La "buona terra,, redime i peccatori di Alberto Cavallari

La "buona terra,, redime i peccatori LUNGO VIAGGIO IN CINA La "buona terra,, redime i peccatori (Dal nostro invialo speciale) Pechino, aprile. Vinti e vincitori formano un capitolo delicato della « seconda rivoluzione » cinese. Ma una novità del 75 è che si parla ormai molto apertamente dei « colpevoli » e dei « riabilitati » all'interno del partito comunista. Si ammette che nel periodo critico '65-'71 la massa degli « erranti » è stata grande, e che « ancora ci sono comunisti che sbagliano, da rieducare ». Funzionano sempre le famose « scuole 7 maggio » (che parevano abolite), cioè le nuove scuole di partito che « educano col lavoro » i nuovi dirigenti, e rieducano i colpevoli di errori politici. Naturalmente non è facile calcolare quanti comunisti vi siano passati, o vi passino. Ma è facile capire che il partito comunista cinese è caratterizzato da un ritorno quasi di massa di « erranti » nei suoi quadri, e che la dialettica errore-rieducazione fa da perno alla sua nuova esistenza politica. Ogni volta che ho discusso l'argomento scabroso mi è stata data un'immagine quasi ecclesiale del problema. Le deviazioni politiche sono chiamate cattolicamente tziti, vale a dire peccati. Il partito è descritto come un potere pedagogico, che non condanna ma redime, e che procede secondo la formula giovannea, distinguendo tra l'« errore » e l'« errante ». Perciò sono feroci le condanne dell'errore, rare sarebbero le condanne irrevocabili dell'errante, e proprio questo meccanismo spiegherebbe l'abbondanza di riabilitazioni, l'assenza di grandi purghe staliniane, il ritorno al partito di ex colpevoli che a noi pare coincidere con una « restaurazione » operata da gruppi di potere. La tesi cinese è che il partito sia invece in piena catarsi, non in pieno termidoro. Vinti e vincitori vivrebbero in simbiosi. Questo modo di presentare la storia politica, con toni dolciastri, da edificante racconto cattolico, così grondante d'indulgenze plenarie, cosi gremito di « sinceri ravvedimenti », può certo infastidire. Ci si può chiedere poi se non sia troppo redenzionista, e quindi ancora cattolico, il concetto pessimistico di un partito che si descrive stabilmente formato da « due linee », quella giusta e quella sbagliata, in perpetua lotta tra di loro, nel quale anche i « compagni buoni » possono sostenere la sbagliata « perché non sanno », e che perciò «vanno perdonati». Ma la loro tesi è questa. L'asiatica dialettica di yin e yang, col bene che contiene sempre un po' di male, e viceversa, regola anche il partito. Essa diventa fonte di relativismo etico, di condanne passeggere, di ravvedimenti, perdoni, riabilitazioni. La convinzione pessimistica che il male sarà sempre contenuto nel bene produce l'ottica ottimistica della rieducazione continua. * ★ Lo sfondo storico su cui collocano il problema dei vinti e dei vincitori non è più — comunque — quello vago e misterioso di qualche anno fa. Ormai tutti convengono apertamente che tra il '65 e il '71 la Cina ha vissuto una « seconda rivoluzione », che si sono avute due fasi, la « guerra civile » e il « complotto », che le lacerazioni sono state profonde, le ferite brucianti. Da quando Mao stesso ha pronunciato l'espressione « guerra civile », convengono francamente che la lotta è stata drammatica, niente affatto simbolica. Al Politecnico di Pechino, per esempio, i membri del comitato rivoluzionario mi hanno fatto con molta naturalezza la descrizione della « loro :> guerra civile. «Nel 1966, hanno detto, cominciammo a criticare il comitato di partito perché revisionista. Nell'ottobre '66 il comitato di partito venne sciolto. Fino all'estate del '68, ci scontrammo però tra di noi perché c'erano dite organizzazioni di guardie rosse con due linee politiche diverse. Gli scontri sono stali violenti, vennero usate le armi, vi furono dei morti. Poi, il 27 