Giorni "poveri,, dell' Inghilterra di Mario Ciriello

Giorni "poveri,, dell' Inghilterra Mentre si avvicina il referendum Giorni "poveri,, dell' Inghilterra La sterlina è ai livelli minimi e l'inflazione aumenta - La battaglia prò o contro la Cee non fa che peggiorare la crisi economica (Dal nostro corrispondente) Londra, 7 maggio. Si apre la radio: «La sterlina Ita toccato un nuovo mìnimo». Si apre la televisione: «L'inflazione sta sfuggendo a ogni controllo». Si apre un giornale: «L'Inghilterra precipita verso la più drammatica crisi economica dalla fine della guerra». L'Economisi avverte: «CI aspettano giorni da incubo». Il famoso economista americano Eric Scvarcid dichiara: «La Gran Bretagna va lentamente verso uno stato di ingovernabilità ». E' su questa tenebrosa scena che si recita la tragicommedia del «referendum europeo». Il teatro trema, è scosso da sismi sempre più violenti, tutto scricchiola e vacilla, ma gli attori filosofeggiano sui meriti e demeriti del mercato comune come teologi impegnati in un dibattito religioso. E' un momento triste per la Gran Bretagna, divisa da faziosità e paure e senza una energica guida. C'è un solo filo di luce: la crescente convinzione che il 5 giugno la maggioranza dei votanti non taglierà i legami con la Comunità economica europea. Convinzione, ma non certezza, perché in questo tempestoso clima, dinanzi ad argomentazioni bugiardamente complesse come quella sulla «sovranità» e ad altre bugiardamente semplici come i «prezzi degli alimentari», le emozioni potrebbero prevalere sul buon senso. E' vero, non tutti gli operai sono anti-curopei, ma non sarà facile per molli resistere all'imperioso monito della confederazione sindacale, su un manifesto rosa: «The Tue says... better out than in». Il Tue dice... meglio fuori che dentro. Molti sono i motivi per cui questo plebiscito colpisce come una esasperante assurdità. La sua origine puramente politi-* ca, ovvero il tentativo della sinistra laburista di dominare il partito. I « mostruosi accoppiamenti » creati dall'iniziativa, con i radicalsocialisli, i comunisti, i trotzkisti, maoisti, gli ultra-conservatori, i fascisti del National Front, i nazionalisti scozzesi, gallesi e nordirlandesi, Vanessa Redgrave e il reverendo Ian Paisley, la « maggioranza silenziosa » di Enoch Powell e il sindacalismo d'assalto di Jack Jones, tutti alleati nell'impresa di salvare l'isola dal contagio continentale. La posta in gioco, in questa straordinaria partita, non è però una maggior influenza diplomatica, bensì la sopravvivenza economica durante i prossimi tre o quattro anni, fino a quando il petrolio del Marc del Nord non arresterà forse il declino. La parola sopravvivenza si presta a interpretazioni sensazionalistiche, che sarebbero ingiustifica¬ te: prima o poi, soprattutto se non abbandonerà la Cee, l'economia britannica si riassesterà su nuove basi. Ma frattanto vi sono molle e preziose cose che possono affondare: la sterlina, la relativa indipendenza finanziaria inglese, il già diminuito tenore di vita, la «qualità» della vita, e le speranze di trasformare, senza laceranti conflitti, le relazioni industriali. E l'unità nazionale stessa, minacciata da una Scozia tutta pervasa da ardori patriottici e petroliferi. In un mondo che sta domando con parziale successo la furia dell'inflazione e che sembra già emergere dagli abissi della recessione, la Gran Bretagna è prigioniera di entrambi questi crudeli nemici. Come una febbre micidiale, la corsa dei prezzi è salita in pochi mesi dal 18 al 25,4 per cento annuo, e si teme che tocchi, prima dell'autunno, il 30 o il 40. Non è più inflazione, è iper-inflazione, con l'inevitabile deformarsi delle normali leggi economiche. La sterlina scivola dall'inizio di marzo, è ormai una moneta che scotta. La produzione è statica o declinante. Se l'inflazione britannica era attribuibile prima, come le altre inflazioni, agli alti prezzi mondiali, questa diagnosi non è più valida. Ora la causa è un'altra, è il fallimento di quel fragile patto tra governo e sindacati nobilmente chiamato «contratto sociale». In cambio di una strategia economica a favore della classe lavoratrice, le Unions avrebbero dovuto limitare le loro rivendicazioni al tasso corrente di inflazione. Molle hanno mantenuto la promessa, ma non le più potenti, che hanno strappato aumenti del 25, del 30 e del 40 per cento. L'altro giorno, i sindacati dei ferrovieri hanno chiesto il 30 per cento: e, alla Brilish Rai! che ha detto di non avere i soldi, hanno risposto: « £' afjur vostro. Trovateli ». Nella scia dell'inflazione, avanzano, sempre più minacciose, tre altre crisi: 1) Crisi della disoccupazione. Il totale, meno di 900 mila, non è tra i più drammatici in Occidente: ma sale di 40 mila unità al mese. 2) Crisi della spesa pubblica. Queste spese superano adesso tulle le entrale — fiscali e d'altro genere — di circa 9 miliardi di sterline l'anno e costituiscono oltre il 10 per cento del prodotto nazionale lordo. 3) Crisi della bilancia commerciale. Il valore delle impor- l fazioni ha superato nell'ultimo trimestre quello delle esportazioni a un tasso che, su base annua, è di circa due miliardi e mezzo di sterline. A questo punto, si torna al referendum. Poco o nulla potrà fare il governo fino a quando la nazione non si sarà pronunciala, un intervento troppo duro sul terreno economico potrebbe spingere fra gli antieuropcisti molti sindacalisti ancora incerti. Frattanto, la sterlina continuerà ad afflosciarsi, e se non si riprenderà rapidamente dopo il plebiscito (sempre ammesso che il verdetto confermi l'unione con la Cee. altrimenti saranno guai) parecchi investitori, soprattutto quelli del Commonwealth, nonché gli arabi, trasferiranno altrove i propri fondi. Il disavanzo nella bilancia dei pagamenti diverrebbe allora insostenibile. Il referendum insomma ha aggiunto un ennesimo interrogativo ai mille che offuscano l'orizzonte britannico. Come usciranno dal plebiscito partito e governo laboristi? Avrà il coraggio Wilson di rinunciale al «contralto sociale» e di imporre una qualche politica dei redditi? Riuscirà a fermare la divorante inflazione? Accetterà la dolorosa necessità di ridurre l'eccessivo numero di dipendenti delle aziende nazionalizzate, come le acciaierie? Non si vede ancora nessuna «luce alla fine del tunnel» perché questi sono soltanto i problemi immediati; restano quelli di fondo, storici, psicologici, quelli che impediscono alla «old England», dentro o fuori che sia della Comunità Europea, di acquistare un corpo e uno spirito più moderni. Mario Ciriello

Persone citate: Enoch Powell, Eric Scvarcid, Ian Paisley, Jack Jones, Vanessa Redgrave

Luoghi citati: Front, Gran Bretagna, Inghilterra, Londra, Scozia