Le inutili Lepanto di Gianni Granzotto

Le inutili Lepanto Un racconto-apologo di Granzotto Le inutili Lepanto Gianni Granzotto - « La battaglia di Lepanto » - Ed. Mondadori, 238 pagine. Lire 4000. Giornalista e manager di grande notorietà, Gianni Granzotto pubblica a sessantanni il suo primo libro: un romanzo storico su un tema piuttosto inatteso, la battaglia dì Lepanto; e in esso adatta appena alle sensibilità e ai gusti del tempo nostro un modello scopertamente ottocentesco, la « maniera » che fu del romanticismo europeo. L'autore, quasi a giustificare questa tarda fatica letteraria, afferma che il libro esce « con quarantanni di ritardo, perché fino ad ora non avevo mai avuto il tempo di scriverlo »; è una battuta in cui sembra d'intravedere un certo pudore, e che non va presa alla lettera. La battaglia di Lepanto è il libro d'un uomo maturo, dove confluiscono tutte le esperienze culturali, professionali e morali d'una vita; è una meditazione (dissimulata sotto un'abile e vivace forma romanzesca) sul senso della vita e della storia, alla quale inclina ogni uomo pensante quando ha sepolto gli anni della giovinezza. Spunto o pretesto del libro è una lapide scoperta in una abbazia dell'Appennino sopra Cascia: l'ex voto che un pìccolo signore del '500, Antonello Antonelli, affisse alle pareti della chiesa adempiendo ad una promessa fatta prima della battaglia, dove combatté nella squadra veneziana con il comando nominale di cento cavalieri pesanti. Granzotto, riprendendo ancora una volta l'invenzione manzoniana, finge d'aver ritrovato dopo molte ricerche il manoscritto in cui il vecchio guerriero, a mezzo secolo dai fatti, ricostruisce la grande avventura della sua vita per ricercarne il senso profondo, per trovare una risposta alla domanda che un giovane disperato gli aveva rivolto: « a che è servita la splendida vittoria di cui voi reduci vi gloriate, se non è mai giunto il mondo migliore che avevate promesso a noi ed a voi stessi scendendo in guerra? ». La vecchia formula del simulato racconto autobiografico dà buoni frutti: consente di rievocare nel modo più vivo, immediato e attraente un momento storico d'eccezionale interesse. Antonello Antonelli dall'amicizia dei Colonna, patroni della sua casata, è strappato all'esistenza monotona del suo castello di campagna; marito d'una gentildonna veneziana di gran nome, ha l'incarico di collaborare alle difficili trattative tra il Vaticano, 'a Serenissima e la Spagna per la lega contro il Turco; nell'armata cristiana militerà al soldo e sulle galee di Venezia come agente di collegamento e fiduciario del generalissimo pontificio. E' una posizione che gli consente di seguire da un osservatorio privilegiato la drammatica preparazione dell'ultima crociata, e gli impone di partecipare all'ultima e massima battaglia navale della marina a remi, prima che i grandi vascelli delle rotte oceaniche aprissero un'età nuova per la marineria e per la storia del mondo. La ricostruzione storica è fedele, documentata anche nei particolari quotidiani e curiosi, rapida; e il racconto quasi giornalistico dei fatti si intreccia molto bene con il « romanzo », la vicenda personale e sentimentale del protagonista: s'avvertono nell'autore gusto, talento, un'eccellente educazione letteraria. Ma vien fatto di chiedersi quali siano ì motivi profondi che hanno spinto Granzotto a scrivere questo libro inconsueto. A nostro parere, se ne possono individuare due abbastanza evidenti. Diremmo anzitutto che Granzotto ha voluto far « vivere » nel romanzo i monumenti e più ancora i quadri che da decenni lo affascinano: i ritratti splendidi e solenni dei dogi, dei senatori, dei magistrati veneziani, dei condottieri tra Rinascimento e Controriforma; le grandi scene di guerra della pittura celebrativa (chi non ricorda l'immensa e convulsa « battaglia di Lepanto » a Venezia?); le memorie del passato così folte e suggestive in Roma: Vaticano e Quirinale, i palaz¬ zi principeschi e i conventi in cui si annodarono secoli di intrighi; forse il mirabile sepolcro di don Giovanni d'Austria nei sotterranei dell'E scortai. Ma ci sembra di scorgere una ragione ancor più profonda: Granzotto rimedita le vicende lontane della guerra contro il Turco con le sue esperienze di osservatore e cronista della politica contemporanea. La storia tormentata della Lega Santa, con il conflitto tra gli ideali della Crociata e il duro egoismo dei Paesi associati, ricorda l'esistenza difficile delle alleanze nell'età nostra: anche il fronte delle Nazioni Unite contro Hitler conduceva una crociata, ma — come il fronte antiturco — non sopravvisse alla vittoria. Il sultano Selim anticipa, come simboli della minaccia o della paura, il pericolo nazista o staliniano; ma non c'è lega di Stati in cui non si mischino e non si scontrino i grandi principi e i sordidi interessi. Infine la guerra santa contro il feroce imperialismo turco, predicata da un Papa di ascetiche virtù e finita con il massacro di Lepanto, pone l'eterno problema morale della forza come strumento di giustizia, della compatibilità tra le armi e i più alti valori umani. Granzotto, come il suo portavoce Antonello Antonelli nell'immaginario memoriale, non pretende di offrire risposte certe e definitive. Conclude che « un uomo solo non può capire il mondo »; sol tanto riconosce che ognuno di noi appartiene alla cavalcata della storia, composta di fatti e di ricordi, e che da questo corteo non possiamo allontanarci, pur ignorandone l'ultimo traguardo. Carlo Casalegno

Luoghi citati: Austria, Roma, Spagna, Vaticano, Venezia