Tesori nascosti in cantina di Bona Alterocca

Tesori nascosti in cantina Torino ha la fortuna d'avere Palazzo Madama, e lo trascura Tesori nascosti in cantina Siamo andati a vedere i « tesori nascosti » di Palazzo Madama a Torino. Dopo la risposta particolareggiata dell'assessore Giovanna Biffi Gentili all'interrogazione di comunisti e socialisti in Con- siglio comunale, abbiamo vo-luto compiere una visita tan- te volte rinviata. Ad accoglierci c'erano l'assessore, la conservatrice numismatica Anna Serena Fava e il dr. Cacciatore, distaccato dagli uffici amministrativi per compilare il nuovo inventario. Ci hanno aperto tutte le porte, non ci hanno nascosto nulla. Al piano dei fossati, nella « saletta del mosaico » ripulita e attrezzata artigianalmente, c'è l'equipe che compila le schede, dopo avere riprodotti uno per uno gli oggetti grazie a un collega del Municipio che ha l'hobby della fotografia. Tutto in famiglia, con molta buona volontà. L'inventario L'inventario è il punto più controverso. E' fermo al febbraio 1932, dice l'assessore. Replicano i funzionari: ma poi ci furono gli inventari parziali, i cataloghi del dr. Malie per settori, ampi e particolareggiati. Di fatto, Malie ricevette nel 1966 la direzione dei Musei civici dal prof. Viale e la lasciò il 1° agosto 1973 dopo 26 anni di servizio alle dipendenze del Comune. Al momento di andarsene aveva cercato di sopperire alle lacune compilando 12 inventari e 9 cataloghi, allestito 22 mostre di arte antica e moderna. Consegnò al vice direttore dr. Passoni e alle conservatrici « le vecchie collezioni inventariate in ampia parte ex-novo con criteri scientifici e per sezione, in parte ancora segnate nel vecchio inventario generale semplicemente additivo, e con le nuove aggiunte d'opere, debitamente registrate nell'apposito elenco "acquisti e doni" (che dovrà continuare il vecchio inventario finché non siano completati tutti i miei cataloghi: lavoro, almeno, per due decenni) ». C'era stata la guerra, durante la quale si era pensato soprattutto a mettere in salvo il patrimonio artistico, e dopo, si era avuta la crescente carenza di personale e di fondi. Per la verità la legge 1080 del 1960 obbliga i Comuni a compilare un proprio regolamento interno, stabilire un organico, classificare i Musei ecc. Il Consiglio comunale di Torino il regolamento l'ha approvato nel 1968, ma il documento è tuttora fermo presso la burocrazia romana e non se ne sa più nulla. Quanti dipendenti conta oggi il Museo d'arte antica? Sono presenti 21 custodi (una sessantina fra tutt'e cinque i musei civici torinesi), divisi in due turni; Anna Fava dispone di due impiegate, poi c'è un impiegato per la parte ammi- I nistrativa, e infine il dr. Cac ciatore con altri tre impie- gati (che lavorano, come lui, a mezzo tempo). Nient'altro. Come procedono le operazioni nella « saletta del mo- 1 saico »? Cacciatore ha avuto ] l'incarico in dicembre, clal- l'assessore insediata in ottobre dopo la morte del predecessore Ciarli, e ha incominciato a metà gennaio. Quando ha visto il materiale ammassato nei sotterranei, gli è preso un attimo di smarrimento. Poi ha pensato fosse meglio non perdere tempo e incominciare da zero, sezione per sezione (ce- ramiche, armi, miniature, ar- genti, orologi ecc.). Dove c'è il vecchio numero di inven- tario controlla l'esattezza dei dati, dove manca istituisce la nuova scheda. Con questo sistema, la piccola équipe inventaria mille pezzi al mese. Quanti ce ne saranno? Non si sa. Ogni giorno saltano fuori sorprese. Si suppone che i « pezzi » saranno almeno 30 mila. Troppi, dice la signora Biffi Gentili, per allestire la mo I stra delle « scoperte » che aveva in programma prima della fine di questa amministrazione e che le stava tanto a cuore. Ci vorranno ancora mesi, e il Consiglio comunale si scioglie a fine aprile. Figurarsi se si dovesse fare tutto quel lavoro per cui Malie preventivava vent'anni. Dalla Galleria d'arte moderna — dove era custodito in una cassa insieme alla