare il meccanico e si sarebbe comperato un motorino. Mi ha fatto vedere un ferro fatto a "T" e un'altra cosa che gli gonfiava una tasca, una cosa grigia sctira e anche un proiettile». Poi, dopo circa una mezz'ora, e sempre secondo il racconto della ragazzina, Antonio dice che va a fare un giro con la bicicletta. Lei sale al piano di sopra, s'affaccia a una finestra e dopo un po' lo vede, oltre un campo di frumento, avanzare lungo la strada, ma ondeggiando. Lo perde di vista, pensa che sia caduto, corre a vedere e lo trova a terra, con la maglietta insanguinata sul petto. Pensa di portarlo a casa, per soccorrerlo, e incomincia a trascinarselo dietro lungo un sentiero erboso. Fa una trentina di metri, ma desiste: la casa dista ancora almeno 80 metri; non ce la fa più. Si mette a correre verso la cascina, dà l'allarme al prete che telefona alla Croce Verde. Antonio viene portato in ospedale. Il capitano Madonia, comandante la compagnia dei carabinieri di Asti e i suoi collaboratori iniziano le indagini sotto la guida del sostituto procuratore Armato. Si scopre intanto che nelle tasche il ragazzo ha soltanto quella cosa a "T", che è una chiave per smontare le candele dei motorini; nessuna traccia di quell'altro aggeggio grigio scuro che potrebbe essere una pistola, ma che Stella non ha riconosciuto come tale; e nemmeno del proiettile. In casa Magnone ci sono due armi: un fucile da caccia e un Flobert. Si corre anche a casa del nonno di Stella, che ha una carabina calibro 22, ma è coperta di polvere, non è stata usata da tempo. Antonio — lo stabilisce l'autopsia — è morto perché un proiettile calibro 22 gli è penetrato sotto la scapola destra e, con percorso dall'alto in basso, gli ha perforato entrambi i polmoni. Tutta la cascina è perlu- gcmsdppbdtddcsptsstds I strata. Si scopre soltanto, nel pomeriggio di oggi, che uno ì dei tre muri che formano un ! gabinetto esterno davanti alla ; casa, presenta una decina di \ buchi. Si guardano i fori e I dentro a due di essi si trova no due proiettili quasi sicura mente calibro 22, come quello che ha ucciso il ragazzo. Senza dubbio il muro è stato usato come bersaglio per tiro a segno, ma da chi? Con quale arma? Dice la madre di Stella: «Qualche volta viene mio cognato, anche lui cacciatore, credo che abbia un Flobert, mi pare che qualche volta abbia sparato». Lo stesso cognato, Carlo Magnone, 47 anni, ieri pomeriggio, quando è successo il fatto era a lavorare in fabbrica, è arrivato alla cascina sul far della sera, per aiutare la madre di Stella a caricare il fieno. mdunpszcAtp La ragazzina viene interrogata, piange, si dispera. « Perché non volete credere alla mia versione? Se insistete a sospettarmi, io faccio la fine di Antonio». Le mostrano due particolari che lasciano perplessi: l'erba sul sentiero sembra che sia stata schiacciata dal punto in cui è stato trovato il cadavere in direzione della casa. Non verso la strada, dove c'era la bicicletta; come cioè se il giovane fosse stato ucciso nella cascina e poi trascinato lontano. E una traccia di verderame che è stata trovata sulla parte posteriore dei pantaloni di Antonio. Anche questo elemento deporrebbe a favore della tesi sopra esposta, perché l'uni¬ ca chiazza di verderame che c'era a terra si trova sul limitare del cortile. Stella, di fronte a queste contestazioni, si abbandona a crisi isteriche, poi sviene, per due volte. Ma quando riprende conoscenza ripete che lei non c'entra, lei è andata a prendere Antonio sulla strada, già sanguinante. Altra ipotesi che si affaccia è quella di un proiettile vagante: la zona è riserva di i caccia, battuta dai bracconieri e dai guardacaccia. « Naturalmente prendiamo in esame anche questa — dice il capitano Madonia —, anche se ci pare poco probabile ». Remo Lugli Maria Tatavitto e Michele Menfì, i genitori della vittima: morte misteriosa per un colpo di pistola

Luoghi citati: Asti, Campobasso, Tonco, Torino, Villafranca