Crimine in vetrina di Guido Ceronetti

Crimine in vetrinaSI RIAPRE IL MUSEO A ROMA Crimine in vetriaa arprestoraperto,pera gioia degli amanti dell'insolito, il Musco Criminologico di via Giulia, a Roma. Era una maceria. Il ministero di Grazia e Giustizia l'ha redento dalla vecchiaia e dall'abbandono: adesso gode della sua metamorfosi. Lo Stato che spende i soldi bene è una carezza inaspettata. Per una volta, non c'è che da applaudire. Pur esponendo cose tristi è un museo che non dà tristezza, perché non gonfia le nostalgie — difficile rimpiangere una ghigliottina del secolo XVI, struggersi per un grimaldello stanco — e non costringe al paragone la bellezza insolente, la gloria morta, e l'umanità che le guarda con disagio e con odio. Una Venere greca tiene a distanza, un temperino che ha ucciso mormora: vieni. Il pezzo criminologico è squisitamente attrattivo, per la sua impregnazione di vita oscura, di morte violenta, e il muto contagio del male. Ineluttabile l'attenzione, perché l'indifferenza al crimine non esiste, direi quasi che non può esistere; il crimine interessa sempre e affratella meravigliosamente gli uomini, tutti colpevoli di essere nati e divisi dappertutto in due classi: le vittime, gli assassini, con frequenti passaggi dall'una all'altra. Un'altra caratteristica dell'oggetto criminologico è l'anomalia assoluta del pregio, che solo in qualche caso è fornito, in parte, dalla sua antichità. Se c'è un'affinità con la Venere greca e il vaso etrusco non è col loro valore mondano, ma con quello fatto d'impalpabili memorie sacrali, di residui non visibili di un bruciato uso cultuale, è una affinità sacrificale. Quel pezzetto di vetro nella bacheca sarebbe uguale a infiniti altri pezzetti di vetro, se conservandolo come corpo di reato il Museo non ne garantisse l'unicità. In quanto corpo di reato diventa, in termini non più laici, strumento sacrificale. Per aver tagliato un polso, una gola, in quell'anno, a quella persona, in un certo carcere, eccolo assunto, povera scheggia polverosa, nel cielo tremendo della Fatalità, essere sotto specie di vetro rotto Ananke, Furia, Tanatos. Ma qui si vede la funzione magica del Museo: fuori di lì, il pezzetto di vetro non è più niente. Il suo interesse è tutto estrinseco e magico. Per il suo intrinseco valore formale il vaso etrusco, anche buttato in una fogna, conserva l'unicità. * * L'anomalia del valore, al Museo Criminologico, è la regola. Vedete questi quadri, sono come quelli dei musei normali. Autori celebri, epoche famose, soggetti sacri e profani. Ma tolti dal luogo magico che li ospita non valgono un bottone bucato: sono tutti falsi. Il loro pregio criminologico è inseparabile dalla loro falsità. Per questo museo inimitabile è autentico soltanto il quadro falso. Se per caso si scoprisse, tra quelli, un vero Guercino, il Museo lo espellerebbe con indignazione, ma si può stare sicuri, non sono stati comprati da qualcuno che si lascia appioppare quadri veri, il Museo li ha ricevuti da un tribunale come corpi di reato e la loro autenticazione di falso è scritta nella sentenza di condanna dell'autore reo e dei suoi complici. Anche la numismatica ha la sua sezione e anche nelle sue vetrine ricche di monete si rinnova il prodigio del va lore assicurato dall'ignobilità. La falsità però non basta all'ammissione. Per essere cri minologicamente apprezzabili la moneta di Adriano, la scarpa di Semiramide, la verga di Aronne, la coda del Leviatano, oltre che spregevoli agli occhi del mercato e della storia, devono anche essere contraffazioni non innocenti, usate per ferire bianco, truffando, non antichità kitsch ma coltelli travestiti. I magistrati curiosi hanno ricomposto il corpo di una donna tagliata a pezzi, trovata in una valigia che avrebbe sorpreso non poco chi l'avesse rubata. L'immagine — nell'urna non c'è che una fotografia di quella frettolosa restaurazione — sembra presa tra reperti archeologici ancora incrostati di terriccio o in una clinica della bambola, è desolata e indifferente. Com'è giusto adorare la Venere di Milo o la Vittoria di Samotracia nonostante le loro mutilazioni, è giusto avere simpatia per questa Venere criminologica, a causa delle sue mutilazioni. E' strano, qui si tratta di un delitto vicino, eppure il senso della distanza, imposto dalla Venere classica, non è molto diverso: la donna che ha patito