Care geometrie

Care geometrie Care geometrie Barbara Hepworth era nata nel 1903 a Wakefield, nel cuore dell'Inghilterra. Dell'arte britannica di questo secolo è uno dei nomi più illustri. La sua opera intera è da ricondurre sotto l'indice dell'astrattismo geometrico, anche se, da ultimo, vaghissime e trepide allusioni alla figura umana, tracce di profili e di membra, si intrecciarono alla purissima geometria abituale. La Hepworth va rubricata anzitutto fra coloro che, tra le due guerre, contribuirono e non poco al rinnovamento delle arti plastiche inglesi, istituendo un confronto di rilievo con quanto il resto dell'Europa produceva. Barbara Hepworth fu accanto a Ben Nicholson, suo marito, a Paul Nash, a Henry Moore e al critico Herbert Read nel promuovere, nel 1933, il gruppo «Unit One», dove si trovarono insieme non soltanto pittori e scultori ma anche architetti, diversi per formazione culturale e indirizzo stilistico, i quali posero l'accento sulla plasticità della forma a scapi¬ to di ogni altro valore espressivo. La maggioranza del gruppo era legata a un tradizionale e vago romanticismo britannico che allora volgeva a dichiarate simpatie per il surrealismo (è il caso del magico e visionario Paul Nash). Di qui la promozione di una grande mostra surrealista alla galleria londinese «New Burlingi ton». All'interno di questa compagine del tutto incline al figurativo, Nicholson, in certo senso Moore, e senza dubbio la Hepworth premono il pedale verso l'astratto. Tanto Nicholson che la Hepworth, in quegli anni, erano soci di Abstraction - creation, art non figuratif, un periodico annuale che si pubblicò a Parigi tra il '31 e il '36 cui aderirono artisti d'ogni paese accomunati dalla idealità della purezza e della rinuncia a ogni rappresentazione che poteva dirsi fotografica della realtà. E' il credo di Robert Delaunay, sottolineato nelle parole: «Se l'arte si lega all'oggetto diventa descrittiva, divisionista, letteraria... è arte malata, è negazione della vita». E' necessario dire però che per Barbara Hepworth la partecipazione all'Astrattismo, lo studiar le forme della stereometria elementare e superiore ricavandole nel marmo e levigandole fino a una platonica e sublime semplicità, non ha niente di casuale o di suggerito da intellettualismi. Quelle forme sembra le abbia viste in chissà quale sepolta esistenza e adesso le vada riplasmando quanto più denudate possibile, ma anche abnormi, con infantile e sofferta pertinacia. Carola Giedion-Welcker scoprì che certe sue sculture potevano essere avvicinate alla raffigurazione ottica di alcune formule algebriche, ma Giulia Veronesi ha annotato che «un'aura sospesa, impercettibile e pur viva come un alito» trascina i marmi della Hepworth via dagli orizzonti della scienza verso la poesia. E' proprio un lirismo libero da qualunque aggettivo a dominare i suoi «Carving in marble», «Forms in movement» o «Pelagos», una sorta di spirale che nel dipanarsi arriva a suggerire il moto mai placato delle onde del mare. Ma tale amore per la perfezione, quali radici o quali ascendenze potè avere in lei? Fu amica di Piet Mondrian, e dovette essere suggestionata non poco dall'idealità «povera» che egli inseguì. Ma di sicuro il romeno Costantin Brancusi, come per altri, dovette darle l'impulso maggiore, dovette aiutarla a conquistare quel cielo di forme assolute nel quale si mosse con passi sicuri e leggeri. Ezra Pound sul conto di Brancusi scrisse che «la bellezza non è fatta di smorfie e dì gesti fortuiti», e che partendo da un ideale della forma lo scultore arrivò «a un'esattezza matematica della proporzione, ma "non attra¬ verso" la matematica». Sono parole che possono riferirsi con altrettanta pertinenza a Barbara Hepworth. Con la sua morte, uno degli artisti più significativi degli anni tra le due guerre, nel novero di quelli che vollero esprimerne l'anelito a un impossibile e sognato equilibrio dello spirito, è scomparso. Enzo Siciliano

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