Rivoltosi arresi di Ennio Caretto

Rivoltosi arresi Rivoltosi arresi ? l o i i a l (Segue dalla 1 ' pagina) rabinieri devono farsi gettare le chiavi dai detenuti. E' la fase più grave dell'intera vicenda. Il pretore di Augusta, Carrozza, e il procuratore capo, Astuto, tentano inutilmente di negoziare con Sansone, Mayer, Maurini e La Criola. I primi due carcerati paiono aver perso l'autocontrollo: l'uno ha davanti a sé vent'anni di detenzione per rapine e tentato omicidio, l'altro 29 per omicidio. Gridano che non hanno finito l'appuntato Mericio « in segno di buona volontà ». Maurini e La Criola, condannati entrambi a nove anni per reati diversi, sono invece abbastanza padroni di sé. Colloqui agghiaccianti si svolgono nella luce accecante dei riflettori dal cortile alle finestre delle celle. L'arrivo da Catania del procuratore generale Buscemi, per niente disposto ad un accordo, anziché sbloccarla, rischia di far precipitare la situazione. Fortunatamente, la massa degli altri prigionieri non partecipa alla rivolta: immobile, segue gli eventi dalle porte e dai corridoi. Quando nel primo pomeriggio di oggi metto piede nel penitenziario, mi raccontano che la vita dei sei ostaggi di questo secondo gruppo di rivoltosi era stata in gioco per tutta la notte. Si è dimostrata provvidenziale la presenza dei due avvocati di Giuseppe Sansone, Capria e Bramanti, accorsi a trattare col loro cliente. Sono loro che hanno ottenuto la sospensione dell'ultimatum («O ci liberate 0 avrete undici morti sulla vostra coscienza ») e che hanno strappato una concessione dopo l'altra. Poco prima dell'alba, da soli, si sono spinti fino all'ultimo braccio del secondo piano, con un registratore, per raccogliere le commoventi indicazioni dei tre appuntati e delle tre guardie fatti prigionieri. I nastri magnetici, letti al loro ritorno, hanno sconvolto gli ascoltatori: «Fate pretos, fate presto, sono capaci di tutto », ripetevano gli sventurati. Di fronte alla ostinazione del procuratore Buscemi sembrava che ogni via di uscita fosse preclusa. La prima e forse più importante svolta positiva è avvenuta verso le 8 del mattino, quando, al termine di estenuanti discussioni, è prevalsa la decisione di temporeggiare e negoziare coi detenuti a tutti i costi. Il primo gruppo, quello formato da Ibbà, Lazzarino, Caponero e Salerno, ha gradatamente accettato il trasferimento ad altri penitenziari. Mentre la città si risvegliava, esso ha rimesso in libertà l'appuntato Carbozzo e la guardia Rinaldi. Questa notizia ha probabilmente avuto un effetto positivo su Sansone e i suoi compagni, presso 1 quali, con crescente persuasione, si erano adoperati due compagni, Agrippino Costa e Michele Giglio. Alle 8,15, infatti, il secondo gruppo dei rivoltosi concedeva a Salvatore La Bianca di abbandonare la cella. Vestito in abiti civili, estenuato, ancora impaurito, l'appuntato rivelava ai carabinieri di essersi invano offerto come vittima, purché rilasciassero i compagni. « Dovete convincerli — ha detto —, bisogna salvare anche gli altri ». La Bianca ha portato anche una richiesta dei detenuti: la visita dei congiunti. Alle dodici circa, giungono alle carceri i famigliari di Giuseppe Sansone. La madre, Angela Foresti, di 52 anni, è la prima a recarsi nelle celle. E' una donna di media statura, bionda, ben vestita, con gli occhiali. Ha lo sguardo impietrito, non dice una parola. Scompare dietro il portone di ferro in un terribile silenzio. Nell'ingresso, con in braccio il figlio di pochi giorni, la ragazza che Giuseppe Sansone visita tra un'evasione e l'altra e che considera sua moglie, attende angosciata. Si chiama Maria Teresa Giancano, ha 25 anni, è bruna, piccola, grassoccia. La tensione e il caldo le fanno perdere i sensi. La portano in infermeria, la rianimano, col piccolo David l'accompagnano oltre il portone. Più tardi, quando entreremo tutti nelle celle, sarà l'unica a nascondersi, insieme con il bambino. Per oltre tre ore, dal cortile e dal braccio del penitenziario non arrivano più notizie. Il procuratore Astuto e gli avvocati Cartia e Bramante, che vanno e vengono tra la direzione e i detenuti, si limitano a dire che le trattative proseguono. Poi, improvvisamente, poco dopo le quindici, il cancello si spalanca: è Gianfranco Mayer, che ha ottenuto il permesso di