La banda Baader-Meinhof dall'utopia al terrorismo di Tito Sansa

La banda Baader-Meinhof dall'utopia al terrorismo Il drammatico processo si apre domani a Stoccarda La banda Baader-Meinhof dall'utopia al terrorismo I quattro che compariranno alla sbarra sono Andreas Baader, lliriche Meinhof, Gudrun Ensslin e JanCari Raspe - Per alcuni si tratta di « terroristi senza scrupoli », per altri sono dei « folli pericolosi » (Dal nostro invialo speciale) Stoccarda, 19 maggio. «L'unica cosa che conta è la lotta, ora, oggi, domani, sazio o no. Ciò che interessa è quello che fai fuori: un balzo in avanti. Diventare migliore. Imparare dall'esperienza. Tutto il resto è fango. La lotta continua... O porco o uomo, o sopravvivere ad ogni costo o lotta fino alla morte, o problema o soluzione, in mezzo non c'è nulla. Dovresti saperlo anche tu. Dopo tutto ciascuno muore. La questione è soltanto in che modo e come sei vissuto e il problema è chiaro: lottando contro i porci come uomo per la liberazione dell'umanità: Rivoluzionario, nella lotta, con tutto l'amore per la vita, disprezzando la morte. Ciò significa per me: servire il popolo, frazione armata rossa». Così scriveva all'amico Manfred Grashof, il 31 ottobre dell'anno scorso, dal carcere di Wittlich, lo studente Holger Meins, di 33 anni, uno dei cinque capi della «Banda Baader-Meinhof», il cui processo comincia dopodomani a Stoccarda. Meins mnon siederà sul banco degli [simputati. Nove giorni dopo aver spedito la lettera, il 9 novembre, è morto di fame in cella, ridotto ad uno scheletro di 38 chili. Lo scrìtto può venire considerato il suo testamento, è lungo quattro cartelle, ne cito soltanto alcuni passi. Il resto è tutto sullo stesso tono, e non si differenzia sostanzialmente da centinaia di scritti esaltati, adirati, febbricitanti che gli anarchici tedeschi si sono scambiati negli ultimi tre anni, da quando, nel giugno del 1972, i loro capi sono caduti nelle trappole della polizia. Raccolti in volume dal ministero degli Interni di Bonn, documentano la loro esasperata, inflessibile, disperata volontà di «organizzare il proletariato, di scatenare la lotta di classe per rovesciare senza scrupoli e senza riguardi, naturalmente anche sparando», il sistema sociale della Germania federale «basato sul despotismo della classe dominante». Obiettivo Dappertutto, centinaia di volte, ricorrono le parole «porci», «ratti da annientare», «mostri» e frasi come «le leggi sono per pulirsi il culo», «mi viene da vomitare». Dicono che vogliono creare una società della pace totale, della libertà assoluta, della giustìzia e della felicità per tutti. Per raggiungere questo obiettivo gli anarchici tedeschi consigliano come i loro precursori Bakunin ("«veleno, coltello, cappio»; e Kropotkin ^«scritti, discorsi, pugnale, fucile e dinamite»; di raggiungere, mediante l'impiego della violenza, un mondo senza violenza: spazzar via Stato, chiese, giustizia e polizia. Coloro che hanno conosciuto i quattro imputati del processo di posdomani — Andreas Baader, 32 anni, Ulrike Meinhof, 40 anni, Gudrun Ensslin, 34 anni e Jan-Curi Raspe, 30 anni — li definiscono «terroristi altamente intelligenti, senza scrupoli e decisi a tutto». A leggere quanto scrivono tuttora dalle loro celle nel carcere-fortezza di Stammheim, a nord di Stoccarda, a osservare il loro comportamento sprezzante e ostinatamente provocatorio durante i processi nei quali finora sono stati coinvolti, vi è da dubitarne. Invece che da un tribunale penale — secondo i opinione di diversi politologi e filosofi liberali di sinistra, che anni fa ispirarono e condivisero le loro idee, ma ora condannano le loro azioni «assolutamente fuori della realtà» — i quattro e i loro seguaci potrebbero venire giudicati da un collegio di psicanalisti. La cronaca della loro lotta contro Z'establishment finora ha provocato una quindicina di morti e quasi un centinaio dì feriti; cominciò otto anni fa in modo innocuo, quasi divertente: con il lancio di un budino. E' il 5 aprile del 1967, il vicepresidente americano Hubert Horatìo Humphrey è in visita a Berlino, i giovani «comunardi» che si ribellano alle