Insegue cose belle lavorando con furia di Edgarda Ferri

Insegue cose belle lavorando con furia Visita al pittore Ernesto Treccani Insegue cose belle lavorando con furia (Nostro servizio particolare) Milano, aprile. E' limpido e rispetta la donna. Nei quadri, negli acquerelli di Ernesto Treccani la donna ha sempre grandi occhi puliti, e una gran dignità. Molto spesso, e sempre più spesso, è assai bella. Anche in « Melissa », donato al Municipio di Crotone dopo che il pittore era stato a lungo in Calabria per vivere vicino alle radici dell'ingiustizia e dello sfruttamento, le tre figure di donna in nero, immobili e senza volto, sono di misteriosa bellezza e dignità sublime. « La bellezza esiste, dice Treccani giocando col bastone che lo sorregge da qualche anno, dopo un incidente di automobile. La bellezza esiste ed io la ritrovo in certi elementi della vita come il paesaggio, i fiori, la donna ». Ora le sue donne si confondono con le erbe e coi fiori. Certe sue tele sono corpi vegetali sempre più lunghi e mobili che finiscono con il volto o soltanto con occhi di donna. A dispetto del mondo che lo circonda, il grigio di Milano e la drammatica atmosfera della Calabria soprattutto, Treccani dipinge sempre più in verde, sommergendo l'uomo nei prati e nei fiori. « Io credo nei sentimenti, conferma: e il sentimento è tutto, per quella che chiamano poesia ». Un artigiano Sta infatti ben attento a non parlare di arte, e non ama definirsi un artista: « Spetta agli altri, se mai, chiamarmi così ». Usa invece volentieri il termine « poesia », e « composizioni poetiche » definisce certi suoi appunti che prende in macchina, per la strada, magari anche a casa mentre sta facendo altre cose. Ha una faccia curiosa con occhi sorridenti e acuti, pelle chiara delicatissima, denti da roditore. La sua figura è gentile, parla con garbo sbrigativo, ha sempre in capo un berrettino di velluto con la visiera. Invecchiando (ha 55 anni), migliora. Col tempo diventerà ancora più trasparente, gli occhi si faranno più chiari. Quando lavora, ed è questo il termine che usa poiché si dichiara un artigiano, indossa una tuta blu da operaio con la cerniera che gli traversa il petto. « E' comoda, è bella, e me l'ha regalata un operaio »■, informa. Ormai la tuta è una tavolozza variopinta, soprattutto nei colori del giallo e del verde. « Mi pasticcio addosso, dice ridendo. La tuta mi serve da filtro, è li sopra che lascio quasi tutto il colore ». Infatti il quadro risulta fine, pochissimo dipinto. L'eccedenza è rimasta sulla tela blu a farne un altro, a sua volta bellissimo, che però non assomiglia a quelli di Treccani. Treccani è comunista ed è figlio dell'industriale bresciano che ha fatto l'enciclopedia. La sua scelta politica è ferma ed antica: « Ho avuto la fortuna, dice, di vivere la mia prima giovinezza fra gli scontri violenti fra fascismo e antifascismo negli ultimi anni del regime ». A ventun | anni era laureato in ingegneria e da due anni aveva già esposto a Milano i suoi primi quadri. Aveva per compagni Renato Guttuso, Aligi Sassu, Migneco e Birolli. Il suo maestro era Funi, « uno che faceva una certa pittura e capiva quella degli altri. E questo va detto perché il fatto è assai importante essendo stato Funi un fascista, ed essendo Funi un esponente del novecentismo che ha messo al mondo, insieme con me, tutti i più noti antinovecentisti italiani ». Il padre non era d'accordo che facesse il pittore. « e io lo contestavo, racconta Treccani con un mite sorriso. Tuttavia ho preso la laurea alla quale mio padre teneva, perché la contestazione io la facevo nella sostanza, e non nei gesti ». In ogni caso, non fu mai di quelli che fecero la fame perché il padre, pur disapprovando, lo mantenne fintanto che lui non fu capace di mantenersi da solo. Poi ci fu la scoperta della Calabria, il Sud tragico e bello, l'ingiustizia, la disoccupazione, l'emigrazione, l'occupazione delle terre da parte dei contadini, i contadini morti negli scontri coi carabinieri, le donne rimaste immobili e sole nelle piazze deserte a piangere per sempre le loro povere storie. « Quel mio soggiorno laggiù, molto lungo, del resto anche ora raramente interrotto, ha influito sulla mia cultura, sul mio modo di essere. Di conseguenza, anche sulla mia pittura ». Ed è straordinario seguire quest'uomo mite, con gli occhi che diventano sempre più trasparenti, i cui temi sono delicati paesaggi di fiori e di donne, la cui costante ricerca è quella della I bellezza pura, che tuttavia ha un impegno civile tanto robusto, un bisogno di denuneia continua contro l'ingiusti- ; zia, il disamore, la sopraffa-1 zione. Treccani dice di sé: « Vorrei che un giorno si potesse dire del mio lavoro: era in un tempo che andava verso la felicità malgrado le nubi e i flagelli. Di questi aveva coscienza, eppure ha dipinto un giardino splendente. Soltanto chi ha il cuore aperto alle sofferenze del mondo, chi conosce il significato di sfruttamento e servitù, chi risponde con la lotta, può aspirare ad esprimere la bellezza. Gli altri non possono che riflettere il disfacimento e l'orrore, oppure nulla ». Mentre parla muove appena le mani sopra il bastone, sprigionando dalla faccia chiara ondate di luce. Potrebbe essere un antico e saggio eremita, oppure un santo da pala trecentesca, fortissimo e fragile, chino con amore a interrogare gli oggetti, i fiori ed i volti che vuole ritrarre. In umiltà La sua mano è felice. « L'ispirazione va aiutata col lavoro », dice con l'aria di chi la sa lunga in materia. Per questo lavora in maniera continua, tutti i giorni dal mattino alle tre, totalmente isolato nello studio dove non entra nessuno, la gamba inferma appoggiata ad uno sgabello, il berrettino in capo, appena un poco di musica che lo accompagna. « Se non dipingo sto male, se non muoio presto è un disastro perché ci saranno di me troppi disegni, troppi quadri, troppi acquerelli. Così, quando ho finito, prendo tutto quello che ho fatto in una giornata, metto i fogli per terra e chiamo qualcuno perché ne scelga uno, al massimo due. Tutto il resto lo getto. Anzi, lo faccio gettare da chi ha salvato quel paio di lavori soltanto. Io non discuto, ho l'umiltà di accettare la decisione degli altri. Nella vita un pittore fa pochi quadri buoni, perché le cose da dire non sono molte. Io lo so cos'ho fatto di buono. Il resto è artigianato, è lavoro. Un lavoro che tuttavia bisogna fare, affinare continuamente: perché intanto si imparano i limiti delle proprie forze, e gli artifici. Con gli artifici viene lo stile. In quella che chiamano arte, invece, entra una larghissima parte del subcosciente. Ci si accorge più avanti, se il quadro è un buon quadro. A distanza di anni, io credo che le mie cose migliori siano ancora le prime, una " Fucilazione " del 1943, un lavamano, un autoritratto. Fra le ultime cose c'è qualche siepe fiorita che io sento rimarrà, resterà ». Edgarda Ferri

Persone citate: Aligi Sassu, Birolli, Ernesto Treccani, Funi, Migneco, Renato Guttuso

Luoghi citati: Calabria, Crotone, Milano