telefonare al fratello, carcerato a Fossano. Dal centralino dell'ingres-1 so, tra le guardie, i carabinieri e i giornalisti, parlando un po' in italiano e un po' in slavo, il rivoltoso chieI de di essere trasferito in Piemonte. E' un giovane atticciato dai capelli lunghi, con la camicia aperta, madido di sudore. Il dialogo, concitato, dura quasi mezz'ora. Alla fine, i funzionari della procura lo spingono al piano di sopra. E' forse il segno della schiarita definitiva. Significa infatti che Maurini e i suoi compagni hanno modificato le loro richieste, che sono disposti a un compromesso. Passano pochi minuti, e il pcdrivtesrpmln—lan1pegAtdGsqpvvpsChtMaAfetahaqtsStcVtvrrtcecgaEcuupgfvmf procuratore Astuto annuncia che vogliono la mediazione di Giuliana Cabrini, segretaria della «Lega socialista non violenta per la difesa dei detenuti perseguitati dalla giustizia borghese». Mayer viene rimandato nell'interno della prigione, l'atmosfera si fa meno tesa. Si apre il portone, ne esce la madre di Giuseppe Sansone. « Piange — dice del figlio — è stanco, lasciatemi parlare col procuratore ». E' un attimo, e la coraggiosa donna scompare di nuovo. Alle 16,45 esatte, dai cortili irrompe la guardia Carmelo Paci, e due minuti più tardi lo segue il commilitone Antonio Artieri. Nelle mani dei rivoltosi ci sono ormai soltanto due ostaggi, Gaetano Padri e Giovanni Novella. Raramente ho assistito a scene così commoventi come quella dell'abbraccio degli appuntati ai loro compagni. Diventa palese a tutti che la vicenda sta per sbloccarsi. E per uno strano caso, il personaggio - chiave è Giuliana Cabrini. La giovane radicale ha inviato in mattinata un telegramma a Sansone e Maurini, annunciando il suo arrivo. « L'aspettano — dice Artieri, coperto di sudore, affaticato —, vogliono fare alleile una dichiarazione alla tv ». All'insaputa dei più, gli avvocati Capria e Bramanti hanno seguito il viaggio in aereo della torinese: sanno quando è arrivata e ripartita da Roma, e ne segnalano la presenza all'aeroporto di Catania alle 17. Sansone esige la parola d'ordine, « / rivoluzionari piangono solo di gioia. Soccorso rosso ». Giuliana Cabrini sale le scale quasi di corsa. E' una ragazza piccola, decisa, con gli occhiali, i capelli rossi. Dopo un breve colloquio, ottiene la liberazione anche degli ultimi due ostaggi. Il penitenziario è quasi in festa. Si aprono i cancelli, i quattro detenuti desiderano incontrare esclusivamente «la vera stampa di sinistra», ma saliamo tutti fino alle loro celle. C'è una sporcizia incredibile, gli altri carcerati ci guardano con ansia. I protagonisti della drammatica avventura sono raccolti intorno ad un tavolo. Bastano poche parole per capire che è stato Sansone a capeggiare la tragica protesta, e che Mayer ne ha alimentato la furia, ma che l'autorità « politica » appartiene a Maurini. E' infatti questi a prendere la parola. Accusa il procuratore Buscemi di « provocazione » («Avrebbe voluto una vittima, ci ha urlato di fare quello che ci piaceva»), mette in rilievo la « maturità di classe » propria e dei compagni. Si professa un comunistamarxista-ortodosso « estraneo ai gruppi », « che rifiuta qualsiasi etichetta ». L'ultimo intervento è quello della Cabrini. « S0710 venuta per fare un'opera di mediazione politica — dichiara —-. La nostra lega propone una nuova strategia per la riforma carceraria: quella della non violenza, dei digiuni, della battaglia per i diritti civili ». Me ne vado mentre questa straordinaria conferenza stampa si scioglie. Sulla soglia, mi fermano altri carcerati: « Avete visto — mi dicono —, non è successo nulla. Abbiamo evitato incidenti, abbiamo dimostrato di non nutrire malanimo verso i nostri carcerieri, abbiamo cercato di impedire il peggio. Speriamo che lo spirito di collaborazione emerso oggi continui per tutti. Lo scriva, ne abbiamo bisogno ». Ho la sensazione che la vicenda odierna debba necessariamente ripetersi, in Italia, fino a quando non saranno presi i provvedimenti per migliorare le situazioni nelle nostre prigioni: è vero che ex detenuti comuni, politicizzati in modo disordinato, predisposti alla violenza, alimentano forse un disagio assai diffuso, e tuttavia c'è, nella loro protesta, una causa obiettiva. Ennio Caretto

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