Carla Fracci: come è difficile amministrare questo successo

Carla Fracci: come è difficile amministrare questo successo Intervista con la interprete di "Giselle,, al Regio Carla Fracci: come è difficile amministrare questo successo La danza in Italia ha trovato un pubblico; manca un'organizzazione per mantenerlo il boom italiano del ballel- to potrebbe essere un fuoco di paglia, legato soprattutto ai grandi interpreti e ai gran- di spettacoli del repertorio classico, «Giselle», «Coppe-Ha». «Lago dei cigni». Soltan-to in queste occasioni il pub- blico italiano sarebbe dispo- sto ad assaltare i botteghini. come sta avvenendo in questi giorni al Regio per la «Gisel- le» della Fracci e di Bortoluz-si. L'interesse per la danza potrebbe addirittura «rientra-re» se non bene governato e «noi cominciamo ad essere impressionati di fronte a cer- te programmazioni». Questi timori e questo af-fanno sono di Carla Fracci edi suo marito Beppe Menegat-ti, regista: vivacemente pole-mico lui; lei non meno preoc-cupata e dura in certe prese di posizione pur nell'educato equilibrio del proprio temperamento. « Il futuro del balletto dipende esclusivamente dalla intelligenza con cui l'interesse di oggi sarà amministrato » dice la nòstra più grande ballerina. Il nodo della questione pa¬re essere l'alternativa tra bai-letto classico e balletto mo-derno. Tenere per l'uno o perl'altro partito diventa neces-sario, secondo Menegatti,quando si vedono certe ten-denze a dare più spazio, nelpoco per ora destinato alladanza, a sperimentalismi edavanguardia. « Il pubblico —è l'opinione del regista — si accosta solo ora al balletto "tradizione". Saltare a pie pari tutti i «momenti» di ieri ed arrivare repentinamenteall'oggi sarebbe come daremusica elettronica a chi nonconosca ancora Mozart. Si ri-schia di rompersi le ossa. Intrent'anni, in Italia, bene omale, è stato fatto un discor-so di teatro. Un discorso diballetto, no. Larghi vuoti dipalcoscenico ed è mancataun'informazione costante. Losforzo massimo, assoluto deiteatri deve essere concentratoadesso nel tentativo di fare bene il "repertorio", senza ! avere la minima fretta di mettere lo spettatore di fron-1 te ad esperienze magari straordinarie ma troppo i avanzate». II successo più che buono del balletto Nikisch-Lojodice proprio a Torino in queste settimane dedicate dal Regio alla danza, indurrebbe ad un pessimismo molto meno scu ro di quello di Menegatti. «Anche noi abbiamo fatto esperimenti di tipo contem- poraneo, è chiaro che ci han- ! no interessato. Ma ogni volta i ci siamo accorti che il pubbli co non aveva ancora tutti gli strumenti necessari per se guirci. Non dimentichiamo che in molte città italiane un "Lago dei cigni" non è ancora mai arrivato. Allora ci è par- so più utile e più giusto an dare avanti su questa strada nel miglior modo possibile e naturalmente rinnovando. Del resto anche Béjart e i suoi exploits li fa sulla "Nona" di Beethoven e su "Giulietta e Romeo" di Berlioz; il Bolshoi ha portato in questi giorni a New York quattro spet- Macoli classici su cinque». Il punto d'arrivo ideale sa rebbe una grande compagnia nazionale di danza. Un po' quel che voleva fare Gassman 1 per il teatro una quindicina j d'anni fa. E non gli riuscì, '< Uno o più gruppi per un lavoI ro di tutto l'anno, una sede I fissa e periodiche tournées, in modo da garantire il reperto rio classico di base attorno al quale potrebbe essere articolato un settore sperimentale: con il risultato di impegnare gli artisti foggi talvolta poco utilizzati e delusi) e impegna' re il pubblico (oggi abbandoj nato a se stesso) in una co! mune ricerca culturale. Le speranze di arrivarci paiono poche. «Si pensi che alla Scala dal i l'anno scorso non c'è più sta j to uno spettacolo di grande ! repertorio. Lo si dice con do , lore perché si sta parlando del "tempio italiano della I danza". In questo momento il j nostro maggiore teatro non jha neppure una chiara fisio: nomia nella direzione del corpo di ballo (in Italia nessun direttore artistico pare ! poter resistere al proprio po;sto più di due anni). Ciò è i drammatico». Carla Fracci e Menegatti ! ammettono di voler difendeI re, insieme al futuro della j danza, il proprio. La ballerina I che tutto il mondo vuole, ricorda di essere stata una pioniera «nella confusione degli Anni 60»; sa di aver costituito una forza trainante; a 17 anni fu la prima star italiana invitata, dopo un secolo, dal London Festival Ballet. «E lasciai la calda protezione della Scala per cercarmi da sola la strada, pagando di persona incertezze e difficoltà». Problemi che oggi non dovrebbero più porsi ad un'interprete che «a 36 anni è nel l'età prodigiosa in cui le bai I i lerine danno il meglio di sé», i Invece ci sono e seri, lo dice ! Menegatti.- Se il lavoro non ; manca, manca una visione I chiara del domani più immediato per quanto riguarda VII talia. «Abbiamo un impegno ; importante per tre anni con il San Carlo di Napoli ed un al!tro, altrettanto impegnativo, , con il Regio per la stagione d'autunno al Palasport: sei re; cite di "Giulietta e Romeo" di | Prokofiev. Invece la Scala ; non ci ha mandato, a tutt'ogi gi, nessuna proposta precìsa per la prossima stagione. Con questo non si dice che il teatro non tenga ad avere la j Fracci. Ma si può capire il noj stro stato d'animo». Anche i le discriminazioni economi| che, ad un certo pulito, pesa| no. «Perché il cachet di Car, la Fracci deve essere un ter| zo di quello di una grande , cantante, poniamo Montser| rat Caballé?». Menegatti, parla addirittura di «question razziale». E forse, a questoJpunto, esagera. Mirella Appiotti 1 i ! i Carla Fracci, una serie di esauriti per « Giselle » al Regio

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