Mezzogiorno e potere locale di Giuseppe Galasso

Mezzogiorno e potere locale ALCUNI TEMI DI RIFLESSIONE PER IL VOTO DI GIUGNO Mezzogiorno e potere locale E' ora di pensare al voto di giugno, scriveva su La Stampa dell'8 marzo con la consueta chiarezza Giuseppe Galasso. Ancora oggi si parla poco delle imminenti elezioni, regionali, provinciali e comunali, meno ancora di queste ultime due, non già nel senso che non si preparino liste e candidature, ma che non si sia sviluppato un largo dibattito politico sull'esperienza della prima legislatura regionale e, in conseguenza, sugli obbiettivi che si vogliono raggiungere nel prossimo quinquennio. Corre qualche slogan («è stata una fase di rodaggio », « bisognava farsi le ossa », « è presto per giudicare »), ma non si va al cuore del problema, alle sue radici politiche, non si fa un bilancio obbiettivo e rigoroso di quanto è accaduto in termini di mutamenti (politici, economici, sociali), interni ed internazionali. Il rischio è grosso. Senza obbiettivi chiari, sommersi dal cumulo delle accuse mosse alle Regioni e delle appassionate difese, potremmo perdere un'occasione per affrontare i problemi reali dello sviluppo democratico. Perché di questo si tratta: di capire quello che sembra appannato nelle coscienze e nella sensibilità politica, che la seconda legislatura non dovrà correre rischi, non avrà più scusanti (scarso tempo a disposizione, novità della istituzione). Eventuali deviazioni iniziali dovranno essere subito corrette nella legislazione e nella prassi e tutto il potenziale democratico che può derivarne dovrà essere pienamente messo a frutto. Il discorso è meno generico di quanto possa apparire e si fa corposo ove riferito al nostro Mezzogiorno se, in questi giorni di « celebrazioni » del trentennale della Resistenza, pensiamo alla vera essenza rivoluzionaria della Costituzione, che ne è figlia diretta, caratterizzata essenzialmente dalla riforma regionalista. Il vecchio Stato monarchico accentrato e accentratoro rappresentava istituzionalmente la base di un sistema economico e politico, autarchico, protezionistico, autoritario, nazionalistico, colonialistico, che crediamo di aver colpito al cuore con la creazione della Repubblica. Il nuovo Stato poggia sulle autonomie locali. Una delle condizioni principali perché esso sia, nei fatti, diverso dal vecchio e garantisca una reale democrazia e una non meno reale giustizia, è che l'esperienza regionalista non fallisca. Ecco perché la battaglia regionalista deve farsi più agguerrita, più attenta, più consapevole, trattandosi né più né meno che della battaglia antifascista per il consolidamento del nuovo Stato repubblicano. Ruolo delle Regioni Il ruolo delle Regioni, in termini di partecipazione (rimasta spesso consacrata solo negli statuti), di riforma dei poteri locali, di strumento effettivo di democrazia, che superi storicamente campanilismi, provincialismi, l'esercizio deteriore del potere locale, diventa certamente più difficile nella fase congiunturale e politica che attraversiamo e di fronte ai contraccolpi cui gli enti regionali si trovano esposti, perché più fragili e ancora autarchicamente staccati da un disegno organico, da una strategia unitaria che abbia un peso decisivo sulle grandi scelte nazionali ed europee. Per elevare il tono politico della prossima campagna elettorale ciascun partito, in base alle sue peculiari motivazioni ideali, dovrà dunque sforzarsi di ridare un contenuto meridionalistico coeren¬ te (a Nord non meno che a Sud) al regionalismo, rendendo sempre più esplicito non solo il rapporto fra antifascismo, saldatura storica fra regionalismo e classi popolari (basti pensare a Salvemini e a Sturzo), Resistenza, Costituzione repubblicana da una parte e istituto regionale dall'altra, ma anche il quadro entro il quale si svolge oggi la lotta, che è di persistente dualismo del sistema economico nazionale, nonché di quello europeo. Bisogna dunque riprendere il dibattito regionalistico che ha finito con l'essere globalmente sottovalutato dalle centrali politiche, in mancanza di un collegamento organico con le lotte nazionali, con strategie più ampie, con la programmazione nazionale. Partiti e stampa, per esempio, hanno dato scarso rilievo a un