Il tarlo laziale di Fulvio Cinti

Il tarlo laziale DOV'È L'ERRORE? Il tarlo laziale (DjI nostro inviato speciale) Milano, 2 marzo. Tutte le volte, c non erano frequenti, che Chinaglia andava a raccattare qualche pallone vagante, dalla curva alta dei «boys» (ragazzi o infanti?) nerazzurri partivano boati e bordate di fischi. Altre fischiate, non meno penetranti, aveva ricevuto il centravanti laziale entrando in campo. Probabilmente ad orecchie allenate come quelle di Chinaglia quel dissenso sonoro non deve aver recato alcun fastidio — il giorno che smetteranno di fischiarlo dovrà considerarlo come uno scadimento di popolarità — ma a me pare che quella parte di tifo interista abbia perduto la grossa occasione di ripagare con cenni di sim patia l'uomo e i suoi compagni che stavano riportando all'onur del mondo calcistico la squadra di Suarez. Amare riflessioni L'impalpabile gioco di quella che un tempo non lontano era la prima autentica «olandese» del nostro campionato ha esaltato oltre merito alcune impennate di Mazzola e celebrato, probabilmente in misura illudente, il debutto del diciottenne Cerilli, che avvenire avrà ma per ora limitato alla mediocrità in cui si esprime il calcio italico. La decadenza della Lazio, poiché non si tratta di un offuscamento momentaneo, accentua i caratteri di questo livellamento incolore, inasprisce l'insoddisfazione degli spettatori, spiega come e perché la Juventus abbia raggiunto margini di vantaggio, non definitivi, sufficienti a porre qualche ipoteca sullo scudetto di questa magra stagione. Già una squadra campione che non riesca a richiamare sulle scalee della « Scala calcistica » enorme folla stimola riflessioni piuttosto amare; che poi questa stessa squadra chiarisca con un esempio non occasionale quanto sia caduta in basso è convalida di certe facili affermazioni che si sentono in giro e per le quali la Juventus ormai «il titolo può perderlo solo se Io vuol perdere» oppure che «lo ha già vinto per manifesta inferiorità delle sue dirette avversarie». In sostanza la «vecchia signora» dovrà guardarsi d'ora in poi soltanto dalle formazioni di bassa classifica, quella specie di «bestie nere» affamate di punti e che addentano rabbiosamente il pane d'ogni partita. Ciò che di nobile conserva la Lazio, in questa sua decadenza, è la liberalità con la quale ha messo a nudo le sue rogne interne, il calo fisico e morale della maggior parte dei suoi uomini ed accetta rassegnatamente la caduta. Altri proclami di Chinaglia, a questo punìo, cadrebbero sicuramente nel vuoto, altri richiami all'umiltà dopo la folata di esaltazione collettiva probabilmente accentuerebbero il logorio generale. Dice Macslrclli: «Abbiamo battuto i primati», nel tentativo di addolcire la pillola amara che ormai deve ingoiare. Agli occhi di colevo che avevano della Lazio altro ricordo, la penosa esibizione milanese risulta allargata nei contorni e aggravata nella sostanza. Il numero dei gol ha valore relativo: sono stati tre, senza i disperati interventi di Wilson il conto sarebbe salito a cinque. Chinaglia e compagni erano battuti in partenza, non da un'Inter in felice giornata (rarissima nel suo campionato di tormentata ricostruzione), bensì dal tarlo che da tempo li rode e ne dissolve i caratteri tipici del loro gioco. Il "negro" biondo Tra tante ombre si aggira, umile, tenace, inarrendevole quel «negro» biondo che e Re Cecconi ed ogni tanto prende forma Chinaglia, al quale sarebbe il caso di offrire, dopo tanti ingrati fischi, un cenno di simpatia e e di conforto. Addio Lazio, dunque? No, ma arrivederci, malgrado sia ormai generale l'opinione che se qualche impennata prima della fine essa avrà non potrà essere salutata come resurrezione. Salvo, comunque, errori di valutazione e omissioni. Nel calcio ciò che ha valore oggi, domani non lo ha più. Cioè tutto è provvisorio. Fulvio Cinti

Persone citate: Cerilli, Chinaglia, Mazzola, Re Cecconi, Suarez

Luoghi citati: Addio Lazio, Lazio, Milano