Perché Ford viene da noi di Aldo Rizzo

Perché Ford viene da noi Perché Ford viene da noi «li is finishéd», è finita, La |vignetta conclusiva di Herbloek, ' sxxWHerald Tribune, è una gran- '. de croce su un mucchio di terra chiamato Vietnam, su uno sfon- ' do di altre croci e lapidi e fumi d'incendi appena spenti. Ma la vita continua, la politica conti¬ nua. L'America medita sulla pri- ma sconfitta politico - militare della sua storia e ne trae indie; zioni attive per il futuro, il tem- po dei lamenti è già passato, Ora il problema, per Ford Ktssinger, e convincere ,1 mon- do (gli alleai, per un verso, i delle aree d'influenza, tri Stati Uniti e le due massime po- tenze comuniste, alle quali si ag giunge il Nordvietnam, sarà la borioso e lungo. Invece in Euro- matici sono i contraccolpi della :aduta di Saigon: qui il riassetto ipotenziali avversari per un altro) che la superpotenza americana esce intatta, benché scossa, dal «tunnel» indocinese e che la sua credibilità non è compromessa dall'abbandono del Sudvietnam. E' un compito ingrato in Asia, dove più netti e dram- pa e nel Mediterraneo l'influenza americana è immutata, e anzi può beneficiare della fine di quel gigantesco, tragico diversivo che è stato, per anni e anni. la guerra vietnamita. Venendo in Europa, per la Nato e per il Medio Oriente, Ford dimostra che queste sono le nuove «priorità» della politica estera di Wa- shington. Certo, in via di principio gli europei possono temere una serie di effetti a catena del disimpegno vietnamita. Avendo già abbandonato una volta un alleato, sulla base del riconoscimento che difenderlo ad oltranza non corrispondeva a un interesse vi- tale d£Ua nazionc ;imel.icana. gli Slali Unìti non potrebbero l'are potr lo stesso in altre parti del mondo, e persino in Europa? I sondaggi d'opinione, oltreoceano. avvalorano questi timori. Però è facile rispondere che, nel giucli zio responsabile della classe di rigente di Washington, nessun paragone è possibile tra l'Euro pae i.Asia de| Sud-Est: non solo per ratfinita s-toric-a> politica e culturale tra americani ed europei, ma anche per la consapevo- lezza di quanto sia importante, per la stessa sicurezza americana, la sicurezza europea. Un'America che si disinteressasse dell'Europa sarebbe una fortezza assediata, senza altra base di sopravvivenza che l'apparato nucleare. A Bruxelles, nel «vertice» di l'ine maggio, gli europei potranno fidarsi delle assicurazioni di Ford, perché esse appaiono realistiche, legate a interessi primari della superpotenza americana. Proprio per questo, semmai, gli europei potranno usare a loro volta un linguaggio fermo, chiedendo al principale alleato una «rifondazione» del rapporto di alleanza su basi più concrete e aggiornate, nel senso di un mutuo rispetto. Più volle, nel recente passato, si è avuto modo di dubitare della volontà americana (kissingeriana) di favorire l'unificazione europea, accettando un'autonomia d'iniziative e di atteggiamenti europei; più volte gli Stati Uniti sono parsi sacrificare al rapporto con l'Urss (anche a eausa, appunto, del conflitto vietnamita, per la cui soluzione hanno invano cercato, da John- ! "n a Nixon, l'aiuto di Mosca) Lstanze e, Si vor.reb- I be ora che gli americani capissero quanto giovi, in una strategia globale dell'Occidente, un'auto- ropa. Ma poi, è ovvio, è l'Europa stessa che deve rendersi un'interlocutrice apprezzabile, mostrando in proprio l'intenzione di contare, di esprimersi. La stessa garanzia di un potente alleato è inefficace, in ultima analisti, se non si ha la volontà e la forza di difendersi in proprio, di far valere una propria identità. Fra le molte lezioni del «dopo .Vietnam» c'è anche questa. Aldo Rizzo

Persone citate: Ford Ktssinger, Nixon