Gli scali dell'Italia e il Canale di Suez di Filiberto Dani

Gli scali dell'Italia e il Canale di Suez Il 5 giugno la "via d'acqua„ sarà riaperta Gli scali dell'Italia e il Canale di Suez I porti della Penisola devono attendersi un incremento di traffico non inferiore agli 11 milioni di tonnellate di merci - Favorite Genova, Trieste, Napoli e Palermo (Nostro servizio particolare) Genova, 27 maggio. L'appuntamento è per il prossimo 5 giugno, giorno in cui il Canale di Suez, dopo otto anni di forzata inattività, verrà riaperto al traffico. E' un evento al quale i porti italiani guardano con grande speranza perché da esso si ripromettono di trarre i maggiori benefici. «Il Mediterraneo non sarà più un lago» dicono con esultanza gli operatori ponendo l'accento sul fatto che il ripristino della celebre via d'acqua agevolerà il ritorno di buona parte del traffico marittimo ai nostri approdi, dopo il dirottamento su quelli del Nord Europa, avvantaggiati dalla chiusura del Canale. Pino al 1966 c'è stato un costante incremento del traffico di merci secche attraverso Suez, tanto che l'Italia è passata nel 1965 al primo posto fra i Paesi che si servivano del Canale superando l'Inghilterra. Dal 1967, anno di chiusura, ad oggi, è stato calcolato che su 15 milioni di tonnellate di merci secche entrate o uscite dai Paesi d'oltre Suez, soltanto quattro sono passate dai porti italiani, con una perdita netta di 11 milioni di tonnellate. Gli scali della Penisola debbono quindi attendersi dalla riapertura del Canale un incremento di traffico non inferiore agli 11 milioni di tonnellate, di cui un terzo rappresentato da carichi in «containers». «La merce sceglie sempre la via più economica» dicono gli operatori, sottolineando che la via di Suez, tagliando fuori la rotta del Capo di Buona Speranza, riduce di almeno dieci giorni i viaggi da e per l'Estremo Oriente e l'Africa Orientale. Di tre giorni i viaggi per l'Australia, del 63 per cento quelli per l'India e il Giappone. Se la previsione degli undici milioni di tonnellate in più di traffico si rivelerà esatta l'intera rete portuale italiana beneficerà di questo auraen to, ma è chiaro che la parte del leone la faranno Genova Trieste, Napoli e Palermo. Ec co allora la domanda che viene subito alla mente: sono preparati questi porti per l'appuntamento del 5 giugno? Andiamo a vedere come stanno le cose e cominciamo da Genova, il maggiore scalo italiano, che contende a Marsiglia il primato in tutta l'area del Mediterraneo. E' il polo dell'economia della città, della regione, e uno dei cardini del «triangolo»: è, anche, il porto degli svizzeri, della Ba viera, di mezza Austria. Ha diecimila dipendenti, di cui seimilacinquecento scaricatori, e gli ruota attorno l'attività di altre ventimila persone. Nel 1967, l'anno della crisi, ha un poco regredito, ma senza collassi. Dai 63 milioni di tonnellate di merci imbarcate e sbarcate del 1973 (inclusi prodotti petroliferi) è sceso a una sessantina. Il taglio nel movimento dei petroli, per il ridotto consumo nazionale, porta la responsabilità preva lente del calo; un incremento delle merci all'imbarco ha compensato la diminuzione degli sbarchi. Quanto traffico in più di merci pregiate si aspetta il porto genovese dalla riapertura di Suez? Ci sono tre previsioni: un milione e mezzo di tonnellate, secondo lo studio di un gruppo di economisti; un milione di tonnellate, secondo la Camera di commercio; mezzo milione di tonnellate, secondo gli esperti dell'ente portuale. «Ma sono previsioni — spiega Giuseppe Dagnino, socialista, presidente del Consorzio del porto — affidate più all'intuito che al calcolo. A mio parere il lato positivo della questione è che Suez sta stimolando un atteggiamento attivo in un Paese nel quale finora è mancata la programmazione