I bambini ubriaconi di Lietta Tornabuoni

I bambini ubriaconi ARIA DI NEW YORK TRA MODE E OSSESSIONI I bambini ubriaconi Cominciano sui dieci anni e appartengono a tutte le classi sociali - Bevono per imitare gli adulti, vittime delle loro stesse frustrazioni - Alla polizia però minimizzano: pensano soprattutto ai ragazzi assassini (Dal nostro inviato speciale) New York, aprile. / più piccoli, tra i bambini ubriaconi, sono anche ì più furbi. Per esempio prendono un'arancia, vi siringano dentro mezzo bicchiere di whisky e per tutta la mattina, a scuola, continuano a succhiarla con aria innocente: l'insegnante se ne accorge soltanto quando cominciano ad avere le guance troppo rosse e gli occhi troppo lustri, quando escono in risposte incoerenti e risatine sceme, oppure quando si abbandonano sul banco e attaccano a russare sonoramente. Altri nascondono negli armadietti guardaroba della scuola la bottiglia riempita d'un cocktail ottenuto sottraendo liquore da ogni bottiglia di casa (soltanto un poco da ciascuna, altrimenti i genitori se ne accorgono): chiedono di uscire, vanno a bere un sorso, rientrano in aula molto euforici. La ricreazione Durante la ricreazione, ì sacchetti di carta marrone della merenda celano bottiglie dei vischiosi pop-wines, vini dolci profumati alla fragola o alla pesca, venduti a basso prezzo specialmente sul mercato dei ragazzini. Al sabato e alla domenica il six-pack, la confezione da sei lattine o bottiglie di birra, è il completamento indispensabile delle partite di baseball, dei giochi, del cinema: per i bambini non è difficile procurarsi da bere, in 37 Stati americani la vendita di alcolici è consentita anche ai minorenni, negli altri casi basta dire che l'acqiiisto viene latto per conto dei genitori ma quasi sempre nessuno fa domande, basta avere i soldi per pagare. Al lunedì le assenze scolastiche da hangover, da dopo-sbronza, sono ormai abituali. «Fronteggiare il numero crescente di bambini e ragazzi ubriachi è diventato nelle scuole il problema numero uno », dice il dottor Frank A. Seixas, medico psichiatra e dirigente del National Council on Alcoholism. « A suonare i campanelli d'allarme, però, bisogna andar cauti. L'abbiamo fatto in passato per la droga, ed è stato un disastro: invece di spaventare, tutte le raccomandazioni e lezioni nelle scuole hanno avuto l'effetto di istruire i ragazzi sull'uso delle droghe, di incuriosirli e stimolarli». Ma adesso la droga non rappresenta più il miraggio, la voga e l'evasione del mondo giovanile, non è più l'ossessione di genitori, educatori e poliziotti. Anni di lotta contro i trafficanti, l'aggravarsi delle pene previste dalla legge, soprattutto l'aumento dei prezzi, diventiti con la crisi economica inaffrontabili, hanno ridotto bruscamente il consumo di barbiturici, anfetamine e Lsd, di marijuana e hashish. «E poi è cambiato il clima, l'atmosfera... Dire che tra i ragazzi la droga "non va più di moda" può suonare stupido, frivolo: eppure è proprio così», assicura il dottor Seixas. Lui ha una sua teoria: per i giovani ribelli degli Anni Sessanta, dice, la droga era anche strumento di opposizione, una scelta che sottolineava la propria diversità dagli adulti, che simboleggiava la negazione e la rivolta contro la società. Adesso di rivolte o rivoluzioni non si parla più, i ragazzi sono rientrati nei ranghi: «E, alla droga, che li rendeva automaticamente fuorilegge e criminali, hanno sostituito l'alcol: che appartiene interamente alla nostra cultura, alla tradizione americana ». Già Pure i bambini ubriachi appartengono alla tradizione? «Il fenomeno nuovo e grave è proprio questo: svelti e precoci in tutto, i bambini lo sono adesso anche nel bere. Cominciano a dieci, undici anni. A volte anche prima, e se a New York o in California i bambini alcolisti si ritrovano soprattutto nelle famiglie ricche, altrove fa San Francisco, Boston, Chicago, Dallas, Knoxville) appartengono a