INCONTRI STRAORDINARI di Giovanni Arpino

INCONTRI STRAORDINARI INCONTRI STRAORDINARI Bestiario urbano L'enorme mastino napoletano avanzava indifferente al traffico di via Roma. I suoi movimenti, regali, di rigorosa meccanica, spostavano maestosamente da un passo all'altro quella rara architettura di mu scoli e ossa. La catena che lo congiungeva al pugno del padrone, benché ritorta di metalli e cuoi e fibbie, pareva superflua. Le vetrine, di banche di scarpe di cravatte, riflettevano il procedere di quella sua massa color nuvola temporalesca. Un bambino gli accarezzò il dorso, che non ebbe palpito. Il chihuahua uscì dal caffè. Tremava tra le braccia di una signora. Squittì più che abbaiare. La sua agitazione era tanta che la signora si vide costretta a posarlo a terra. Subito quel moscerino di bestia, larva di mondi microscopici, s'avventò al mastino. Che continuò ignorandolo, i bui occhi intenti in altro spazio. Il chihuahua cercò di azzannargli un garretto, ma l'aggressione era trepestio di foglia secca. Ancora il moscerino, ubriaco di segreta follia, roteò sui quattro stecchi che gli servivano da zampe prima di precipitarsi contro la montagna inimica. Il mastino, quasi sovrappensiero, parve degnarlo d'uno sguardo. Che non frenò l'aggressore, anzi lo decise a mostrar denti e balzi, a improvvisare una danza di guerra, ma sbilenca e trepida, da farfalla nel sole. La signora non ebbe tempo per gridare, la catena non riuscì a tendersi. Perché il mastino, spalancando le fauci del suo inferno, aveva già ingoiato il chihuahua. S'udì uno scricchiolio, però tenerissimo. La signora svenne tra i portici, la catena ora oscillava, disperata e impotente. Chi uscì da un negozio, volendo saper le ragioni di tanto trambusto, non potè rendersi conto del fatto. Non esistevano tracce. Ci fu il curioso sospiro d'un tale, che esalò « oh, basta là. gli daranno una purga? ». Ma il mastino era ormai lontano, gli strappi della catena non riuscivano a infliggergli la minima vibrazione. * ★ « Sì. Dovrò chiamare un cacciatore. Per quei polli », confida il farmacista: « Non gliel'ho raccontato? Eppure mi pareva d'averle detto del mio orto. In collina. Beh. Proprio in quell'orto, che ho comperato per trafficare alla domenica con rose oggi e peperoni domani, ci sono i polli da uccidere. Ma senza un cacciatore, ne conosce uno lei?, non ci torno. E' capitato così, accidenti alle mie trovate. Con tutti quei vasetti, tubetti, concentrati che adesso si rifilano ai bambini dopo i primi mesi. Ne inventano ogni giorno di nuovi e allora le mamme che seguono la moda scartano i prodotti ormai conosciuti e per i neonati vogliono le ultime novità. Io ne avevo scaffali pieni. Ho pensato: buoni per i polli, risparmio granoturco e grano. E ai polli piacevano moltissimo. Ma sono diventati enonni, con zampe come tronchi, ali spesse quali cespugli di gaggie. Un'orda di bestiacce che fanno paura. Ti vengono incontro al cancello, ti riconoscono, con quegli occhi assassini. Smuovono il terreno con unghie che paiono zappe. Se le viene in mente un cacciatore di fiducia, mi telefoni, per piacere. Ma non la racconti a nessuno, questa storia ». * * Invecchiando, il cocker bianco e nero, di nome Oax, ha assunto l'aspetto di un professore. Forse, quando nessuno lo vede, passeggia con le zampe anteriori strette intorno alla schiena. Molta scienza dev'essergli penetrata nel cranio, visto che ama appisolarsi durante il pomeriggio sotto grandi scaffali di libri. Insiste ancora per la passeggiata quotidiana, recitando un guaito, ma i suoi obblighi d'odorato, ormai destinati alle ruote delle macchine in sosta, rivelano evidenti tracce d'autoironia. E' molto più felice di rientrare che d'uscire. L'ascensore o un tappeto sono preferibili a pochi metri d'erba tra due strisce d'asfalto. Se lo portano in campagna, il verde e le acque gli danno alla testa. Ama porgere attenzione ai discorsi in salotto, all'odore dei sigari. Approva se ti scopre con un bicchiere di whisky in mano. Un cioccolatino lo accetta a fil di labbro, ma per pura cortesia. Se Arianna e Barbara, le sue giovani padrone, lo abbracciano, risponde scostando un pochino gli orecchi, proprie come un antico zio attento a proteggere i proprii occhiali Non ricorda d'essersi smarrito una volta nei viali, in gioventù. E i padroni a cercarlo con richiami notturni, con un « Oax » sillabato e urlato che gli faceva un po' vergogna, dato che erano in corso Galileo Ferraris, mica in un quartiere messicano. Se non è pulito, muove la coda con molta parsimonia. Ma se deve fare il bagno, soffre, simile a certe persone anziane che non vorrebbero cambiar di maglia. Quando si acciambella sotto la libreria manda un sospiro cantante, anche in questo ricordando cugini c nonni che le vicende della vita le riassumono in un commento monosillabico, estraneo ormai alla loro ben delineata identità. Al sesto piano, in pieno centro, miracolose sono arrivate due tortore. Per giorni hanno costruito il nido, il maschio portando festuche e ramoscelli attorno alla femmina che. ottenuto un primo piedistallo, ha cominciato poi ad ordinare con solerte perizia i nuovi elementi, o curvi o lunghi o corti, scelti dal compagno per le necessità dell'intreccio. E adesso il nido, pericolante sotto due dita di tettoia, avvinto allo stelc troppo leggero d'una vite vergine, è pronto per la cova. In casa, non osano più srotolar tapparelle, il rumore turberebbe la coppia, laboriosa nei suoi andirivieni. Grani di riso inutile spargerli: arrivano prima i colombi sempre in agguato, e poi le tortore preferiscono gli insetti, chissà quali e dove. Ogni tanto il maschio passeggia sul ferro del balcone, guardando di sotto in su, co¬ me un capomastro mai persuaso del proprio lavoro. Nel suo dondolare, il collarino di penne più scure dietro la nuca manda tiepidi scintillìi. La femmina, accucciata tra spini e stecchi, rotea lentamente su se stessa, per poi assestarsi in ore d'immobilità assoluta. All'intorno, non c'è verde per chilometri, eccettuati i pochi arbusti che nelle sere la gente innaffia su magri ballatoi e rare terrazze. Eppure il maschio arriva, ogni tanto, con qualcosa nel becco, e in due se lo spartiscono silenziosamente, vespa o formica che sia. Chi li guarda, da un angolo di prudenza per non disturbare, riflette sui segni, le antiche interpretazioni che riguardavano gli uccel'i, i loro voli, il significato dei loro stridi diversi. E pensa che questa dovrebbe essere la vita, non altro. Un'affidarsi al ciclo e alle opere. Infine si allontana in punta di piedi, proprio perché quell'esempio illumina di celeste ironia e di dubbio la sua coriacea quotidianità. Gli sorride l'idea di una misteriosa Benevolenza, che da luoghi senza confini, senza registri, ha voluto inviargli il simbolo vivo delle tortore. E teme la sua stessa incapacità di credere, di accettare, pur ringraziando la indecifrabilità del monito. Se poi le tortore fuggiranno, portando altrove il loro « miracolo », qual presagio trarne? Giovanni Arpino