Tra i Pontefici e la politica

Tra i Pontefici e la politica Tra i Pontefici e la politica Mario Vittorio Rossi, un "esiliato" dell'Azione Cattolica, pubblica le sue memorie Roma, aprile. Pio XII « lontano e sacralizzato », il suo prosostituto Giovanni Battista Montini « inquieto e problematico », De Gasperi sospetto al VatiGedda « duro e amaro », La Pira sognatore sono anche vittime di conflitti interiori non risolti? E' la domanda che trova parziali risposte in un libro fresco di stampa / giorni dell'onnipotenza (ed. Coines), nel quale dopo vent'anni il dott. Mario Vittorio Rossi, medico e psicanalista ormai celebre, rievoca e interpreta in chiave storica e freudiana gli eventi dei quali, negli Anni Cinquanta, fu protagonista con i personaggi citati, nella sua veste di presidente della Gioventù italiana di azione cattolica. Per inquadrare le vicende occorre ricordare che la crisi della Gioventù cattolica s'era aperta nel '52 con le dimissioni di Carlo Carretto, ed era culminata il 23 aprile del '54 nelle dimissioni, ancor più clamorose, del dottor Rossi e di quasi tutti i dirigenti. Rivista dopo vent'anni, quella crisi non fu solo un preannuncio incompreso della contestazione giovanile degli Anni Sessanta contro ogni struttura tradizionale e borghese, ma ne indicò anche la matrice: il rifiuto, appunto, dell'« onnipotenza » che trovava nell'assolutismo pacelìiano il suo emblema più completo. L'esperienza che Rossi racconta, con limpida scrittura, non è, di conseguenza, una memoria personale, ma la storia d'una generazione che, dopo il fascismo, la Resistenza e la guerra, prende coscienza dei problemi e dei miti, li analizza con coraggio adulto e nella sua ricerca d'autenticità scopre le contraddizioni fra spinte idealireligiose e logica del potere. Formatosi nel Polesine e nell'Università di Padova, Mario Rossi fu nominato da Pio XII presidente dei giovani cattolici nell'ottobre del '52 come successore di Carretto, dimissionario per aperte divergenza con Gedda, presidente generale dell'Azione Cattolica. La prima udienza da Pio XII ebbe luogo il lu novembre, alle 9 del mattino: « E' bene che un giovane, che capisce i giovani, sia con i giovani », gli disse il Papa come premessa. « E mi fece capire quanto gli era rincresciuto il dissidio fra Gedda e Carretto, "ambedue con tante doti e con i loro difetti". In quel primo colloquio Pio XII gli apparve "lontano e sacralizzato, ma come invaghito della scienza che temeva" ». Pochi mesi dopo, s'erano già delineati dissidi fra Gedda e Rossi, Pacelli ne era preoccupato. « Ce ne sono già abbastanza, basti pensare a quelli politici... La de è il partito che dà ancora qualche garanzia religiosa. Lei che ne pensa dei monarchici che mi vengono presentati come una strana alternativa? ». Erano i tempi in cui Pio XII temeva « i cosacchi in piazza S. Pietro » e Rossi lo tranquillizzò sostenendo: « Approfittano di vostra santità perché è aristocratico. Ma i monarchici non rappresentano più yiessuno. se non qualche famiglia romana o qualche operazione "straniera" contro il popolo italiano ». Il vecchio pontefice era perplesso davanti a « quella strana e utile idea di Gedda che possono essere i comitati civici ». « Risposi che non dovevano trasformarsi in gruppi d'appoggio della destra contro il popolo ». Poi, la rottura. La Giac fu accusata di guardare ai socialisti, divergendo dalle « idee geddiane, legate ad un piano politico della destra italiana e americana ». Mons. Montini, informato dell'udienza, disse a Rossi « con volto drammatico che si sarebbe ritirato in preghiera ». Ma Rossi dovette dimettersi. Pio XII, nel suo giudizio, era ormai troppo solo, troppo staccato dal mondo e chiuso nella « gerarchia assoluta » per capire la nuova realtà, « di cui sapeva la drammaticità, ma di cui distanziava con angoscia lo spessore delle richieste perché queste comportavano un chiaro discorso sull'analisi delle forze repressive ». Gli incontri di Rossi con Montini furono numerosi e cordiali: « Le sue inquietudini e le problematiche irrisolte erano certamente un elemento umano, un segno di conflitto che valse a salvare mol¬ te cause attraverso il dubbio, a consentire la preparazione delle difese ». Gedda dominava, allora, la politica italiana e « il suo trionfo personale diventava sempre quello della stia Chiesa ». Gedda tallonava De Gasperi, che in Vaticano era considerato « un uomo debole perché democratico ». Ma Montini lo difendeva, come difendeva le aspirazioni dei giovani, sicché, a volte, appariva a Rossi « animatore di speranza », più spesso dominato dal gioco di potere in cui era invischiato, al vertice. « Lo rividi a Milano, già eminentissimo... Era paludato in abiti rossi e sembrava molto triste, ma insieme deciso fino alla durezza. La conflittualità continuava... ». De Gasperi domandava a Rossi nel '53: « Ma quell'uomo (Gedda) è in buona fede? Gedda ha capito che alcuni italiani amano lo spettacolo e continua a dare esibizioni, a inventare trionfi e accuse che non si sa se siano in funzione di se stesso o su richiesta "esterna", per assecondare l'integralismo povero di idee ma ricco di soldi ». Il giudizio di Rossi su De Gasperi: « Io ne ho potuto apprezzare la volontà antifascista e una correttezza laica che nel mondo cattolico mi sono apparse ottime qualità, in un tempo in cui la destra americana e italiana volevano peggiorare ogni situazione ». Lamberto Fumo