raccolta precolombiana — è arrivato anche l'intero corredo funerario di una tomba cinese, composto di 18 statuine in terracotta del 620 dopo Cristo. Fu acquistato per 3 milioni di lire, pure nel 1953; i tecnici lo guardano con sospetto: potrebbe essere falso. Nel deposito delle ceramiche vediamo un vaso della fabbrica Mollica di Napoli, datato 1882, dono di Umberto I: sarebbe alto un metro e 39 centimetri, ma adesso è rotto in tre pezzi rinvenuti sopra un armadio, dicono sia pregevole e comunque restaurabile. C'è anche il tempietto in maiolica policroma con ai quattro lati le figure degli Evangelisti, Urbino 1579, comprato nel 1885 per 1185 lire e deteriorato dal tempo. Ripulendo l'interno d'un altro armadio, si è trovata una placchetta di smalto con la cifra XII in blu: da dove arrivava? Dopo una certa perplessità, qualcuno si è ricordato che un pendolo da tavolo del Settecento, che è nella direzione del Museo, mancava appunto quel numero. Eseguito un controllo, si vide che era proprio quello. Il pendolo proveniva dalla collezione sotterranea degli orologi, aveva perso un pezzetto ma adesso per fortuna l'ha riavuto. Su questi orologi corrono voci varie e strane, peraltro incontrollate. Si parla di una cassa piena di paglia, al fondo della qua- j umidità. Mobili e oggetti so | no stati ripuliti e riordinati, I uno accanto all'altro. Statue ! di legno e di marmo ( due le sono stati rinvenuti pochi ma splendidi esemplari, ora allineati in una vetrina. Gli altri orologi (la capienza della cassa ne presuppone un numero assai maggiore) dove sono andati a finire? Forse in qualche ufficio di rappresentanza? Nessuno ha saputo dircelo. Nella polvere Chiediamo di vedere i veri sotterranei, subito ci accompagnano e scendiamo una dopo l'altra scalette anguste ma solide. Aria fresca di cantina, polvere, però niente del Settecento, piuttosto belle), quadri, bauli e cassapanche; legni valdostani del lascito Procherel, mobili degli ultimi due secoli dei lasciti Govone, Scabia e Pozzi. Nessun capolavoro, qualche esemplare notevole e sostanzialmente conservato anche se talvolta bisognoso di restauro. Triste pensare a quando tutte queste cose stavano in case abitate, alla luce e all'aria, accarezzate con compiacenza da mani vive. I proprietari ritennero di assicurar loro un poco di stabile gloria, destinandole a un museo cittadino. Ma i musei sono grandi case di tutti, al pari di quelle private devono ogni tanto rinnovare l'ar- redamento: quando le stanze non bastano più, quel che è di troppo si manda in cantina. Adesso in questa cantina è arrivata un assessore donna, che si è rimboccata simbolicamente le maniche per fare ordine e pulizia. Molto bene, anche perché con il nuovo inventario i « pezzi » risulteranno automaticamente controllati e in certo senso difesi da eventuali manomissioni. Tutti i locali sono ben chiusi a chiave. In uno vediamo le casse con i conii e le formule per le leghe metalliche delle monete sabaude, da Beroldo a Umberto I (alcuni ricostruiti in base a dipinti dell'epoca). Secoli di storia. Al piano di sopra, nell'ufficio della dottoressa Fava, ci sono le tre raccolte numismatiche affidate al Comune di Torino secondo la convenzione stipulata nel 1958 con lo Stato: provengono dalla Biblioteca Reale, dalla Sovrintendenza alle antichità e dalla raccolta in sede dello stesso Museo d'arte antica. Pezzi stupendi, unici al mondo La convenzione si intendeva rinnovata dopo 19 anni, salvo riesame entro il marzo 1975. Prima di quella data la dottoressa Fava avvertiva i sovrintendenti alle Gallerie e all'Antichità che la mancanza di riscaldamento danneggiava le monete, allora il professor Mazzini e la dottoressa Pelagatti hanno denunciato la convenzione con lo Stato. Ora che cosa succederà? Si provvedere a riscaldare convenientemente i locali, oppure Palazzo Madama perderà questo tesoro ben custodito ma tutt'altro che ignorato, di valore storico e venale inestimabile? Bona Alterocca

Luoghi citati: Comune Di Torino, Napoli, Torino