luglio '68, gli operai occuparono l'università, entrando per la prima volta nel mondo della sovrastruttura. Insieme con i soldati, gli operai portarono l'ordine, ristabilirono l'unità. Nel gennaio '69 venne /ondato il comitato rivoluzionario. Nel 1970 si riformò il comitato di partito. Ogni suo membro era stalo educato ». Altri racconti che ho raccolto confermano gli scontri armati, i morti, lo scioglimento del partito nel '66, la sua rinascita nel '70, salvo certe storie che situano nel '70 l'arrivo dei soldati nelle fabbri¬ che in lotta (come nei cantieri navali di Shanghai) e che depongono per una ricostruzione del partito più tardiva. Comunque, gli avvenimenti e i tempi della lotta risultano ormai precisi. Nel 1960 inizia la polemica tra Mao e il partito. Nel 1963 Mao denuncia la sua « grave crisi ». Nel 1964 Mao lancia la rivoluzione culturale contro gl'intellettuali. Nel 1965 la estende contro l'apparato del partito. Nel 1966 viene finalmente sciolto il partito e comincia la « guerra civile » tra le due linee. Nel '67 essa dilaga tra le due forze che vogliono gestire la purificazione del partito. Nel '69 rinasce il vertice del partito col IX congresso gestito da Lin Piao. Nel '70 rinascono i suoi comitati periferici. Ma, sempre nel '70, il partito risorto si sente insidiato dal « complotto » di Lin Piao. Così, ricomincia una seconda crisi che sarà diversa. Stavolta, niente dissoluzione generale. Semplicemente, una parte del partito espelle l'altra dopo il « processo al complotto », e la misteriosa morte del « traditore » Lin Piao, situata nell'autunno del '71. * * Non sono nemmeno più tanto controverse le conseguenze delle due fasi. Durante la «guerra civile», che dura quattro anni, Io stesso Ciu En-lai ammette (nell'ultima conversazione con Snow) che « seppure non si possa parlare di uno scioglimento vero e proprio, certo l'appartenenza al partilo venne sospesa ». Sempre Ciu conferma che « l'uno per cento venne espulso », mentre Alain Bouc parla di tre per cento. Ancora Ciu conviene che « vi furono cambiamenti più grandi ai livelli più alti » e che « i dirigenti non eletti al congresso del '69 vennero tutti mandati a rieducarsi in campagna ». Subito dopo, inizia la liquidazione del gruppo antipartito di Lin Piao, ancora da misurare quantitativamente. Comunque sia, si tratta del più grande uragano politico della storia recente. Per quattro anni, oltre venti milioni di sospesi, almeno un milione di espulsi, da far tornare al partito dopo lunghe rieducazioni. Poi, tutti gli uomini di Lin processati o epurati. La cifra che circola a Pechino è che da 23 milioni d'iscritti il partito sia sceso a 17 milioni d'iscritti. Così si calcola che vi siano ancora sei milioni di comunisti in attesa di giudizio. Una precisa casistica pare comunque discenda da questo sfondo storico che si suddivide in due fasi: guerra civile e complotto. C'è molta comprensione per gli errori commessi durante la « guerra civile », dentro l'apocalisse del partito che affonda, molto rigore per chi è sospetto d'aver favorito il « complotto » di Lin Piao. Ancora cattolicamente, si distingue tra « errore voluto » ed « errore inconscio ». Così si giustifica il fatto che i « perdonati » siano massa, e i condannati senza redenzione siano minoranza. Sempre così, si smentisce l'intrigo di una « restaurazione », che riporta al potere uomini del vecchio clan, sostenendo che non c'è un termidoro di pochi, ma un ravvedimento collettivo. La storia stessa del partito agisce da demiurgo. Nel '66 tutto il partito era dominato dall'errore, quindi il militante poteva errare, nel 1971 era invece visibile la linea giusta, e il militante non doveva errare. Naturalmente, il principale interrogativo che questa logica solleva riguarda l'opportunismo. Fino a che punto è sincero il ravvedimento di massa dei vinti? Fino a che punto è vero il consenso raccolto dalla minoranza dei