Cosi Milano scioperò e insorse

Cosi Milano scioperò e insorse TRENTANNI FA: LIBERATA LA "CAPITALE,, DELLA RESISTENZA Cosi Milano scioperò e insorse La mattina del 25 aprile gli operai attaccano i presidi fascisti e tedeschi, combattono duramente alla Pirelli e all'Innocenti - All'arcivescovado, Mussolini cerca inutilmente di trattare la resa, s'avvia a Dongo ■ Il 26 aprile le guardie di finanza occupano la prefettura; il 27 arrivano i partigiani dalle valli Nell'appartamento di via Macedonio Melloni, Visone è steso su una sedia a sdraio. Ogni tanto si alza e guarda cauto dalla finestra quel che accade nella strada. Aspetta. E' la sera del 24 aprile 1945. a Milano. Il coprifuoco comincia alle 20,30; gli esercizi pubblici e i luoghi di divertimento chiudono alle 19,30. I ristoranti sono diventati «mense di guerra», non si trova zucchero se non a borsa nera, il pane è fatto di tutto, men che di farina. Forse anche questa notte ci sarà l'allarme: verrà «Pippo», come lo chiamano, il bombardiere solitario, con quel suo ronzio diventato familiare? In via Solferino, nelle cantine adattate a tipografia per sottrarsi al pericolo dei bombardamenti, si stampa il Corriere deJla Sera. Il titolo d'apertura dice: «La difesa di Berlino comandata dal Fiihrer. Duecento divisioni sovietiche urtano contro l'indomabile volontà di tutto il popolo». In Italia gli angloamericani stanno per raggiungere il Po. C'è anche un messaggio di Hitler a Mussolini. Comincia: «La lotta per l'essere o il non essere ha raggiunto il suo punto culminante. Impiegando grandi masse e materiali il bolscevismo e il giudaismo si sono impegnati a fondo per riunire sul territorio tedesco le loro forze distruttive al fine di precipitare nel caos il nostro continente». Sul retro del foglio un assurdo capocronaca parla delle fontane di Milano e un elzeviro offre l'enigmatico titolo: «Il poeta forastico è antistorico». Gli spettacoli annunciano per mercoledì 25 aprile il Don Giovanni di Mozart al Lirico; Laura Adani al Nuovo con Sorellina di lusso; Renato Ricci all'Odeon con Gli affari sono affari; al Mediolanum Nulo Navarrini con Gli allegri cadetti; i comici Dapporto e De Rege al teatro Ars. L' ora e vicina Prima di salire nell'appartamento di via Macedonio Melloni (sede clandestina del comando della 3' Gap), Visone (nome di battaglia di Giovanni Pesce, comunista) ha saputo da Italo Busetto, comunista, comandante dei Sap, che «l'ora dell'insurrezione è vicina». Adesso, steso sulla sedia a sdraio, nell'inflessibile solitudine che appartiene al suo mestiere di « seminatore di morte », aspetta. Da dicembre le Gap (e spesso lui, lui solo, Giovanni Pesce/ hanno intensificato le loro azioni: bombe nei locali pubblici, atti di sabotaggio, attacchi alle forze nemiche, «esecuzioni» stradali e pubbliche di aguzzini. Le rappresaglie sono state durissime, ma l'obiettivo di mantenere la tensione, di non concedere tregua e di dare così agli operai delle fabbriche, che subiscono deportazioni massicce, un braccio armato è raggiunto. Perché Milano ha bisogno di contare sugli operai, bisogno della loro forza compatta. Milano è sì città d'industrie, ma anche di finanza, dì commerci, di intermediazione. I tedeschi vi hanno accentrato i loro principali uffici, anche affaristici. Se nella fabbrica la solidarietà operaia attua, a duro prezzo, la resistenza, fuori le lusinghe del compromesso, del doppiogioco sono molte. Ma soprattutto gli attendisti temono una cosa: che l'insurrezione popolare possa diventare una rivoluzione sociale. Meglio un trapasso «indolore», meglio aspettare gli alleati. Dirà Riccardo Lombardi, allora esponente del partito d'azione, che dell'insurrezione di Milano è stato fra i protagonisti maggiori: «Non c'è dubbio che, durante gli ultimi mesi e particolarmente nelle ultime settimane, era intervenuta tutta una serie di tentativi i quali, sostanzialmente, in buona o in mala fede, erano rivolti ad impedire che la liberazione di Milano avvenisse attraverso una insurrezione popolare. Non c'è dubbio che questo sia stato uno dei nodi della i Resistenza, uno degli argomenti che avevano animato anche