portuale. E' in gioco il ruolo del Mediterraneo con le vie del Nord e in questa lotta Suez ci potrà essere di grande aiuto». Giovanni Agosti, console della Compagnia dei lavoratori che nel porto genovese compiono tutte le operazioni di sbarco e imbarco, è dell'opinione che l'incremento del traffico possa essere ipotizzato «in qualche centinaia di migliaia di tonnellate». «Noi vorremmo — aggiunge — che le ottimistiche previsioni degli economisti si avverassero, ma siccome siamo abituati a ragionare con i piedi per terra, evitiamo di farci delle illusioni». Questa valutazione è sostanzialmente vicina a quella che dà, con ampia argomentazione, il dottor Ottavio Boffano, capo dell'Ufficio studi economici del Consorzio del porto. Dice l'esperto: «Il discorso va fatto tenendo presenti i dati relativi al traffico del porto di Genova con i Paesi d'oltre Suez negli anni che vanno dal 1966 al 1973. Analiz¬ zandoli, si scopre che la perdita complessiva di traffico, come conseguenza diretta della chiusura del Canale, risulta per Genova limitata a 176 mila 715 tonnellate. Ciò significa che le cose sono andate meno peggio di quanto a prima vista molti avevano temuto. C'è una spiegazione: nell'arco degli otto anni è aumentato, via Capo di Buona Speranza, l'interscambio tra il porto genovese e alcuni Paesi d'oltre Suez». Che cosa potrà dunque accadere in termini di traffico con la riapertura del Canale? L'ente portuale avanza tre ipotesi: 1) recupero delle 176 mila 715 tonnellate di traffico, prevalentemente costituito da merci pregiate, perduto dopo il 1966; 2) aumento del 7,50 per cento, pari a 80 mila tonnellate, nel settore delle merci in colli; 3) maggior numero di approdi di navi con un traffico annuo presunto di 240 mila tonnellate. Tirata la somma, si ha un totale di 496 mila 715 tonnellate, ch'è appunto il tasso d'incremento previsto dal Consorzio del porto per il dopo Suez. E' in grado lo scalo genovese di far fronte a questo aumento di traffico? Risponde Giuseppe Dagnino: «La capacità di Genova è, a lungo termine, imperniata sul nuovo porto di Voltri che resta l'eiemento cardine dei suoi problemi, anche prescindendo da Suez. Confido che la mia insistenza possa trovare maggior ■ successo proprio in vista del! la riapertura del Canale, che dovrebbe stimolare il governo ad impegnarsi per un piano più ampio di potenziamento dei porti. Una nuova legge per gli scali italiani, dopo quella recente dei 160 miliardi, dovrà affrontare i problemi nei loro punti nodali. E su questi punti primeggia Voltri come necessità assoluta e imprescindibile». Ma Voltri, per ora, è una realtà soltanto nei plastici che anticipano il suo futuro. E', soprattutto, una questione I di finanziamento: a tutt'oggi I sono stati spesi cinque miliari di (solo la sua prima «tran- che» ne richiederà 150) e sono serviti per la costruzione d'un modesto tratto di diga foranea. Il maggior porto italiano, intanto, continua a dibattersi con i guai di sempre che, avendo come motivo di ] fondo l'assoluta mancanza di spazio, lo rendono vecchio, lento e soprattutto caro. L'ente portuale, comunque, non sta con le mani in mano; proprio in previsione del dopo Suez ha varato un piano di interventi immediati che prevedono una spesa di 45 miliardi di lire: trenta con il finanziamento statale, quindici mediante un prestito coperto con obbligazioni. Sono in programma, tra l'altro, la costruzione del terzo terminal per i «containers», il riattamento della zona delle riparazioni navali con la sistemazione d'un bacino di carenaggio per navi fino a 350 mila tonnellate che entrerà in funzione nel i 1978, l'installazione d'un impianto ad alta potenzialità per lo sbarco delle merci alla rinfusa. Filiberto Dani

Persone citate: Giovanni Agosti, Giuseppe Dagnino, Ottavio Boffano