Il rivoluzionario "Cineocchio,, di Gianni Rondolino

Il rivoluzionario "Cineocchio,, Il rivoluzionario "Cineocchio,, Dziga Vertov: « L'occhio della Rivoluzione », a cura di P. Montani, Ed. Mazzotta, Milano, lire 3800. Dei grandi autori del cinema sovietico rivoluzionario, che negli Anni Venti posero le basi per la creazione di un nuovo modello cinematografico che avrà grande influenza non soltanto in Unione Sovietica ma anche negli altri Paesi, Dziga Vertov — insieme a Lev Kuleshov — è certamente il meno noto o, se si vuole, il più incompreso e mal studiato. Nonostante che in questi ultimi dieci-dodici anni i suoi film abbiano avuto una notevole diffusione attraverso varie rassegne retrospettive, e alcuni suoi scritti siano stati pubblicati in riviste specializzate, e benché sia apparsa in traduzione italiana e francese la biografia « ufficiale » di Vertov scritta dal sovietico Nikolaj Abramov, uno studio organico storico-critico sulla sua opera non è stato ancora fatto. Vertov fu spesso scambiato per un teorico e i suoi film per esperimenti e applicazioni pratiche della sua teoria, cosicché i suoi articoli, saggi, manifesti e programmi, anziché essere letti come dichiarazioni di poetica o come appelli accalorati per una radicale rivoluzione nell'uso del cinema, per quella che egli definì la cinematografica «decifrazione comunista del mon do », vennero intesi come elementi di una teoria generale del film c, come tali, giudicati ingenui, estremisti, addirittura formalisti. La maggior parte degli storici del cinema e delle sue teoriche valutarono l'opera di Vertov alla luce di questi errati presupposti, e il loro giudizio non molto si differenziò da quello fortemente riduttivo dello stalinista Nikolaj Lebedev, di cui lo stesso Abramov, in piena destalinizzazione, riprese certe opinioni fortemente limitative e soprattutto fuorvianti. A complicare la situazione e a portare il discorso vertoViano su posizioni scorrette ci furono i vari movimenti e autori del cosiddetto « cinema-verità », che intesero male le idee e la pratica cinematografica del grande regista, identificando cinema e real¬ tà come fossero la stessa cosa, quasi che la cinecamera dovesse limitarsi a riprodurre la realtà fenomenica « oggettivamente » senza intervento alcuno da parte dell'operatore-autore. Laddove Vertov, teorizzando il suo « Cineocchio », diede grande importanza al montaggio come scelta del materiale, sua elaborazione formale, suo inserimento in un tessuto filmico attentamente studiato. E l'equivoco venne anche dall'aver confuso la « Kinopravda » (Cineverità), cioè il cinegiornale sovietico diretto da Vertov, con il « cinemaverità », come formula teorica e programma di lavoro. Vertov invece volle soprattutto combattere il cinema di finzione, quello teatrale e narrativo che si produceva tanto nei paesi capitalistici quanto in Unione Sovietica, puntando tutte ie sue carte su un impiego diverso della macchina da presa, considerata il nuovo mezzo, semplice e alla portata di tutti, d'una lingua universale, autenticamente popolare, perché costruita su elementi realistici non ancora manipolati dalla cultura letteraria, di immediata comprensione e di rapida comunicazione. La nuova « verità » (antiborghese e anticapitalistica) doveva nascere da una nuova decifrazione del reale, fuori degli schemi d'una cultura che per troppi secoli era stata al servizio della classe al potere. Sotto questo aspet- to, la sua pratica del cinema — ben presto violentemente criticata in patria e ostacolata in tutti i modi — anticipò il cosiddetto « cinema militante » e lo sviluppo recente del cinema alternativo j basato sull'impiego di materiale estremamente maneggevole e poco costoso, come i videotapes. Grazie a Pietro Montani, un attento studioso del cinema sovietico degli Anni Venti, che vi ha premesso una lucida introduzione, esce ora la traduzione italiana, parziale, della raccolta degli scritti vertoviani pubblicata a Mosca nel 1966, e già tradotta tre anni fa in francese. E' possibile pertanto ripercorrere il cammino di Vertov e leggere integralmente alcuni suoi saggi, articoli e dichiarazioni fondamentali, che consentono un riesame dell'intera questione del suo cinema e offrono un materiale preziosissimo per un attento studio della sua opera. Peccato che Montani abbia escluso dalla sua antologia le pagine di diario e i ricordi e non vi abbia compreso quegli articoli polemici contro Eisenstein e Lebedev, che pure egli cita nella sua introduzione. Ne sarebbe venuto fuori un libro certamente più vivo e stimolante, e un poco fuori degli schemi obbligati d'una editoria alquanto accademica e ancora imbrigliata in certe secche politico-culturali, come quella sovietica. Gianni Rondolino Vertov: al foxtrot

Luoghi citati: Milano, Mosca, Unione Sovietica