tutte le clar-si sociali». Le statistiche spaventate si accumulano: il 60 per cento dei ragazzi fra i 12 e i 18 anni beve, il 3,4 per cento può esser definito alcolizzato; il 5 per cento degli studenti delle scuole superiori s'ubriaca almeno una volta alla settimana; 6 giovanissimi su 10 ammettono d'essersi : bronzati. « L'alcol è una droga », è lo slogan martellante, ripetuto nei manifesti murali e nelle scuole, con cui si tenta di frenare il fenomeno. Al cinema Linda Blair, la bruttarella de L'esorcista, diventa protagonista d'un film che pretende d'essere educativo: dodicenne dedita alla bottiglia, si torce e dibatte in tremiti, allucinazioni, vomiti e sfrenatezze. « Ragazzi in bottiglia » s'intitolano allarmati reportages televisivi, e sul problema dell'alcol si organizzano nelle scuole dibattiti, conferenze, addirittura psicodrammi. Perché mi piace Oppure rap sessions, come in questa scuola di Brooklyn. Seduti sul pavimento di legno lucido della palestra, sdraiati, abbandonati, accoccolati o ripiegati, venti ragazzini chiacchierano intorno a un « operatore sociale », un nero dall'aria mite e curiosa. Parlano senza paure né pudori, con l'esibizionismo franco e vanesio dei quattordicenni cui sì dà importanza. Perché e cosa bevono, come hanno cominciato a bere, che effetto gli fa l'alcol?, sono le domande. Le risposte si somigliano tutte. Per divertimento, perché mi piace, perché mi fa sentire allegro. Le analisi sociologiche del fenomeno non risultano molto più profonde, girano intorno a frasi fatte quali « problemi di personalità », « impatto dell'adolescenza », « difficoltà di socializzazione ». Secondo gli esperti, bambini e ragazzi bevono per insicurezza, per carenze affettive, per sentirsi allegri oppure forti, per non aver paura. Bevono per imitazione degli adulti: « Sono frustrati quanto gli adulti », dice John Kelly, coordinatore del « Programma diocesano per la prevenzione dell'alcolismo » nella zona di Brooklyn. « Il loro mondo riproduce tutte le frustrazioni del mondo adulto, bevono esattamente per le stesse ragioni dei genitori: perché sono insoddisfatti, perché non hanno successo, perché sono oppressi dalla noia e dalla superficialità, per avere la sensazione di far qualcosa... ». Bevono per indulgenza degli adulti: « A tanti genitori, che il figlio torni a casa sbronzo da una festa tra coetanei pare una cosa carina e divertente », dice il dottor Morris Chafetz, direttore del National Institute on Alcohol Abuse. « Se la polizia telefona chiedendo loro di andarsi a prendere il ragazzino ubriaco, quasi respirano di sollievo: meno male, non si tratta di droga... ». Nel proporre rimedi, gli assessori urbani alla Sanità e alle scuole, i dirigenti di organizzazioni contro l'alcolismo o gli educatori sembrano ancora più generici e velleitari: i genitori dovrebbero slare attenti a non offrire cattivi esempi, sarà bene sviluppare attività sociali che possano costituire un'alternativa, forse i programmi scolastici dovrebbero essere più impegnativi, sarà magari il caso di tenere lezioni sui pericoli dell'alcolismo nelle classi elementari, chiediamo che la pubblicità smetta di presentare l'alcol come uno status symbol o un emblema di virilità, se non si può pretendere di soffocare un'industria da 24 miliardi di dollari l'anno come è quella dell'alcol I dovrebbe almeno essere cam- biata la temperie culturale... Ma proposte e programmi suonano fiacchi, burocratici e scoraggiati: come se la tradizionale certezza americana di poter risolvere pragmaticamente i problemi fosse appannata; come se gli adulti, assediati da tanti guai propri, fossero ormai atufl dei sempiterni « problemi dei giovani »; come se nella nuova generazione avessero perduto ogni fiducia. Con la fine della contestazione giovanile si aspettavano un po' di tranquillità, avevano sperato che i ragazzi non costituissero più una questione nazionale e \ una quotidiana angoscia familiare. Non