gli oltraggi di un assassino e la statua divina che ha patito quelli del tem¬ ■ po eemonotesmo,anno in comune qualcosa di cui la forma femminile non è che la manifestazione, il canale di sbocco. L'elemento comune che si rivela con forza nel confronto immaginario è la fedeltà al modello ideale, alla realtà archetipa eterna che la vita, abbagliandoci senza pietà, cancella dalla mente. Le donne che incontro, raggianti di maccherone, in via Giulia e dintorni, non mi ricordano nessun archetipo, questa sì, ridotta a un tronco rigato dagli imperfetti combaciamenti di membra senza sutura, su un tavolo di obitorio. La bianca statua mediterranea e la morta sanguinosa riconducono, per le opposte vie dell'esaltazione armoniosa e della distruzione sozza, della bellezza classica e del crimine cieco, al modello ideale. * ★ Sono nel più filosofico museo di Roma, dove le cose esposte propugnano, con coerenza, una visione criminocentrica del mondo, non troppo lontana dalle mie idee metafisiche e morali, legate al piolo del Male principiale. Niente di malsano, perché il sentimento più forte che la visita alimenta è il migliore di tutti, la compassione umana. Essere da questa parte della vita visibile, nel cono illuminato dalle leggi, è un caso (di rado è una scelta, una vocazione); appena oltre quel cono siamo febbrilmente ripresi, come esseri umani, dalla sterminata ombra senza legge, soggetti al grande caos morale di cui le più buie trasgressioni, i peggiori reati definiti dalle leggi, non sono che le sporadiche bollicine. Cimeli di regicidi: di Passanante (fallito attentato a Umberto I, Napoli 1878) è offerta in lettura la più indecifrabile delle carte postume di un uomo, il cervello; di Bresci, a cui riuscì il colpo, un mucchietto di oggetti personali, che in un bricabràc anonimo attirerebbero infallibilmente l'amatore: parecchi ritratti di lui fatti in studi fotografici d'America, opuscoli di dottrina anarchica, una bella scatola dipinta. Il volto non rivela il progetto: baffi ben piegati, un certo compiacimento. C'è anche una maglietta di lana, contro i colpi di vento della Storia. Il Museo non è molto aggiornato; forse si teme, aggiornandolo, che invada i palazzi vicini. Il pezzo più recente è il formidabile baule mannaro (detto anche valigia diplomatica) nel quale i diplomatici egiziani cercavano di portare al Marc Luck, Cairo l'israeliano che aveva spiato per loro e per i suoi (se ricordo bene), colpo sventate a Fiumicino da una Guardia di Finanza mirabilmente sospettosa. L'interno è complicato: imbottitura, casco pensile, sedile, molte cinghie e cinghietti per immobilizzare tutto, per rattrappire bene. Qualche forellino per l'asfissia condizionata. La casa ideale per l'uomo d'oggi. Il mondo penale, grovigli di casi, convulse storie... Al Museo niente è insignificante, tutto sa di uomo fino alla nausea. Non è l'arte surrea- sta,astuzacarcerarace ha creato quello strano incrocio lautreamontiano, una siringa in un panino, una glaciale siringa in un panino pietrificato. (Altre sono incrociate con pezzi di sapone, tubetti di dentifricio, rilegature di libro). Le radiografie di dete-j nuti che hanno inghiottito chiodi — grossi vermi bril¬ lanti su fine polvere di car- j bone — raccontano la dispe¬ razione meglio di una lettera segreta. Un messaggio è affidato a un paio di mutande. E la gabbietta del canarino, in una cella ornitofila, nascondeva sotto il miglio la lama di un coltello. C'è una puntigliosa sete di ricavare, da ogni oggetto di metallo, un'arma da offesa, anche minima, lama o punteruolo. La fabbricazione di lacci non è meno scrupolosa: uno è fatto di palma intrecciata, il suicidio fu tentato nel carcere di Noto, nel 1931. Un ritaglietto di giornale parla delle losche vicende di un uomo di 1 metro 30 con 12 dita (chi è alto uno e trenta e ha dodici dita non può avere che vicende molto losche), in una foto una faccia è deformata dalle percosse: Strano caso di un detenuto, dice il cartellino, che credè rendersi irriconoscibile tumefacendosi con pugni il volto. Forse la vita, l'intero mondo umano, è un povero detenuto che si sforza di rendersi irriconoscibile tumefacendosi con pugni il volto, e non ci riuscirà mai, ma seguita a tumefarselo. Guido Ceronetti

Persone citate: Autori, Bresci, Furia, Marc Luck, Passanante, Umberto I

Luoghi citati: America, Cairo, Milo, Napoli, Roma