Un'Officina viva

Un'Officina viva Un'Officina viva La rivista di Pasolini e Fortini, l'esperienza del "Verri" Gian Carlo Ferretti: « Officina ». Cultura, letteratura e politica negli Anni Cinquanta, Ed. Einaudi, pagine 498, L. 12.000. Il Verri: « 1956-1974. Indici generali », con un intervento di Luciano Anceschi, Ed. del « Verri », pagine 153, L. 2000. La grande accelerazione che la storia ha avuto soprattutto negli ultimi tempi, con il sorgere e il tramontare vertiginosamente rapido di j situazioni, movimenti, mode culturali, problemi e posizioni ideologiche, soluzioni politiche e letterarie, ci porta ora, alla distanza di poco più 1 che quindici anni, la sistemazione storiografica, a opera di Gian Carlo Ferretti, della : rivista Officina, che, fra il i maggio 1955 e il giugno 1959, rappresentò il primo, vigoroso tentativo di rinnovamento della cultura italiana dopo i grigi anni di riflusso seguiti all'esplosione vitale ma precaria della liberazione. L'operazione storiografica è perfettamente attuata da Ferretti: un'amplissima introduzione, un'antologia essenziale dei testi critici, poetici e narrativi pubblicati dalla rivista, gli indici completati con la indicazióne della successiva pubblicazione in volume, da : parte dei vari autori, delle pagine dapprima stampate su Officina, una raccolta di do-1 cumenti (lettere, relazioni, ; verbali) dei redattori e di1 collaboratori, infine una serie : di giudizi e di testimonianze : su Officina, scritte dai redat-: tori-collaboratori Fortini, Leonetti, Pasolini, Roversi, Romano, Scalia, per la sollecitazione di Ferretti. Il discorso introduttivo di ; Ferretti è un'analisi minuziosa e puntualissima sia dei testi (critici, soprattutto) di j Officina, sia delle implicazioni ideologiche (letterarie, politiche, morali) presenti nelle posizioni e nella funzione, all'interno della rivista, dei1 ! singoli redattori e dei collai boratori più costantemente presenti e attivi, sia, infine, del significato dell'intera operazione culturale compiuta da Officina, sullo sfondo, da un lato, della crisi provocata dal XX congresso del partito co- ' munista dell'Urss con la de- ; nuncia dello stalinismo e dai fatti d'Ungheria del 1956 (ai | quali sono presenti, nella ri-1 I vista, le reazioni appassionate ' di Pasolini e di Fortini, che i si leggono ancora oggi con ini tatta partecipazione); dall'ali tro, della fine del neorealismo i e dell'entrata in circolo del marxismo gramsciano, saldamente ancorato, nelle interpretazioni di quegli anni, alla tradizione storicistica nazionale. Ferretti finisce a fare una sorta di catalogo o requisitoria dei limiti intrinseci al la-. voro di Officina, come l'ostinata polemica antinovecentesca, soprattutto antiermetica, che finisce a coinvolgere in modo abbastanza indiscriminato l'intera avanguardia del Novecento, anzi l'intera letteratura della decadenza e della crisi borghese, perpetuando, in ultima analisi, le posi¬ zioni retrive e provinciali di lontana memoria carducciana e crociana e di più recente impostazione marxista, del marxismo ottimista e trionfalistico dell'immediato dopoguerra; o come l'assenza di apertura europea della rivista, che rimane, sia nelle sezioni critiche, sia nei testi, esclusivamente limitata all'ambito italiano, anch'esso, poi, visitato con le carte offerte dalla tradizione locale, se si eccettua il felice, anche se un poco spericolato uso che Pasolini fa di strumenti e di idee derivate dalla grande lezione di Contini. Non c'è dubbio che la parte critica di Officina risenta molto pesantemente dei pur non molti anni trascorsi: l'aggiornamento culturale dopo il 1960 è stato così intenso e così rapido da travolgere non soltanto lo storicismo rinfrescato sull'opera di Gramsci vista con gli occhiali crociani, ma anche la moderata stilistica di Pasolini, che pure ebbe il gran merito di fornire, con il saggio sul Pascoli nel 1" numero, il primo esempio di rinnovamento degli studi pascoliani nel dopoguerra. Di fronte all'orientamento in direzione sociologica della critica marxista (che soltanto certe pagine di Scalia sul De Sanctis sembrano preludere), all'ingresso massiccio nella cultura italiana dello strutturalismi e della semiologia, alla diffusione della cosiddetta « nouvelle critique » francese, alla critica psicoanalitica, alla meditazione di esperienze fondamentali quali quelle di Auerbach e di Frye o di Propp, l'orizzonte culturale di Officina appare angusto, un poco soffocante, comunque molto ritardato. Eppure la lettura dell'antologia della rivista (e più quella completa della rivista) riesce ancora a prendere, con una forza e una persuasività intatte, al di là dell'insofferenza per i limiti culturali dei discorsi critici. Il fatto è che Officina resta un fenomeno straordinario, e ben difficile a ripetersi, di lavoro parallelo d'un gruppo di personalità d'eccezione. Voglio dire che la forza di Officina nasce dal fatto che, in essa, si trovarono insieme personalità decisive nella storia della poesia e della cultura di questi nostri anni come Pasolini e Fortini, Leonetti e Roversi, in un lavoro certamente non unitario e anche, a volte, contraddittorio, ma sempre vivo e provocatorio (con il sostegno, poi, di critici inquieti e curiosi, come Romano e Scalia). Soprattutto la parte avuta da Fortini, questa grande coscienza inquieta della cultura italiana del dopoguerra fin dai tempi del Politecnico di Vittorini, appare fondamentale, per la capacità acutissima di convogliare nel discorso, critico o poetico che sia, le ragioni della politica come quelle della poesia, l'inquietudine della ricerca morale e quelle della discussione dei metodi, all'interno di un'idea della letteratura e, più generalmente, della parola, come giudizio del presente e, insieme, estrema tensione profetica verso un mondo rein- I tegrato rispetto a ogni erro! re e orrore, oppressione e in! ganno. Dopo Officina, si apre il tempo del Verri (più che \ quello delle riviste di esclu: sivo discorso politico, come i ! Quaderni piacentini, come scrive nell'« allegato » Fortini, ì questa volta peccando un po! co di «prospettivismo»): : cioè vengono gli anni della neoavanguardia, preannuncia| ta su Officina da quel diverti! mento in versi che è Una po. lemica in prosa (contro Pa! solini) di Sanguineti. Leggen' do proprio in questi giorni l'indice del Verri 1956-1974, curato da Lucio Vetri, che vi premette un lucidissimo bij lancio del lavoro della rivista | nelle diverse fasi e nelle inI carnazioni successive, ma ; sempre sotto l'inquieta e ap| passionata sollecitazione di | Luciano Anceschi (di cui si I può leggere l'intervento, in | apertura, stupenda rivendicazione del valore del cammino percorso e proposta vitale per il lavoro futuro), si può misurare lo stacco violento : fra la ricchezza di prospettive e di interessi del Verri e la limitatezza di fondo di Officina. Ma rimane pur sempre il rimpianto per un tempo in cui etica e poesia, letteratu| ra e politica, erano riuscite | a convivere, sia pure in pre, cario equilibrio, sulle pagine di una rivista che ebbe il merito di non essere mai una I « antologia » accademica. G. Bàrberi Squarotti

Luoghi citati: Ungheria, Urss