La politica come beffa di Guglielmo ZucconiStefano Reggiani
La politica come beffa Un romanzo satirico di Zucconi La politica come beffa Una calda rivisitazione dell'infanzia emiliana c della parlata vernacola Guglielmo Zucconi: «Il compromesso preistorico», Ed. Sugarco, pag. 214, L. 2500. Che pena e che divertimento chiamarsi Mazzini Giuseppe ed avere nove dita. L'omonimo di cui sì parla è nato nel Modenese, figlio di un padre repubblicano e utopista, fuggito in America a fondare una città ideale. Il nome solenne, l'assenza del padre, la mancanza di un dito lo pre dispongono a un'esistenza di emarginato e di testimone, di beffeggiato™ e di beffeggiato. Siamo negli anni immediatamente precedenti la secondu guerra mondiale: Mazzini Giuseppe vede le ingiustizie e le prepotenze del mondo e ci si abUua Scopre che ancne le grandi parole possono es sere piegate a fini ignobili. Scoppiato il conflitto entra nell'Unpa. l'unione per la prò lezione antiaerea e gira la cit tà per requisire rifugi contro le bombe. Trova cantine pie ne di mortadelle e di cotechini imboscati; ma anche suggestivi sotterranei proprietà di una marchesa inattaccabile perfino dal fasci¬ Smo (forse perché l'ha aiuta lo a nascere). Passata la bufera Mazzini Giuseppe viene conteso dai repubblicani, che lo vogliono sostegno nominale della loro fede, dagli ex partigiani che lo designano rappresentante cattolico in questura, dalla curia vescovile dove il vicario lo vuole uomo di fiducia. Sceglierà la curia, adattandosi a spiare il vescovo, malato e svanito, ma poco incline a lasciare il posto. Poiché la moglie lo ha abbandonato, egli è ormai pronto per entrare nei segreti della politica pastorale, nei meandri di un timido compromesso preistorico. Il libro con questo titolo inaugura una collana satirica: è il primo ufficialmente per adulti di Guglielmo Zucconi. Fin qui l'autore s'era rivolto soprattutto ai ragazzi e ai gruppi familiari in cui predominano nipoti e nonne. Titoli come Scaramacai, Cara famiglia, Il dirodorlando sono entrati nel giro dei successi, saldamente fondati sulle qualità umoristiche e sulla paterna disponibilità dell'autore. Anche la rivista televisiva, anche il teatro han no attinto dalla vena zuccanìana: per non dire direttamente dei lettori che lo hanno frequentato nella « posta del direttore » di numerosi rotocalchi. Adesso Zucconi, con questa calda rivisitazione dell'infanzia e della provincia emiliana, cerca anche uno stile più stretto e un discorso più prò- \ prio: l'umorismo è usato di sbieco, come recupero della parlata vernacola e della « saggezza » popolare, che spesso è rassegnazione e sogghigno. La commozione è riservata all'infanzia, che dà le pagine più felici. Chi voglia trovare delle affinità, può rivolgersi al Meneghello di Libera nos a malo o anche al Guareschi di Mondo Piccolo. Di Meneghello c'è il gusto del ricalco e della deformazione dialettale. Una pagina, anzi, è costruita intorno alla stessa invenzione del linguaggio infantile: i Vibralani. Nel tempo fascista i ragazzi cantavano a scuola un inno che cominciava con le parole « vibra l'anima nel petto »; ma la cesura della musica cadeva in mezzo all'anima. Per Meneghello e per Zucconi, l'uno in Veneto e l'altro in Emilia, si trattava di un vocativo iniziale ai Vibralani, j popolo misterioso, ma certa- j mente eroico. La contamina- ; zione dimostra che alle ideologie irrazionali i bambini ag- i giungono molto di loro, de-1 nunciandone la natura nomi- \ nalistica. Quanto a Guareschi il raffronto non è solo regionale, ma strutturale: tuttavia non per simiglianza, per contrasto. Don Camillo e Peppone erano protagonisti di un mondo falsato verso l'ottimismo I conservatore: la « politica » \ del sindaco era sempre una \ dipendenza chiassosa e goliardica dalla « religione » del parroco. Su alcuni valori l'uno e l'altro erano fermi alla tradizione. In Zucconi c'è ironicamente il dialogo (il compromesso preistorico), ma non c'è più la fittizia concorrenza e la furba collaborazione del Don Camillo. Tutto è chiuso in un cinico giuoco delle parti, appunto nel giro amaro di ima beffa provinciale. State a sentire la conclusione del libro. Il vescovo presso cui Mazzini lavora, dopo una malattia, comincia a capire le ragioni dei preti anticonformisti (ne aveva uno nella diocesi) e la necessità di un dialogo franco con il mondo. Siamo nel dopoguerra, certe formule politiche sono ancora da varare, ma il vescovo, in un colloquio con il vicesindaco comunista, avanza prudentemente la parola compromesso. Mazzini, che ha fatto la spiata al vicario, turbato nella sua nuova coscienza diocesana, decide che lo sconcio (del compromesso) non deve attecchire. Attirando in un tranello la marchesa, l'aggredisce, la deruba, fa ricadere tortuosamente la colpa sul vescovo. Risidtato: il vescovo rimbambisce di nuovo dal dolore, il . . ! mc"n0. 3°ng°la, Mazzini può godersi i soldi con la sua pénalissima moglie riconquistata. Mazzini e presule — si suggerisce — sono due poveri di spirito, troppo deboli contro la corruzione dei tempi. Ma. certo, c'è da essere impensieriti. Quale che sia il nostro giudizio sul compromesso storico, speriamo che non finisca mai nelle mani di un Mazzini Giuseppe. L'omonimia con i grandi rende divertenti in letteratura, crudeli in politica. Stefano Reggiani
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