Nel Veneto tutti all'assalto del gigante democristiano di Giuliano Marchesini

Nel Veneto tutti all'assalto del gigante democristiano A caccia di voti nel "serbatoio bianco,, Nel Veneto tutti all'assalto del gigante democristiano Il dramma dell'emigrazione, la decadenza di Venezia, la crisi agricola (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 30 maggio. Si tratta di vedere se il grande serbatoio di voti tiene oppure ha delle perdite. Il «serbatoio» è il Veneto e i voti, naturalmente, sono quelli democristiani, che da queste parti sono sempre stati particolarmente abbondanti, come un raccolto nella fertile campagna. Gli sguardi sono dunque rivolti alla de, la quale affronta con una certa trepidazione la prova della consultazione elettorale. Il partito dello scudo crociato dispone alla Regione della maggioranza assoluta (nelle elezioni del '70 ottenne 1 milione 280 mila 94 voti, pari al 51,88 per cento): la giunta di Palazzo Balbi è monocolore. Per gli altri schieramenti politici, c'è la speranza che dopo il 15 giugno qualcosa cambi, che si incrini questa egemonia bianca che s'è estesa da Verona a Venezia. L'ultimo termine di confronto elettorale, sia pure in maniera indiretta, è quello del 13 maggio dello scorso anno: il referendum sul divorzio, per il quale i democristiani condussero qui una battaglia accanita. Fu un impegno tormentato, si aprirono vistose fenditure nell'ambiente cattolico: ricordiamo la clamorosa presa di posizione degli studenti della Fuci veneziana a favore del «no» ed il conseguente severo intervento del patriarca, le prediche di certi preti che invitavano i fedeli a votare «secondo coscienza e in assoluta libertà» Nella sconfitta generale sul fronte del divorzio, il partito dello scudo crociato trovò ancora qualche motivo di con solazione nel Veneto, dove la maggioranza si espresse per il «sì»: ma lo scarto di voti stava nel limite di qualche decina di migliaia. Non solo, ma in qualche provincia, come Venezia e Rovigo, i divorzisti ebbero la supremazia. Qualcosa mutava nell'elettorato cattolico veneto e forse i dirigenti della de non se n'erano accorti, fidando come il solito nella compattezza dello schieramento. Le preoccupazioni, dunque, non mancano in casa democristiana, soprattutto in un periodo come questo, carico di tensioni. Un sintomo delle ansie potrebbe essere la lunga preparazione delle liste dei candidati all'amministrazione regionale: si dice che la stesura degli elenchi abbia richiesto giornate di discussioni, durante le quali sarebbero affiorati contrasti di corrente e si sarebbero affannosamente cercati equilibri tra i cosiddetti «rumoriani» ed i «bisagliani». Intanto s'è accesa la battaglia sul grandi temi della campagna elettorale, sulle proposte che ciascuno sotto pone all'elettorato, per il futuro del Veneto. Si sa qual è la linea tracciata dalla de, a parte il discorso generale sull'ordine pubblico. In sostanza, il programma democristiano si articola su otto punti fondamentali: riqualificazione del settore agricolo; trasporti e infrastrutture di comunicazione; sicurezza sociale; formazione professionale e promozione culturale; servizi ed attività produttive; soluzione degli angosciosi problemi di Venezia e del comprensorio lagunare; difesa dell'ambiente; riequilibrio territoriale. Gli esponenti del pei respingono l'immagine di un Veneto dallo sviluppo economico nel complesso solido, dalla situazione sociale priva di tensioni troppo laceranti, dal clima politico sostanzialmente stabile per la mediazione della maggioranza assoluta democristiana. Ricordano il dramma dell'emigrazione, le tribolazioni del Polesine, la crisi della montagna, i salari più bassi che nel resto del Paese. «Certo è che oggi — aggiungono — quest'immagine del Veneto non solo è del tutto improponibile, ma va esattamente rovesciata». Secondo i comunisti, questa regione «paga insieme le distorsioni dello sviluppo imposto dai grandi monopoli e il costo di uafiapi un sistema di potere della de assoluto e incontrollato ». Per i socialisti, l'esigenza fondamentale è quella di «ridimensionare la de, limitando il suo enorme potere attuale». Il psi si pone dunque come alternativa, sulla base di un programma con tre direttrici: in primo luogo l'agricoltura, per la quale suggerisce un radicale mutamento che consiste nel portare il lavoro della terra a livello industriale. Poi, una nuova politica del territorio: nel Veneto, sostengono i socialisti, esistono troppi piani regolatori che hanno il solo intento di favorire la speculazione privata a scapito di una più razionale utilizzazione del suolo e delle sue risorse. Infine, il psi insiste per una nuova politica di industrializzazione della regione. «La nostra premessa politica di fondo — dicono a loro volta i socialdemocratici — è di evitare possibili alternative al centro-sinistra nel caso in cui i democristiani non ottengano la maggioranza assoluta. Noi abbiamo sempre sostenuto che il monocolore è stato un elemento paralizzante dell'amministrazione regionale. E c'è un fatto paradossale: la de non può mediare i contrasti nel suo interno, mentre un confronto con altri schieramenti politici finirebbe per farle bene». Per i repubblicani, il problema fondamentale è quello di Venezia, della sua decadenza, della sua malattia. Prima era una questione dello Stato, osservano, adesso diventa un problema della Regione: il dibattito su Venezia, su Marghera, sul cosiddetto porto dei petroli, sui collegamenti con le altre zone, si sposterà in Consiglio regionale. Secondo i liberali, infine, l'amministrazione regionale che scade non ha tenuto conto di tutte le esigenze della popolazione. Il pli imposta la sua campagna elettorale nel Veneto su uno slogan: «Tra il dire e il fare c'è di mezzo la de». Giuliano Marchesini

Persone citate: Balbi