Adesso si attende l'armistizio

Adesso si attende l'armistizio Adesso si attende l'armistizio (Dal nostro inviato speciale) Bangkok, 29 aprile. Gli americani hanno sgombrato Saigon. Alle 13 di oggi, su improvviso ordine del presidente Ford, l'ambasciatore Graham Martin ha dato il via all'iioperazione artiglio». Tra la popolazione in tumulto e i soldati in rivolta, quasi tutti i cittadini statunitensi e molti alti ufficiali e funzionari del deposto regime di Thieu sono stati portati via dagli elicotteri e dai marines della VII Flotta. Sanguinosi incidenti sono scoppiati ai posti di raduno, mentre nel cielo sfrecciavano, in un futile dispiego di forza, i caccia e i bombardieri con le bandiere a stelle e a strisce. Al momento in cui scrivo, anche l'ambasciata, oltre che la sua sezione militare, ha chiuso i battenti. Dopo trent'anni, è così terminata la presenza Usa in Indocina, fatta eccezione per la Thailandia. La storica evacuazione è av- venuta poco dopo che il presidente neutralista «Big» Minh, in un laconico discorso alla radio, aveva ordinato «la partenza entro 24 ore degli americani coinvolti in attività di guerra». L'hanno accompagnata l'orrore e la disperazione di chi si vedeva preclusa la salvezza: difficilmente, dopo questa sera, altri velivoli lasceranno infatti Saigon. In piena notte, le truppe motocorazzate nordvietnamite hanno semidistrutto l'aeroporto di Ton Son Nhut, a colpi di missili Sam 7 e di cannoni da 130 millimetri, di fabbricazione sovietica. Le piste, se non inutilizzabili, sono pericolose. Un agghiacciante silenzio è ora sceso su Saigon, immersa nel coprifuoco e con le strade deserte. Gli americani si sono abbandonati alle spalle il caos. Nella capitale sudvietnamita non funziona più nulla. Non ci sono più dirigenti nei ministeri, colonnelli nei reggimenti, commissari ai posti di polizia. L'aviazione militare ha praticamente disertato in massa. Portandosi dietro familiari ed amici, più di 2 mila persone complessivamente, i piloti di 75 apparecchi si sono messi in salvo in Thailandia e nelle Filippine, e quelli di 18 elicotteri hanno raggiunto la VII flotta nel Mar Cinese meridionale. Non è escluso che Saigon cada da sola, senza combattere, senza neppure bisogno di una resa formale: da parecchie delle sue vie d'accesso, sono scomparse le guarnigioni. Per una tragica ironia, «Big» Minh, l'unico presidente che abbia mai espresso la volontà della maggioranza, è il capo di uno Stato che non esiste più. Angosciosi interrogativi s'a| gitano negli animi della popolazione. Accadrà ciò che è accaduto a Phnom Penh, in Cambogia, subito dopo l'abbandono americano? Ci sarà qualcuno che opporrà un'estrema resistenza? I vietcong attaccheranno Saigon e occuperanno l'intero Paese, abbandonandosi poi ad un bagno di sangue? Almeno un uomo pensa di no, ed è «Big» Minh. Egli crede ancora nella possibilità di trattative e nella volontà comunista di un accordo. «Ho voluto che gli Usa sgombrassero — ha detto — per soddisfare le condizioni imposte dal Vietcong. Oggi, ho incaricato il senatore Vìi Van Mau di istituire un governo di concordia, allo scopo di negoziare un armistizio e la pace». Ma la sua potrebbe essere un'illusione: perché il nemico dovrebbe rinunciare alla più facile delle vittorie? E' l'ultimo atto della tragedia vietnamita. In due mesi è crollata la «macchina bellica» costruita dagli Stati Uniti al suono di centinaia di miliardi di dollari. In poche settimane, l'esercito d'invasione ha raggiunto, senza incontrare praticamente resistenza, il suo obiettivo. E in un pugno di giorni, le istituzioni e il tessuto economico e sociale si sono sfasciati. Milioni di civili hanno pagato col martirio questi eventi. La speranza adesso è che Hanoi ed il Vietcong, impostisi col dogma e la violenza, ascoltino la pietà e la ragione: e cioè, sotto la specie di un'applicazione più o meno sincera del trattato di Parigi, consentano almeno una resa decorosa. A Palazzo Indipendenza, sede del presidente, questa sera non si sono spente le luci. La «terza forza» buddista e cattolica, giunta al potere forse troppo tardi, e l'ambasciatore di Francia, Merillon, impegnati in una mediazione dura ed ingrata, preparano nuove 1 proposte da sottoporre alle truppe comuniste. Ma an-1 ch'essi si chiedono se non sa- j rà questa l'ultima notte di li- ! berta del Sud Vietnam, se il i primo maggio i conquistatori non sfileranno in Tu Do. Intorno a Saigon tutto è rovina. | Sono cadute Bien Hoa e Long Thana, gli ultimi capisaldi e la cintura di missili e cannoni s'è fatta ancora più stretta. Centinaia di migliaia di profughi, gli ultimi, i più spaventati, si sono nascosti nei campi, nelle sacche governative vietcong e nordvietnamite. Con incrollabile fede, tra- ! ™ie dJ^RltS1 Sr?t I tore cattolico Nguyen Van Huyen, «Big» Minh ha rivolto un appello radio «all'altra parte per un armistizio immediato». «Mi auguro che le nostre decisioni di oggi producano un effetto benefico — ha aggiunto —. Dovremmo ricevere presto una risposta». A sua volta, Huyen ha dichiarato di aver avuto oggi due colloqui con la delegazioni nordvietnamita e vietcong da due anni a Ton Son Nhut, in base agli accordi del 1973. «Ci hanno fatto capire che non pos seggono autorità sufficiente per esaminare le nostre offer, che dobbiamo aspettare». Il colpo di grazia a questo Ennio Caretto te (Continua a pagina 2 in sesta colonna)

Persone citate: Ennio Caretto, Graham Martin, Long Thana, Merillon, Nguyen Van Huyen, Thieu