"Obiettivo la pace" di Vittorio Zucconi

"Obiettivo la pace" "Obiettivo la pace" (Dal nostro inviato speciale) Salisburgo, 2 giugno. « L'obbiettivo è la pace », hanno detto Ford e Sadat a conclusione del vertice di Salisburgo, ma lo strumento è il nuovo piano americano a tappe per un accordo globale in Medio Oriente che, di fatto, il presidente egiziano ha accettato oggi. Ora Ford e Kissinger lo presenteranno al primo ministro israeliano Rabin, a Washington, ni e il 12 giugno e, se la risposta israeliana sarà abbastanza favorevole, lo renderanno noto alla fine del mese. La decisione di dimezzare il numero dei carri armati e di ritirare le artiglierie sulla linea di demarcazione nel Sinai, annunciata oggi da Rabin, sembra indicare che gli israeliani sono consci della necessità di non farsi «spiazzare» dalle iniziative egiziano-americane e forse pronti a pagare il loro prezzo per la pace per quanto alto sia. Sadat ha definito il gesto israeliano «molto incoraggiante» e un passo giusto verso il raggiungimento della convinzione che «il conflitto arabo-israeliano non può essere risolto con la forza». Come si concretizzeranno le speranze nate oggi a Salisburgo è ancora difficile dire e ciò che era impossibile tre mesi fa non è diventato improvvisamente facile stasera. Ma il vertice in Austria, che il segretario di Stato americano ha definito «molto costruttivo, molto importante, molto positivo», può riaprire quel processo verso la pace che alla fine di marzo, nel fallimento della missione Kissinger, sembrava bloccato. L'idea di fondo che ha conquistato Sadat e si spera potrà conquistare Rabin, è stata di sostituire alla diplomazia dei «passetti alla volta » (step by step) una strategia dei «grandi passi», una serie di grandi e concreti accordi collegati fra loro e divisi in quattro tappe fondamentali: intesa fra Egitto e Israele, fra Siria e Israele, soluzione della questione palestinese con uno Stato autonomo, convenzione di Ginevra per definire i dettagli, ratificare gli accordi e includere l'Urss nel quadro generale (i sovietici sono copresidenti della Conferenza) non solo per calmarne i timori di esclusione, ma soprattutto per corresponsabilizzarli nella pace. L'altra novità sostanziale della posizione americana, uscita dalla revisione della politica Usa ordinata da Ford, è la presenza di un obbiettivo tinaie chiaro, nel quale inserire le tessere degli accordi parziali: l'obbiettivo è la risoluzione Onu 242, nella quale Israele è chiamato a restituire «territori occupati» (non necessariamente tutti) in cambio di frontiere «sicure e riconosciute». Per due volte, in occasione di brindisi, Ford ha cominciate i suoi discorsi alludendo a tale risoluzione come sola base per una «pace giusta e durevole nel Medio Oriente». Sadat ha risposto in termini traboccanti entusiasmo, definendo Ford «un lottatore per la pace» e «delizioso», illuminante, l'incontro con il nuovo presidente che egli «ha sempre stimato, ben sapendo che il Parlamento americano ne tradiva la politica». Il riferimento al Congresso e alla risoluzione dei 76 senatori favorevoli ad un incondizionato appoggio ad Israele è stato assai pesante. Concretamente, le trattative — sempre se Israele accetterà il risultato di Salisburgo — si svolgeranno in varie sedi, a Washington ( dove Ford ha invitato Sadat) così come nelle capitali mediorientali e, non necessariamente, con una ripresa della tradizionale «spola» kissingeriana. E' probabile che gli israeliani saranno tuttavia assai meno entusiasti per le nuove idee americane di quanto lo sia stato Sadat ed è chiaro che ormai l'amministrazione americana muove decisamente per forzare la mano a Israele. Washington, con il vertice austriaco, cerca di porre gli israeliani in condizione di non poter rifiutare o di assumersi interamente la responsabilità del peggio. A Rabin, Ford chiederà una enorme prova di fiducia, poiché la sola garanzia di successo durante le trattative sarà quella americana, dunque una garanzia sulla carta, mentre Israele dovrà restituire quelle terre cui sempre si è abbarbicato come all'unica polizza d'assicurazione, militare e politica, sulla propria esistenza. Il punto, chiaramente espresso da Ford è che — per quanto duri possano apparire i sacrifici ad Israele — ad essi non c'è alternativa se non la .guerra. E la guerra, oggi, con il nuovo armamento missilistico arabo, che riduce la superiorità aerea israeliana, con il petrolio come una spada di Damocle su tutto l'Occidente, con le difficoltà nel fianco meridionale della Nato, con la possibilità che la disperazione faccia uscire allo scoperto armi atomiche nascoste in Medio Oriente, non è una alternativa, bensì la fine delle alternative. Perché mai, ci si chiede tuttavia, i «grandi passi» dovrebbero essere più facili dei «piccoli passi»? Il paradosso si spiega, da parte americana, | con l'osservazione che le piccole concessioni dilazionate danno alle parti (specialmente ad Israele) l'occasione per alzare il prezzo del negoziato. Le concessioni territoriali — cioè la parte spettante a Gerusalemme — sono divisibili in molte tappe, ma le concessioni politiche (quelle richieste al Cairo, e al mondo arabo) sono indivisibili. Si possono cioè dare dieci miglia di terreno alla volta, ma il riconoscimento ufficiale di uno Stato, o il rifiuto dell'uso della forza non sono spezzettabili: o si danno o non si danno. Su questo punto fallì proprio la missione kissingeriana di marzo. Ponendo i contendenti davanti all'intera posta, che per Israele non può che essere il riconoscimento finale delle frontiere del '67 ritoccate e per gli arabi la ripresa quasi integrale delle terre perdute, gli americani ritengono di semplificare la partita, costringendo i giocatori allo scoperto. E nel contesto di questo «grande gioco» potreb bero cadere pure le remore a piccoli accordi interinali, visti finalmente in prospettiva e non più isolati. Sadat, che alla fine di mar¬ zo proclamò defunta la mediazione americana e oggi saluta in Ford il «combattente per la pace», ha trovato nel piano americano non solo importanti vantaggi politici, ma una grossa ricompensa economica. Se si avanzerà sulla via della pace, Washington offrirà al Cairo un poderoso aiuto economico, promuovendo un fondo internazionale di sviluppo al quale contribuiranno il Fondo Monetario Internazionale, l'Export - Import Bank americana, l'Iran e l'Arabia Saudita, con una dotazione iniziale di 2 miliardi di dollari, 1200 miliardi di lire. Questo in aggiunta all'aiuto Vittorio Zucconi (Continua a pag. 2 in quarta colonna) La linea di separazione stabilita dall'accordo del 1974