Una lunga lotta per sopravvivere

Una lunga lotta per sopravvivere AUTOTRASPORTATORI Una lunga lotta per sopravvivere Terminano questa sera le 48 ore di sciopero proclamate dagli autotrasportatori di vetture Fiat (altre fermate sono in programma per i prossimi giorni). Una categorìa di lavoratori che fino a pochi mesi fa non aveva fatto parlare di sé, ma che si trova da qualche tempo in una situazione quanto mai pesante. Si tratta di circa 300 ex dipendenti di grosse ditte come Peyrani, Zambruno, Stao, B e F, Grosso Mat e altre che si sono messi in proprio. Chiedono garanzia del lavoro, aumento delle tariffe, diritto di organizzarsi in cooperative e consorsi con potere contrattuale riconosciuto. «Per capire il problema bisogna conoscere la nostra storia», dice un loro rappresentante. «Tutte le aziende di cui facevamo parte lavoravano esclusivamente per la Fiat. Ad un certo punto, a causa dell'aumento dei costi, sono state costrette a praticare prezzi che la Fiat non ha voluto accettare. Per risolvere la situazione, i proprietari di queste aziende ci hanno offerto di comperare i camion, dicendo che, altrimenti, sarebbero stati costretti a licenziarci. Il prezzo richiesto per i mezzi era molto maggiore del valore di mercato con la scusa che, comprando il camion, comperavamo anche la sicurezza del lavoro, vale a dire le commesse della Fiat». Nel marzo del '71, la maggioranza degli autisti è diventata proprietaria del mezzo che guidava. La Fiat, però, continuava a distribuire le commesse attraverso i titolari delle vecchie aziende che finivano così per avere una specie di appalto. «Per questa ragione, al momento dell'acquisto del camion, abbiamo dovuto accettare l'impegno a versare ai vecchi padroni il 10 per cento del fatturato lordo in cambio del disbrigo della parte contabile del lavoro e del diritto di rimessaggio fra un viaggio e l'altro». Lo stesso mandato di pagamento, in alcuni casi, viene spedito dalla Fiat alla vecchia azienda (anche se a nome del nuovo proprietario del camion) che provvede successivamente a versarlo in banca su conti a «firme congiunte»: Come dire che il titolare del mezzo — che ha fatto il lavoro — non può ritirare alcuna somma senza il consenso della ditta per cui lavorava prima. «Ora la Fiat afferma che su alcune linee le conviene di più far le consegne per ferrovia» dice un rappresentante degli autotrasportatori («non posso dare il mio nome altri menti di lavoro non me ne resta neanche più quel poco»; « e noi non riusciamo a tirare avanti. Sappiamo benissimo, oltretutto, che i proprietari dei vagoni usati adesso, sono gli stessi delle ditte per cui lavoravamo prima e da cui abbiamo comperato gli autocarri». «L'unica via di uscita è di organizzarsi in coperative», dice Tecchiati della segreteria Fifta-Cgil. «In questo modo anche la parte commerciale potrebbe essere svolta da noi e si potrebbe risparmiare quel 10 per cento che si deve dare alle vecchie aziende. Ma a questo si oppone, oltre ai padroni delle ditte, anche la Fiat. A marzo del '74 abbiamo ottenuto, dopo 1 anno di lotta, l'autorizzazione a costituire una coperativa di 29 "padroncini" che successivamente sono diventati 40. Da allora non siamo più riusciti né a farne ammettere altri, né a fare altre associazioni analoghe. Se lo avessimo fatto, per i nuovi associati non ci sarebbe più stato lavoro». Ora gli autotrasportatori sono con l'acqua alla gola. Sono stanchi di dipendere dai vecchi padroni e doversi assoggettare a un contratto capestro. Chiedono di poter contrattare direttamente con la Fiat esattamente come qualsiasi altro fornitore di merci o di servizi. Giorgio Destefanis

Persone citate: Giorgio Destefanis, Peyrani, Tecchiati, Zambruno