tradizioni borghesi, che predicano il libero amore e condannano la guerra nel Vietnam, preparano una colossale torta per compiere un attentato contro il vice di Johnson, ma uno dei loro li tradisce, undici «terroristi» vengono arrestati in casa dello scrittore Uwe Johnson. Sono i giorni in cui Herbert Marcuse, il padre spirituale della «nuova sinistra», affascina gli studenti di Berlino e getta, alla libera università, le basi per il movimento giovanile del maggio 1968, mentre Rudi Dutschke trascina i ragazzi dell'opposizione extraparlamentare ad spaffrontare. in quasi quotidiane battaglie stradali, i reparti di picchiatori della polizia. Il movimento di rivolta giovanile è storicamente giustificato, scrittori d'avanguardia simpatizzano per i ragazzi che puntano l'indice accusatore contro la società consumistica dei padri e che protestano contro le leggi sullo stato d'emergenza, e si erigono a difensori dello Stato dì diritto. Ma la giustizia (di manica larga con i criminali di guerra nazisti) è spietata con i dìmostranti, la polizia ha praticamente mano libera, la rivolta dei giovani nelle università s'incattivisce, anche perché non trova seguito nella borghesia e tra le masse operaie, iritorpidite dal benessere e senza ideali. La data dì nascita del terrorismo vero e proprio è il 2 giugno dello stesso 1967. Quel giorno, durante una dimostrazione contro lo Scià di Persia, in visita a Berlino, il commissario di polizia Kurrat uccide con una rivoltellata alla nuca lo studente Benno Ohnesorg (e verrà poi assolto dalla magistratura). Sulle barricate sono sempre Rudi Dutschke e gli universitari; Andreas Baader e Ulrike Meinhof — i futuri capi del movimento che ha il loro nome — sono ancora dietro le quinte, scrivono sui giornali infiammate proteste contro i «porci in uniforme» e contro i «porci in toga». Ma già meditano di passare all'azione: Ulriche Meinhof, brillante giornalista e madre di due gemelle, dà l'addio al settimanale Konkret con le parole: «Scrivere è merda, adesso si fa la rivoluzione». Il 2 aprile Andreas Baader, la sua amica del cuore Gudrun Ensslin e altri due appiccano il fuoco a due grandi magazzini nel centro di Francoforte, tre giorni dopo vengono arrestati, in ottobre sono condannati a tre anni di carcere, otto mesi più tardi rimessi in libertà condizionata. Scompaiono, nell'aprile del '70. Andreas Baader viene catturato, un mese dopo lo liberano con un'azione a mano armata, durante la quale un guardiano viene ferito. Dai giornali vengono definiti «criminali». Braccati dalla polizia, i dimostranti, gli scontenti si uniscono, diventano banda. Sono tutti di buona famiglia: Baader è figlio dì un professore, la Meinhof figlia di un direttore di museo, la Esslin figlia di un pastore evangelico, l'avvocato Mahler (che è già stato condannato) è figlio di un magistrato. E cosi gli altri 40-50 che via via vanno ad unirsi al loro gruppo: quasi tutti ragazzi della Germania rispettabile, figli di quella classe di funzionari dello Stato, magistrati, poliziotti, attori, professori, avvocati, industriali che essi vogliono rovesciare. E ad aiutarli, a dare loro rifugio e denaro non sono politicanti o agitatori, ma intellettuali, professori universitari, scultori, sacerdoti, teologi, attori, giornalisti. Illusi Ma per poco tempo. Andreas Baader, Ulriche Meinhof e i loro seguaci si sono dati alle rapine, agli attentati, alle sparatorie, per due anni i loro spostamenti attraverso la Germania lasciano ovunque tracce di sangue, morti e feriti, la cui elencazione cronologica occuperebbe un paio di colonne di giornale. E via via che procedono nella loro attività terroristica, si allontanano sempre di più — senza forse rendersene conto — dagli obiettivi della rivoluzione popolare «dal basso verso l'alto» che intendevano raggiungere, adottando nella Germania Federale del benessere economico, dell'ordine e della democrazia, i metodi della guerriglia di città presi pari pari dal manuale del bra ì siiiano Carlos Marighela. Ma i la Germania non è il Sudarne- rica, le massime che vanno I bene per i tupamaros e per i imiserabili delle bidonvilles di i San