problema di fondamentale importanza: quello della ristrutturazione dei poteri locali, a conferma della scarsa considerazione, culturale e politica, in cui è tenuta la tradizione Cattaneo-Salvemini. Ne è venuto di conseguenza che i problemi dell'esercizio del potere locale, tradizionalmente gravissimi nel Mezzogiorno, che ha subito la duplice esperienza giolittiana e fascista, sono stati visti come meri problemi locali, e non nazionali, coinvolgenti quindi forze e interessi nazionali, oppure come avulsi dalle trasformazioni profonde che sono intervenute (nelle classi, nella struttura economica e sociale, nel nuovo intreccio, su cui ha richiamato l'attenzione Sylos Labini, fra potere politico e potere economico, nel nuovo rapporto fra finanza pubblica e classi sociali). Rischiamo così di combattere una vera battaglia di retroguardia, come in fondo stiamo facendo da anni, scon-tando i ritardi di un'opera- o a , i i e i l a s e o o zione di recupero culturale di Salvemini, di Sturzo e di Gramsci certamente importante, ma inadeguata rispetto a problemi nuovi e diversi, connessi all'ingresso massiccio del capitalismo nel Mezzogiorno, ai modi come si è attuata la politica industriale, secondo un modello di sviluppo che ha finito col favorire l'ulteriore progresso delle Regioni del « triangolo ». Come si possano combattere i fenomeni di degenerazione del neo-clientelismo e del neo-trasformismo o delle rivolte urbane nel Mezzogiorno con le armi che al loro tempo fornirono i «meridionalisti rivoluzionari», o come si possano affrontare da posizioni arretrate e con strumenti inefficaci problemi di dimensioni più ampie, al livello delle strutture e delle tecnologie europee, davvero non si riesce a capire. Le carte vecchie Occorre dunque un grande sforzo di rielaborazione che coinvolga tutto il Paese in un dibattito che si prefigga l'obbiettivo di eliminare — l'auspicio è stato formulato ancora una volta da Pasquale Saraceno — la frattura esistente tra « coloro che portano un reale interesse alla soluzione della questione meridionale e il mondo ad essi estraneo ». Non è che manchino studi e indicazioni, proposte per uscire dalla casi economica e politica. Quello che manca è la loro utilizzazione critica da parte delle forze portanti (partiti, sindacati) che finiscono col mescolare carte vecchie e già logore, col pericolo che il nuovo che si è riusciti a creare con lo Stato repubblicano venga gestito da altre forze - J obbiettivamente interessate a -, mantenere nella situazione at¬ tuale la struttura dell'economia italiana. E poiché situazioni nuove aprono prospettive nuove, ove vengano adeguatamente controllate, a nulla giova impostare discorsi di Sud contro Nord, che il Mezzogiorno va sempre più ripudiando. Occorre sin da ora predisporre le azioni per il dopo-ripresa, cominciando subito con lo scioglimento di alcuni nodi culturali e politici. L'occasione può essere data sia dalla battaglia regionalista, finalmente ancorata ai termini attuali della «questione meridionale », con tutte le coerenti implicazioni che possono derivare da una politica meridionalista che investa le aree mature del Paese, sia dall'obbligo, non differibile, di attuare la riforma degli incentivi e presentare al Parlamento la nuova legge per il Mezzogiorno (la 853 scadrà il 31 dicembre). All'appuntamento non possono mancare le Regioni del Centro-Nord che proprio nello strumento della programmazione economica e urbanistica debbono verificare la loro vocazione « nazionale », cioè meridionalistica, facendosi carico di problemi gravi e difficili, che non si risolvono dall'oggi al domani, andando al di là dei piani regionali elaborati dai comitati regionali per la programmazione economica, che avevano una visione sostanzialmente non meridionalistica. Non possono mancare nemmeno le forze politiche e sindacali e quei politologi i quali, per spiegarsi le ragioni della crisi, si fermano all'analisi delle istituzioni rappresentative, senza andare a vedere come nascono i problemi, come si formano alleanze e blocchi di interessi a livello locale che contribuiscono a mantenere in vita gli equilibri nazionali. Vittore Fiore

Persone citate: Cattaneo, Gramsci, Pasquale Saraceno, Salvemini, Sturzo, Sylos Labini, Vittore Fiore