Hoffman, libertà di parolaccia di Lietta Tornabuoni

Hoffman, libertà di parolaccia Hoffman, libertà di parolaccia (Dal nostro inviato speciale) Cannes, 17 maggio. «Le parolacce non esistono, il turpiloquio è eloquio, l'oscenità si trova solo nella nostra testa malcondizionata», sentenzia rapidamente Dustin Hoflman. Dentro la piscina, una bionda quasi nuda nuota impetuosa, sollevando alti spruzzi per farsi notare. Sul bordo della piscina, sono allineati sei tavolini bianchi con le loro poltrone: intorno al primo siede la troupe saccente della televisione tedesca, al secondo la troupe allegra della televisione inglese, al terzo la troupe ansiosa della televisione italiana. Poi c'è ima radio forse belga, ci sono due temibili giornaliste certo svizzere, un timido omosessuale senza patria. Dustin Hoffman si fa un tavolo dopo l'altro, come ure'entraineuse laboriosa, a ciascuno dedicando un tempo medio di mezz'ora, per ciascuno ripetendo le sue battute divertenti e i suoi discorsi intelligenti, i suoi manierismi sapienti: fissare nella telecamera gli occhi grigioverdi, tormentarsi i lunghi capelli e la frangia sulla fronte, strofinarsi il gran naso che lo fa somigliare a un Giorgio Gaber più brutto, slacciarsi le scarpe da basket, ridere un po'. A qualcuno dei tavoli siede, se richiesta, anche la moglie, un'ex ballerina in panta-1 Ioni di seta, molto chic, molto \ alta, molto bionda, del genere ; spesso prediletto dagli uomini piccoli e neri. Come un bravo operaio, Hoffman fa il suo lavoro alla catena di montaggio della pubblicità gratuita: l'hanno fatto venire apposta da Los Angeles per lanciare il film con il quale è previsto che vinca al festival di Cannes il premio per la migliore interpretazione maschile, Lenny Bruce. Un film difficile da imporre sul mercato europeo: sarebbe come convincere il pubblico americano ad andare a vedere una biografia ci- lo sa e sgobba: in 4 giorni 30 interviste, sedute fotografiche continue, cenette con Truffaut e Costa-Gavras, cocktail su panfili, conferenze stampa, serate di gala. E' sempre bravissimo, paziente, brillante, pronto a collaborare, attento alle domande cretine quanto alle domande difficili che co stituiscono la tediosa routine \ degli attori intelligenti, sem-1 pre disposto a fornire spirito-1 saggini buone anche se non\nuove: «Sento dire in giro!che Dio è morto: mi dispiace, \non sapevo che fosse amma-1 lato»; «La mia ambizione, nel [luni sull'affare Watergate che [uto girando insieme con Ro bert Redford, è una sola: far dire alla gente che io sono bello e che Redford sa recitare». Ma non è stufo? «Che c'entra: è un lavoro, mi pagano per questo». Più tardi, quando le troupes televisive sono ormai corse via con le loro bobine sotto il braccio e la bionda nuda ha smesso di darsi da fare, la stanchezza può anche aiutare l'automa promozionale a ridiventare umano. O quasi, dato che recitazione e mistificazione sono in lui una seconda natura: «Mi piace recitare sempre; sarà vanità, esibizionismo, non so. Forse, senso del dovere. Mi sembra ancora e sempre talmente straordinario che qualcuno venga a vedermi recitare o stia ad ascoltarmi parlare, che sento l'obbligo di non deludere. E mi piace. Mi piace tutto in questo mestiere, anche restare disoccupato: almeno non devi romperti la testa nelle scelte, nel decidere perché hai bisogno. Soltanto girare film non mi piace granché: per il regista o l'operatore è divertente ma tu sei nelle loro mani, dipendente». Finirà regista, garantito, e sarà il completamento di una biografia sin troppo esemplare. Trentotto anni, un metro e sessantasei, nato a Los Ange les< vadre scenografo a Holly wood, madre massaia pazza T}er n cinema, battezzato Dus^n in onore dell'attore Dustin Farnum mentre il fratei lo veniva chiamato Ronald in omaggio a Ronald Coiman, illuso dapprima di poter diven¬ tare pianista e allievo del Conservatorio di Santa Monica, evaso poi a New York, infermiere in un manicomio fu la migliore scuola d'arte drammatica possibile»;, frequentatore di corsi dì recitazione, ottimo attore teatrale, attore cinematografico subito famoso al primo film. Il laureato, per non parlare del successivo Uomo da marciapiede. Fregoli americano, nel si- stema del nuovo divismo maschile di Hollytoood, Dustin Hoffman ha un posto speciale: «Non sono un bel ragazzo che va bene per tutto, avventura, catastrofi, sesso, politica, nostalgia, musicals, cowboys. Sono brutto, scomodo, poco accomodante: un personaggio lo scelgo soltanto quando m'interessa o mi commuove». E come lo recita? «Ci penso su. Il mio modello è Marion Brando». Un modello antiquato, che serve in parte anche per la vita: in politica, come Brando e come tanti, è vagamente di sinistra. Nei rapporti sociali è populista: «Le persone che amo frequentare sono quelle modeste, senza pretese, non intellettuali: le uniche vitali, da cui imparo ». Ama pure ostentare verso le donne una passione enfatica, dimostrativa, assatanata, da seduttore stradale; ama la volgarità facile, le storielle pesanti, gli scherzi da avanspettacolo o da Fellini, quali rispondere al telefono con vocelta femminile, le parolacce che non esistono. «Parlare di oscenità, nella nostra società, è ridicolo: dove sta l'osceno, in un sedere scoperto o in un petto coperto dalle ustioni del napalm? La libertà di parola è diritto di chiunque, dovunque, senza limitazioni, e la trasgressione verbale può essere un mezzo d'opporsi all'ipocrisia». Ma possibili reazioni del pubblico del festival al fluire di crudo turpiloquio sessuale che costituisce gran parte del sonoro in Lenny Bruce gli paiono improbabili: «No, non succederà niente, per le chiacchiere non succede mai niente. Nella civiltà dell'immagine le parole più dure diventano irrilevanti o peggio divertenti, un intrattenimento senza conseguenze». E il premio, lo prenderà"? «Non ne ho mai vinto uno, e non ci credo. I premi mi sembrano selezioni antidemocratiche, anche futili: come si fa a stabilire "Dustin Hoffman b il migliore"? Di migliori ce ne sono tanti, in tanti modi diversi. Avere un premio mi piacerebbe, ma non mi indurrebbe a credermi il più bravo». S'è immalinconito. Magari per stanchezza, o per il buio arrivato a poco a poco: «L'ossessione è sempre la stessa: sapere che, malgrado i premi, la celebrità e il successo, resti perdente. Sapere che, qualunque cosa tu faccia, alla fine sarai sempre fregato...». Oddio, sta parlando della morte. Lietta Tornabuoni Cannes. Dustin HofTman con la moglie, ex ballerina

Luoghi citati: Cannes, Los Ange, Los Angeles, New York