GIULIETTA MASINA

GIULIETTA MASINA GIULIETTA MASINA Le lavoratrici senza stipendio Una gentile lettrice l'estate scorsa mi scrisse segnalando il « disinteressamento previdenziale mutualistico dei pubblici poteri nei confronti della donna casalinga, cioè donna che per libera scelta o meno è rimasta casalinga, e non ha un lavoro fuori casa che oltre lo stipendio le assicuri il diritto a versare i contributi previdenziali ». La mia risposta di allora (e in parte quella di adesso) pure ricoj noscendo pienamente l'importan! za e il valore del lavoro in casa della donna e l'urgenza sociale di dar veste giuridica a tale misconosciuta prestazione d'opera, rimetteva (e rimette) al nuovo diritto di famiglia l'inizio di un tempo diverso e infine onesto per milioni e milioni di donne. Era mia opinione di allora, quanto di adesso, che le battaglie contro l'indifferenza, l'ignavia, le pessime abitudini alle quali il maschio italiano è avvezzo da sempre, non si vincono con una pensione caritatevole né con un obolo di spiccioli, ma con trasfigurazioni e trasformazioni di fondo. Di mentalità e di costumi. D'altra parte non sarò io a ignorare quanto valga II piccolo di ogni giorno anche nei riguardi dei massimi problemi. Voglio dire che sono perfettamente cosciente di quanto il poco oggi possa essere più utile del tanto domani. Tuttavia, ciò è valido fino a che l'immediata acquisizione del poco non disturbi la conquista del molto. In altre parole, sospetto che il maschio medio italiano avrebbe volentierissimamente barattato con una pensione di trentamila mensili, si fa per dire, l'ibernazione per un altro decennio, almeno, del diritto di famiglia testé approvato dal Parlamento. E' soltanto un sospetto, ma l'abdicazione del maschio, nel diritto civile del nostro Paese, comincia proprio da questa legge; e nessuno rinuncia con leggerezza a potestà millenarie di privilegio. E non intendo soltanto della parità economica, nell'interno della famiglia, tra l'uomo e la donna; ma della spartizione, tra i contraenti del contratto matrimoniale, dell'incredibile somma di assurdi diritti, nella conduzione e nella condotta della famiglia, fino a ieri riserbata esclusivamente al marito. Ma per tornare alle richieste della persona che mi scrive, spiego che le precedenti considerazioni non minimizzano per nulla la liceità di un sistematico intervento previdenziale dello Stato nei riguardi di quella lavoratrice senza stipendio e senza orario di lavoro che è la donna di casa. Come è noto anche a chi mi scrive, una pensione sociale per le casalinghe già esiste, seppure minimissima e ottenibile a condizioni tali da riserbarla non alla dignitosa povertà, mà alla miseria totale. Una pensione alle casalinghe tuttavia significa che il «datore di lavoro» (il marito? oppure la famiglia in sé?) debba mensilmente, come per le Colf, versare contributi imposti e protetti per legge. Nulla di eccezionale, ma quante famiglie, quanti mariti, sarebbero disposti a tener fronte, e fede, a tale impegno? In una nazione di pensionati, così come si prospetta per l'avvenire la nostra, il peso dei contributi (da quelli fiscali alla fonte e a conguaglio, alle quote assistenziali e previdenziali; e le innumerevoli altre che si disperdono in rivoli spesso insensati, le addizionali, le alluvionali, e via dicendo) minaccia di divenire tra brevissimo tempo insostenibile. Una proposta, invece, mi sembra umana e possibile: ove in casa non ci si serva di una coll, la quota assistenziale sia versata a favore della padrona di casa. Giulietta Masina

Persone citate: Giulietta Masina