Requiem per il Vietnam di Vittorio Zucconi
Requiem per il Vietnam Requiem per il Vietnam Saigon sia per cadere, o è già caduta. Requiem per il Vietnam . Gli ultimi americani se ne sono andali, poi è rimasta una sola incertezza, tra la conquista e la resa. Si conclude, in un clima quasi biblico, fra lo sconcerto, In l'uria e il panico di moltitudini, un dramma trentennale, che ha visto il nazionalismo e il comunismo vietnamiti, in una fusione risultata invincibile, battersi prima contro i francesi e poi contro gli americani. Quella del Victminh contro la Francia fu però una vera guerra anticoloniale; il secondo con11 illo. col massiccio c vano intervento dogli Stati Uniti, ha avuto invece tragici aspetti di guerra civile. Hanno vinto i più forti, cioè i nordvietnamiti e i vietcong: decisive sono state la debolezza interna del regime di Saigon e la fredda, implacabile determinazione dei comunisti di Hanoi, i prussiani rossi d'Indocina. L'esito era scontato da tempo, almeno dal 1968, cioè dalla leggendaria offensiva del «Tet», che fu una sconvolgente risposta (con i vietcong fin sulle finestre dell'ambasciata Usa a Saigon) ad anni di duro impegno militare americano in difesa del Sudvietnam. Fu una risposta, soprattutto, all'impietosa strategia dei bombardamenti aerei sul Nordvietnam, che i generali del Pentagono, c McNamara e Johnson, avevano immaginato risolutiva. Di fronte alla straordinaria capacità di resistere dei comunisti di Hanoi, si vide l'impotenza della superpotenza, che doveva abbandonare i tentativi di vittoria oppure portarli avanti al prezzo intollerabile di un genocidio. Da allora la strategia americana fu quella del disimpegno «con onore» e se ne fece artefice Kissinger nei memorabili e interminabili negoziati segreti con Le Due Tho. La potenza acrea fu ancora impiegata, e ancor più impietosamente, a sostegno di un'« uscita di sicurezza », che alla fine parve raggiunta. Le illusioni di vittoria erano cadute, e così quella di una lunga sopravvivenza del regime di Thieu; ma resisteva la speranza di una fase transitoria non tanto breve da costituire un all'ionio alla « credibilità » americana. Invece era anche quella una illusione, come ora si vede. Lo era già o Io è diventata col tempo? Questa è l'ultima domanda, anch'essa ormai retrospettiva, sullo svolgersi di una tragedia che è giunta al suo epilogo: ogni altra domanda, ogni altra Incertezza riguarda il futuro. Le risposte possibili sono molteplici, ma quelle che contano politicamente sono due. La prima riguarda Hanoi, che aveva i suoi piani per portare vittoriosamente a termine la guerra, oltre gli ipocriti accordi di Parigi, ma che li ha anticipati sfruttando la debolezza del potere presidenziale americano dopo Watergate e l'evidente orientamento del Congresso a un definitivo disimpegno dalla guerra vietnamita. E' un prezzo che l'America ha pagato all'inevitabile destituzione di un presidente che era ormai respinto dalla coscienza del Paese. L'altra risposta riguarda Van Thieu. A rendere decisiva la nuova offensiva comunista ha contribuito la sua trovata strategica di abbandonare le province settentrionali, per fare quadrato attorno a Saigon. La decisione avrebbe potuto avere un senso se l'esercito sudvietnamita avesse conservato un minimo di efficienza e di controllo di se stesso, o se lo stesso Thieu avesse avuto un minimo di autorità sui reparti. Invece ne è scaturito un gigantesco «otto settembre» a livello asiatico: alle forze comuniste non è rimasto che avanzare nel vuoto, quasi per forza d'inerzia. Così l'inflessibile volontà di vittoria di Hanoi si è incontrata con lo sfacelo strategico di Saigon, e il risultato è la fine, ormai, della lunga, atroce guerra. E il dopoguerra? La fine delle ostilità, la conclusione di un trentennale sterminio, le cui responsabilità sono diffuse e complesse, oltre i possibili giudizi Washington. Ford e Kissinger ieri a colloquio nella Casa Bianca (Telefoto Associated Press - A pagina 18 « Ford ordina il ritiro dal Vietnam », di Vittorio Zucconi)
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