Mocchetti: "Non scorderò mai l'uomo ucciso dai miei colpi" di Clemente Granata

Mocchetti: "Non scorderò mai l'uomo ucciso dai miei colpi" Ha dovuto sparare per salvare sé e la moglie Mocchetti: "Non scorderò mai l'uomo ucciso dai miei colpi" "Non sono un eroe, è stata una tragica necessità" ha detto l'anziano industriale - Ha sparato quando il bandito gli ha esploso contro alcune rivoltellate - L'episodio è avvenuto la notte tra venerdì e sabato a San Vittore Olona, vicino a Milano (Dal nostro inviato speciale) S. Vittore Olona, 12 maggio. Ora il commendator Giuseppe Mocchetti non può trattenere un moto di commozione. Si passa la mano sugli occhi per nascondere le lacrime e dice: «Non avevo scelta purtroppo. O lui o mia moglie ed io. Il bandito era freddo, spietato, deciso a uccidere. Ho sparato per difendermi quando mi sono reso conto che non c'era altra strada. Ma quel giovane riverso senza vita sul pavimento me lo ricorderò per sempre e non potrò mai dimenticare che è caduto sotto i miei colpi». A San Vittore Olona, ai confini di Legnano, come a Inveruno, Canigrate, Busto Garolfo e Cerro Maggiore, scossi da una serie di manifestazioni delinquenziali sempre più audaci e tracotanti, ci sono persone disposte ad applaudire ed esaltare il gesto del commendator Mocchetti; egli per primo respinge questo tipo di manifestazioni e si rende conto che sono pericolose. Ripete: «Non sono un eroe come qualcuno dice. E' stata una tragica necessità, ho agito per legittima difesa». Che il doloroso epilogo della rapina, avvenuta la notte fra venerdì e sabato nella villa del commendatore, vada catalogato appunto come legittima difesa e ne rappresenti anzi un aspetto classico, sembra che non sussistano dubbi. I carabinieri di Cerro hanno detto che invieranno probabilmente domani un rapporto alla magistratura, in cui dimostreranno che Giuseppe Mocchetti ha agito in modo lecito; a meno di clamorose e per ora impensabili sorprese, il fascicolo dovrebbe essere archiviato quindi con la formula «Non luogo a procedere per mancanza di elementi atti a promuovere l'azione penale». Si attende comunque di conoscere l'esito della perizia necroscopica che si svolgerà domani. Il commendator Mocchetti ha 70 anni. Sposato con Maria Rosa Vaghi, sessantaquattrenne, ha due figlie. E' stato commissario tecnico della Nazionale di calcio nel '58-'59 con a fianco gli allenatori Viani e Ferrari, poi presidente del «Legnano» quando la squadra militava in serie A. E' titolare di un'industria farmaceutica, la «Medici Domus»; con i fratelli Giovambattista e Antonio, ha formato una società in accomandita che si occupa di tessitura. La sede è a Furato, 12 chilometri da San Vittore ed è qui che Giuseppe Mocchetti ci ricostruisce, in presenza di un amico, l'avvocato Emilio "rognoni, di Legnano, i drammatici momenti della sparatoria in cui ha perso la vita il rapinatore Riccardo Azzini. Ricorda che mercoledì, alle 23, c'era stato un preavviso. Un individuo era penetrato nel recinto della villa munito di una torcia elettrica. Se n'era accorta la nipote del Mocchetti, Anna, che aveva gridato e lo sconosciuto si era allontanato. La donna è sicura che si trattava dello stesso rapinatore che 48 ore dopo è penetrato di nuovo nell'abitazione. Il commendator Mocchetti prende una matita e un foglio, e illustra la disposizione dei locali al piano rialzato della villa dove abita. C'è la camera da letto della moglie, poi un bagno, uno spogliatoio e, infine, la sua camera. Il rapinatore era penetrato nello spogliatoio e aveva forzato lo scrigno che si trova in un angolo. Dice Mocchetti: «Maria Rosa ed io eravamo coricati. Mia moglie ha sentito rumori e mi ha chiamato. Io leggevo in camera da letto, ho aperto la porta dello spogliatoio e in quel momento sono stato aggredito. C'era un individuo alto, robusto, ben vestito, con il volto coperto da un fazzoletto. Mi ha colpito con il calcio della pistola dietro l'orecchio e sullo zigomo sinistro. Guardi qui, i segni sono ancora visibili». Il bandito ha puntato l'arma e ha detto con calma: «Stai fermo farabutto, è una rapina, non ti muovere o ti brucio». Ricorda Mocchetti: «Ho cercato di calmarlo, di parlamentare con lui. Nel frattempo sulla porta dello spogliatoio è comparsa mia moglie; quando si è resa conto di quello che stava acca- dendo, ha cercato di raggiun- I gere la sua camera per telefo- ! nare ai carabinieri, ma il rapi- \ natore l'ha afferrata alle spai- ': le. E' stato in quel momento che sono riuscito a prendere dal cassetto del comodino la mia Beretta 6,35, che avevo messo lì per precauzione mer coledì sera, dopo la visita del lo sconosciuto». E' stato l'epilogo della convulsa vicenda. Ancora Mocchetti: «Volevo intimidire il bandito. Lui mi ha sparato. La pallottola mi ha sfiorato il capo e si è conficcata nello stipite. A questo punto ho capito di non aver scelta. Il rapinatore non ci avrebbe risparmiati. Ho esploso due colpi raggiungendolo alla spalla e al petto. Lui è caduto e ha sparato di nuovo. Io ho fatto fuoco per la terza volta». Questa dunque, ascoltata dalla voce del protagonista, la ricostruzione dell'episodio. Se, come i carabinieri ritengono, essa è esatta, ricorrono tutti gli estremi della legittima difesa: l'attualità del pericolo, la minaccia alla vita, la proporzione tra l'offesa e la difesa. Quando gli inquirenti sono giunti nella villa, pensavano che la vittima fosse uno dei tanti individui sbandati asociali, di cui purtroppo sono ricchi la periferia milanesi e parecchi centri della cintura. Ma la figura di Riccardo Azzini, di 34 anni, non rientra in questo modello. Originario di Mantova, abitava con la moglie e i figli nel quartiere Gratosoglia di Milano. Era incensurato e dietro la rispettabile etichetta di imprenditore tessile, conduceva una seconda vita. I carabinieri sospettano che abbia compiuto parecchie altre rapine. Nella sua abitazione sono stati trovati 40 milioni in dollari ed altra valuta estera e circa 50 milioni di preziosi. Domani saranno perquisite tre cassette di sicurezza che l'Azzini aveva in banche milanesi. Si pensa che fosse un bandito solitario, non inserito in bande organizzate. Lo dimostrerebbero le modalità dell'ultima impresa che gli è stata fatale. La moglie ha affermato di essere stata sempre all'oscuro della sua vera attività, ed ha aggiunto che l'uomo la maltrattava. Clemente Granata L'industriale Giuseppe Mocchetti (Tel. Bosio - La Stampa)