è andata così. Le nuove leve giovanili hanno smesso di reclamare la rivoluzione, una vita diversa o l'estasi drogata, ma non si sono riconciliate: la disobbedienza continua e assume toni ottusi, anche più feroci. Alla polizia, bambini ubriaconi e alcolismo adolescente sembrano trascurabili ubbie da moralisti o da intellettuali. Nella Youth Aid Division, la sezione della polizia di New York specialmente addetta alla delinquenza giovanile, il capitano Francis J. Daly quasi ride: « Cosa vuole che sia, se un cambino prende una sbronza, se una baby-sitter di tredici anni s'ubriaca con i liquori che trova nella casa anziché badare ai neonato? Non muore nessuno. Per noi i fatti gravi sono altri. Per esempio, i piccoli assassini: dato che un minore di quindici anni non può venire condannato a una pena superiore ai tre anni, le gang mafiose e criminali hanno cominciato ad usare come killers i bambini, che con la pistola se la cavano benissimo. Oppure, i piccoli spacciatori di droga: le consegne del mercato della droga sono ormai affidate soprattutto ai bambini, cosi gli adulti evitano rischi ». Saranno casi limite, no? «Limite?», si scalda il capitano Daly, e si immerge in una vertigine di numeri: «Ecco qua. Rapporto dell'Fbi. Cifre sicure, controllate. Minori di 15 anni arrestati nell'ultimo anno: 614 mila 716. 72.000 avevano meno di dieci anni. In un anno, 216 minori di quattordici anni colpevoli di assassinio. In un anno, 1851 ragazzini di undici anni arrestati per aggressione. 88.220 tredicenni arrestati per furto. 11.808 bambini sotto i dieci anni arrestati per vandalismo». Cosa vuol sostenere, che i bambini americani sono, oltre che ubriaconi, delinquenti? «La mia deformazione professionale non arriva a questo punto. Ma la delinquenza precoce, per esempio, sta distruggendo la scuola. S'informi». Vandali e libri C'è un rapporto del Senato: informa che «nelle scuole la violenza e il vandalismo hanno raggiunto il punto di crisi», che rimediarvi costa 500 milioni di dollari l'anno, una sovrattassa del vandalismo che equivale alla somma totale spesa nel 1972 per i libri scolastici. Ci sono i rapporti ufficiali. Nel North Carolina, una legge appena approvata commina sei mesi dì prigione e 500 dollari di multa «a chi provoca violenze nella scuola con gesti e con parole, a chi ignora l'ordine di abbandonare l'aula o l'edificio scolastico». A San Francisco, nuove disposizioni decretano l'immediata sospensione «per chi si rechi a scuola armato». Il bilancio di New York prevede quest'anno 10 milioni di dollari per «agenti speciali nelle scuole, circuiti televisivi di sorveglianza, microfoni e occhi elettronici da installare nelle aule, walkie-talkie in dotazione agli insegnanti per l'immediato contatto con gli uffici di presidenza in caso di difficoltà». Duecento milioni di dollari «per la sicurezza scolastica» è la cifra prevista da un progetto di legge in discussione al Congresso, e non sembra troppo alta, la National Association of School Security Directors sostiene che nel 1974 si sono verificati nelle scuole 8568 stupri o assalti sessuali, 11.160 rapine a mano armata, 256.000 furti con scasso e 189.332 aggressioni gravi. Il mondo ha rifiutato di lasciarsi salvare dai ragazzini, e i ragazzini si vendicano. La nuova generazione non coltiva più utopie, fa crescere il seme della violenza. Gli adolescenti del doI po-Vietnam non paiono più ] sereni di quelli anti-Viet! nam, i bambini nati negli Anni Sessanta sembrano più torvi dei fratelli maggiori. Naturalmente, sociologia e criminologia esagerano sempre, tendono sempre ad enfatizzare i problemi del momento, a mitizzare le lacerazioni del presente. Per i ragazzi degli Anni Settanta hanno coniato una definizione: «Social H Bomb», bomba all'idrogeno sociale. Lietta Tornabuoni

Persone citate: Daly, Durante, Francis J. Daly, Frank A. Seixas, John Kelly, Knoxville, Linda Blair, Morris Chafetz, Seixas, Youth