La sentenza per Bertoli a Milano è un passo verso nuove indagini di Umberto Zanatta
La sentenza per Bertoli a Milano è un passo verso nuove indagini I giudici non, hanno creduto al terrorista La sentenza per Bertoli a Milano è un passo verso nuove indagini Oscuri fdi collegano il "killer" all'intera strategia del terrore (Dal nostro inviato speciale) Milano, 2 marzo. La sentenza che ha condannato Gianfranco Bertoli all'ergastolo non ha chiuso l'inchiesta sulle responsabilità per la strage di via Fatebenefratelli anzi segna l'inizio di un nuovo capitolo, quello più importante, che dovrebbe permettere di identificare i complici del terrorista, chi ne ha armato la mano, chi lo ha protetto, chi ha ideato il piano. I giudici assolvendo Bertoli dall'accusa di avere introdotto clandestinamente dal kibbutz d'Israele la bomba a mano usata per l'attentato in Italia hanno praticamente dichiarato di non credere a nulla di ciò che il terrorista ha sostenuto sin dal giorno dell'arresto, e cioè di essere un anarchico individualista, di avere ideato ed eseguito il piano da solo. Assolvendolo da quest'accusa la sentenza lascia intendere che il Bertoli ha ricevuto la bomba quand'è giunto in Italia, il 16 maggio del 1973, dopo che con il treno proveniente da Marsiglia è arrivato alla stazione centrale di Milano. E conseguentemente che il Bertoli è stato soltanto la pedina omicida di un'organizzazione Questo era l'obbiettivo politico del processo. E' la tesi che per tutto il dibattimento hanno sviluppato il pubblico ministero dottor Riccardelli e buona parte degli avvocati di parte civile facendo praticamente propria la sentenza di rinvio a giudizio del giudice istruttore Lombardi. La sentenza di sabato ha implicitamente riconosciuto che ha ragione questo giudice quando sostiene che bisogna ancora indagare. Il magistrato non ha mai smesso di scavare su quanto è accaduto la mattina del 17 maggio del 1973 e sul suo retroterra politico. Il suo riserbo è assoluto, ma si sa che ha indiziato il «rosaventista» Eugenio Rizzato di complicità in strage con Gianfranco Bertoli ed entrambi sono accusati nell'inchiesta in corso a Roma sul golpe di fare parte della «Rosa dei venti»; al vertice, sempre secondo l'accusa, c'era un gruppo di alti ufficiali legati al generale Vito Miceli, l'ex capo del Sid. In questi mesi il giudice Lombardi ha raccolto molte prove, testimonianze, indizi. Lo ha anche detto chiaramente in aula nei giorni scorsi il pubblico ministero Riccardelli. La sentenza di Milano ha accolto la tesi secondo cui la strage di piazza Fontana e gli attentati neofascisti compiuti nei giorni scorsi a Savona, passando attraverso alla bomba di Bertoli, alla strage di Brescia ed a quella dell'Italicus, fanno parte di un unico piano, quello dei fascisti che vogliono distruggere la democrazia in Italia. I giudici di Milano saranno presto chiamati ad un nuovo e grave compito. Il 10 aprile davanti a loro ci saranno i fascisti accusati di avere ucciso con una bomba a mano, il 12 aprile del '73, in occasione del mancato comizio degli onorevoli missini Servello, Petronio e Ciccio Franco, l'agente di polizia Marino. Durante il processo Bertoli ai giudici è stata mostrata la foto di una delle vittime, quella dell'appuntato Federico Masarin. Era chino sul corpo del collega Marino. Sul banco degli imputati ci saranno molti missini. Loi e Murelli sono accusati di avere lanciato la bomba. Nico Azzi di averla loro venduta. Ma Nico Azzi è stato condannato per la tentata strage al direttissimo Torino-Roma ed è accusato insieme con Bertoli, il generale Miceli e altri di fare parte della «Rosa dei venti» una delle organizzazioni, non la più grande, create da chi vuole attuare il golpe. Umberto Zanatta
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