Paolo o di Montevideo ! trovano orecchie sorde tra le I masse di un paese di bengodi, \ il quale nello stesso tempo ' soffre sempre sotto l'incubo dell'esistenza di un Paese comunista ai suoi confini, la Germania Orientale. Che i terroristi della banda Baader-Meinhof siano degli illusi (li chiamano «banditi» e «assassini» perfino il cancelliere Helmuth Schmidt e la presidentessa del Parlamento di Bonn, signora Annemarie Henger, benché il processo I non sia ancora incominciato) ormai non lo mette più in dubbio quasi nessuno. Sono stati rinnegati perfino dai loro amici e dai loro maestri di un tempo, sono stati accusati di non aver capito che il '68 è finito e i tempi son mutati. Che cosa sono dunque questi terroristi della «Frazione armata rossa»? si domandano scrittori e filosofi. Comunisti ortodossi no: perché il comunismo internazionale (come ha detto il loro ex amico Dutschke), prende tempo, sceglie la lunga marcia attraverso le istituzioni e non s'illude di poter rovesciare di colpo le strutture della società. Maoi- sti e stalinisti neppure: per- \ che non tengono in alcun conto i perfetti modelli di orga nizzazione della rivoluzione e della società. Antìautoritari in assoluto neppure: perché rispettano asceticamente fino al sacrificio estremo (come hanno dimostrato con tre mesi di sciopero della fame e con la morte per inedia di Holger Meins) la disciplina interna dei loro quadri. Secondo il professor Habermas — certamente insospettabile per la sinistra intellettuale — sono «fascisti di sinistra che fanno il gioco delle destre». I giudizi Il professor Marx Horkheimer, uno dei padri spirituali della «nuova sinistra», già nel 1970 scrìveva: «Nessuno può essere così cretino da non capire che essi raggiungono l'effetto opposto di quello che si sono prefissi». Il sociologo marxista Oscar Negt, scriveva allora che la loro è «follia pericolosa». E soltanto due settimane fa il loro maestro, Herbert Marcuse, ha detto in un'intervista alla televisione tedesca che «il marxismo ri fiuta come strumento rivolli zionario il terrore individuale e di piccoli gruppi senza una base di massa», aggiungendo che in Germania «non soltanto non esiste una situazione rivoluzionaria, ma neppure prerivoluzionaria, ma piuttosto potenzialmente una rivoluzione antirivoluzionaria». Insomma, perfino i grandi maestri ai quali s'ispirano, li considerano personaggi fuori tempo e — soprattutto — fuori luogo. Diversi psichiatri si sono espressi sul loro conto. Ecco alcuni giudizi. Il professor Hots Richter, di Giessen, scrive: «Sono malati che cercano di guarire con un atteggiamento paranoico il quale rende ciechi e fa apparire Lutto opera del demonio». Il professor Tobias Brocher, pure di Giessen, dice: «Hanno un ritorno nelle fantasie infantili di potere: quando il mondo che li circonda li delude, vogliono spaccare tutto». E il filosofo Alfred Schmidt, pittorescamente così li descrive: «Sono una rimanenza dei movimenti di protesta. Gli altri sono passati all'ordine del giorno, essi sono rimasti con la loro rivoluzione. E' come quando in una partita di calcio viene segnata una rete e ventimila gridano "gol". E poi c'è uno che da solo continua a gridare "gol". Allora la gente si volta e tutti si domandano: "Ma che razza di tipo è costui?" ». Che razza di tipi sono questi quattro della «BaaderMeinhof» che protestano contro la realtà? Sono dei frustrati, dei nichilisti, dei masturbatori intellettuali, degli asceti, dei delinquenti, degli arrabbiati, disperatamente prigionieri della loro impotenza? E sono poi veramente intelligenti come è sempre stato detto? Che cosa — a conti fatti — sono riusciti a ottenere finora, che cosa sono riusciti a cambiare «in meglio»? La risposta è: nulla. Al contrario, per colpa loro, in una democrazia occidentale come la Germania, si è arrivati al punto che i ministri degli Interni si domandano in tutta serietà e senza rimorsi: «Sicurezza o libertà?», e il terreno sembra pronto ad accogliere le sementi della caccia alle streghe e del controterrorismo di polizia. Tito Sansa Stoccarda. Andreas Baader, Ulrike Meinhof e Gudrun Ensslin (Tel. Ap - Dpa - Upi)