Caracas vuol guidare il Mec sudamericano di Livio Zanotti

Caracas vuol guidare il Mec sudamericano Il Venezuela punta sul petrolio Caracas vuol guidare il Mec sudamericano Il presidente Perez del Paese, sostiene , forte della nuova, immensa ricchezza le nazioni produttrici di materie prime (Dal nostro corrispondente) Buenos Aires, maggio. In quel nuovo potentato internazionale che è l'Organizzazione dei Paesi produttori di petrolio (Opec) Perez tratta da pari a pari lo Scià di Persia e il presidente algerino Huari Bumedien. In America Latina i diseredati degli idrocarburi guardano con aperta invidia le piramidi di petrodollari che il suo Paese sta edificando. L'empirismo politico che sembra guidarne l'azione di governo desta qualche diffidenza anche a Washington, tra i poderosi partners del Nord. Quando lo elessero per schiacciante maggioranza alla massima magistratura dello Stato, sullo spirare del 1973, i venezuelani ricordavano Carlos Andres Perez giovane segretario di Romulo Betancourt (il fondatore della socialdemocrazia caraibica con il partito di Acción Democraticaj, poi perseguitato del regime militare di Perez limenez, infine ministro degli Interni ed implacabile nemico della guerriglia castrista, che praticamente distrusse. Pensavano al suo slogan di sempre: «Democrazia con energia». A destra e a sinistra gli avversari tentarono di discreditare l'immagine di se stesso che Perez andava aggiustando alle necessità propagandistiche della campagna elettorale. I nazionalisti ortodossi lasciavano intendere che i suoi vincoli internazionali erano ambigui, oscillando tra il vecchio impero britannico e il nuovo statunitense. I giovani studenti dissero che Cap (come con il massimo di sintesi hanno ridotto in sigla le iniziali dei suoi nomi e cognome) aveva assunto un gruppo di esperti estetisti di Hollywood per farsi limare i denti, tirare le rughe, scegliere camicie e cravatte intonate, cambiare infine il volto truculento di «mangia-rossi» che si era ritrovato addosso come una maschera durante gli anni in cui orchestrò la repressione. Ugualmente Perez fece la parte del leone, e quando tutti si aspettavano un governo inflessibile con la sinistra e ben disposto verso gli Stati Uniti, mostrò che non soltanto il suo volto era cambiato ma anche le sue idee, immediatamente adeguate alle nuove possibilità del Venezuela privilegiato dell'oro nero, dando vita all'amministrazione più progressista mai insediatasi a Palazzo Miraflores. «Faremo un Paese industriale e moderno, questo ci interessa», proclama Cap. Frazionata in almeno cinque formazioni, smarrita tra l'estremismo verbale e un riformismo alla svedese, la sinistra largamente minoritaria appare di fatto sterilizzata in quanto opposizione. Alla destra classica Perez ha opposto un dinamismo che le ha tolto ogni spazio di manovra. All'esterno, il presidente venezuelano porta avanti una strategia tesa a moltiplicare i legami con i Paesi dell'area e marcata da una costante attenzione ai rapporti con gli Stati Uniti. Perez può e quindi paga senza discutere ogniqualvolta che il suo programma di sviluppo capitalistico indipendente entra in conflitto con qualche multinazionale. Intanto lascia che dal Rio Bravo alla Terra del Fuoco chi ne ha voglia lo indichi come il leader del crescente rivendicazionismo dei Paesi produttori di materie prime. Non ha perso tempo quando il Messico ha proposto un nuovo sistema economico latino-americano integrato, al quale avrebbe dato il proprio assenso anche Fidel Castro. Perez ha detto subito sì e se ne è fatto paladino. Il Brasile, stretto alla gola dalla fame energetica, e l'Argentina, sempre più incerta nella sua politica estera, rischiano di perdere l'iniziativa che sempre ebbero in quanto membri-giganti della comunità latinoamericana. Nondimeno, non tutto procede senza difficoltà per Cap e i suoi consiglieri, teorici e patrocinatori di un crescente statalismo nell'economia. Federcamaras, una via di mezzo tra la nostra associazione delle camere di commercio e la Confindustria, dopo aver appoggiato la candidatura di Perez lo attacca adesso preoccupata di difendere l'iniziativa privata. E' una opposizione che si coagula all'interno stesso di Acción Democratica, la cui ala moderata fa intendere di considerarsi quasi tradita dal capo dello Stato. Potrebbe trovare una spiegazione in questo conflitto interno all'impresariato venezuelano e al partito di maggioranza l'improvviso avvicinamento di Carlos Andres Perez all'ex presidente Rafael Caldera, un fine intellettuale che nelle ultime elezioni insieme alle incertezze del proprio partito, il democristiano «Copei», ha pagato probabilmente tinche il riflesso tutto nega¬ tivo degli errori compiuti dai democristiani cileni. Caldera approva sostanzialmente il programma di riforme approntato da Perez e ne condivide l'applicazione, considerando che il Venezuela è forse il solo Paese del subcontinente che possa ancora reggere con profitto la spirale dell'espansione industriale e dell'inflazione monetaria. In lui, l'attuale capo dello Stato spera di trovare l'alleato capace di frenare la tendenza dei settori economici che si ritengono danneggiati a raggrupparsi tra di essi e di togliere loro fin dall'inizio un possibile e prestigioso riferimento politico. «E' necessario riaffermare i diritti della comunità» ha detto recentemente Caldera, riprendendo un leit-motiv della parte più lucida della classe dirigente venezuelana d'ogni tendenza. Questo Paese che è il maggior importatore del mondo di Cadillac e whisky scozzese, ha la~cnpitale, Caracas, che è uno dei più clamorosi esempi di disordine urbanistico, con un servizio di trasporto pubblico pressoché inesistente, con carenze igieniche impressionanti, dove spesso manca perfino l'acqua potabile nelle case. Livio Zanotti Il presidente Perez