vincitori attraverso la rieducazione? Il problema non è solo di coscienza, o — come molti vogliono — legato alla versione cinese del rapporto dostoevskiano tra delitto e castigo che segnò profondamente la vita sovietica. Nel partito cinese, così diverso dal sovietico, il problema è soprattutto politico. Perciò l'ho posto chiaramente al vicedirettore per l'estero dell'agenzia Nuova Cina che in questo viaggio mi accompagna. L'uomo, che si chiama Wuang, oltretutto si presta all'argomento. Colpevole di errori, è stato a lungo in campagna a rieducarsi. Dal partito e dal giornalismo è passato alla vita contadina, piantando cavoli. Poi, giudicato degno, è tornato al partito e al giornalismo, promosso da redattore capo a vicedirettore. I! signor Wuang ha ascoltato la domanda sull'opportunismo diventando triste. « E' una domanda giusta e profonda, ha detto. Però non tiene conto della nostra storia, e del¬ la storia del nostro partito. Il fallo è che la gran parte di noi ha combattuto per liberare il Paese da tre nemici: l'imperialismo, il colonialismo, il capitalismo. Così, dopo il '49, la maggior parte di noi ha continuato ad applicare le esperienze della rivoluzione democratica, oppure quelle derivate dall'Unione Sovietica, senza affrontare i problemi nuovi che la costruzione del socialismo in Cina comportava. Ci siamo buttati nel lavoro quotidiano, senza capire che cominciava una rivoluzione nuova e diversa, senza saper distinguere tra marxismo e revisionismo, portandoci dietro gli errori della vecchia società che avevamo combattuto. Così la maggior parte di noi cominciò a compiere errori senza sapere che si trattava di errori, e fu così che uomini buoni, che avevano combattuto sempre dalla parte giusta, poterono lentamente passare dalla parte sbagliala, cioè sulla linea di partilo ancora/a alle vecchie esperienze del proto-comunismo cinese, o a quelle sovietiche. La mancanza di un vero lavoro teorico, di uno studio approfondito del marxismo, fece il resto». Il signor Wuang ha poi continuato: « Il passaggio di tanti uomini buoni dalla parte giusta alla parte sbagliata non ha però mutato la loro natura di uomini buoni. Ha solamente crealo una " linea " politica negativa che successivamente la storia del partito ha denunciato e condannato. Così, fu possibile usare la loro natura rimasta buona, avere una riconversione di massa, una vasta denuncia degli errori, una loro mobilitazione intorno alla linea che apparve giusta. Penso quindi che il rischio dell'opportunismo non sia grande, e che realmente vi sìa stalo un cambiamento sincero. Non è la prima volta che molti di noi capiscono di avere sbagliato e cambiano sinceramente; per esempio, nel '27 molti di noi volevano la rivoluzione nelle città. Poi capirono che la rivoluzione doveva partire dalle campagne ». Questa testimonianza, che mi pare veritiera, si arricchisce poi d'informazioni nuove. La prima fase, quella degli errori di massa, è stata drammatica nella « guerra civile », non nelle purghe successive. La seconda fase, legata al «colpo di Stato » di Lin Piao, « è stata invece seguita da arresti e processi ». Se sono state raggiunte « prove gravi e inconfutabili di complotto, ha detto il signor Wuang, il partito ha tratto le conseguenze ». Per la maggioranza, cioè per coloro che « vennero ingannati da Lin », funzionano invece le « scuole 7 maggio », il grande purgatorio dove tutti vanno, vinti e vincitori, a lavorare duramente la terra. Il signor Wuang dice che nella sua « scuola » c'erano ex seguaci di Liu, ex seguaci di Lin, ma anche funzionari non colpevoli, oggi mandati in campagna periodicamente dal partito per rinsaldare i legami tra partite e masse. Così, sullo sfondo della « buona terra », e dell'eterna Cina contadina che ha il ruolo di redimere, si ripresenta la simbiosi vinti-vincitori che a noi pare impossibile. Alberto Cavallari

Persone citate: Alain Bouc, Ciu En-lai, Mao