i dissensi, i contrasti all'interno del Cln, le cui differenziazioni passavano tra i diversi partiti costituenti il Cln, e passavano fra gli stessi partiti al Nord e al Sud». Sede del Comitato di liberazione nazionale alta Italia e del comando del Corpo volontari della libertà, Milano è il centro politico della Resistenza, la «capitale»: è qui che il Clnai dovrà assumere tutti ì poteri «in nome del popolo italiano e quale delegato del governo italiano ». Per studiare, preparare, dirigere l'insurrezione in città, il 29 marzo viene nominato un comitato esecutivo insurrezionale: ne fanno parte Sandro Pertini per i socialisti, Emilio Sereni per i comunisti, Leo Valiani per il partito d'azione; cooptato Luigi Longo, il comandante delle Garibaldi, per ì rapporti con il generale Raffaele Cadorna, comandante del Cvl; e, come supplente, Egidio Liberti, maggiore dei bersaglieri, capo di stato maggiore del comando piazza partigiano di Milano. Il piano insurrezionale punta sulle fabbriche, in attesa che le formazioni partigiane dell'Oltrepò, della Valdossola, della Valsesia arrivino in città, a darle forza. Il 19 aprile il prefetto di Milano intima che « si procederà all'immediato arresto di tutti gli operai che si asterranno dal lavoro », lo stesso giorno il Cinai fa affiggere nelle vie il manifesto diretto ai fascisti: « Arren- dersi o perire ». Il 23 sciopero a oltranza dei ferrovieri. Nella notte fra il 23 e il 24 l'insurrezione a Genova. Arrivata a Milano la mattina del 24, la notizia mette in movimento il comitato esecutivo, che dirama l'ordine dello sciopero generale insurrezionale per le 13 dell'indomani, 25 aprile. Il segnale sarà dato dalla completa paralisi del servizio tranviario. Pietro Secchia fa partire le staffette, in bicicletta, per portare l'ordine alle fabbri- che (la bicicletta è il veicolo sul quale si muove la Resistenza in città). A Niguarda, colpita da raffiche di mitra sparate da un camion tedesco, una staffetta muore: è Gina Bianchi, cui il comitato regionale delle Garibaldi aveva dato l'incarico di recare l'ordine alla Pirelli. Per Visone, nell'appartamento di via Macedonio Melloni, l'attesa finisce all'alba del 25 aprile. Al telefono il messaggio è: « La città insorge. Agisci con la tua brigata secondo il piano stabilito ». Quando, alle 8 del 25 aprile, il Clnai si riunisce, come d'abitudine, nel collegio dei Salesiani, gli operai sono tutti negli stabilimenti. A Sesto San Giovanni, che per molto tempo conserverà l'appellativo di « Stalingrado d'Italia », gli operai sono cinquantamila, con quaranta Cln aziendali e comitati di agitazione collegati coi Sap. Falò e bandiere Prima di entrare in fabbrica, hanno fatto gran falò di giornali fascisti. Si innalzano bandiere rosse, si prendono le armi dai nascondigli, si catturano i presidii fascisti e tedeschi, si esce nelle strade, si assaltano caserme. Gli scontri più duri, durante la giornata, alla Pirelli e alla Innocenti, attaccate in forze dai tedeschi per liberare i loro presidii: gli stabilimenti sono perduti, poi rioccupati. Anche se una colonna di operai arriva, nel pomeriggio, fino in piazza Cordusio per reclamare la resa dei fascisti, il centro è ancora nelle mani di tedeschi e di fascisti. I tram sì sono fermati verso le 14, quasi tutti i negozi hanno abbassato le saracinesche. Un gran silenzio, rotto dall'eco lontana di spari. In questo silenzio, un breve corteo di macchine scivola dalla prefettura all'arcivescovado. Una delle macchine ospita Mussolini. Preceduto dall'avviso: « Il pacco è stato spedito », Mussolini era a Milano, chiuso in prefettura, dal 18 aprile. Il 23 aprile aveva proposto di « consegnare il potere » ai socialisti, ma questi non avevano nemmeno risposto. Adesso tentava con il Clnai, avendo stabilito un contatto con l'avvocato Achille Marazza, rappresentante democristiano. Proprio nella riunione della mattina, il Clnai aveva preparato tre decreti molto importanti per la sua attivivita futura. Uno di essi, quello che istituisce le commissioni di giustizia, le corti d'assise del popolo e i tribunali di guerra, dice: « I membri del governo fascista ed i gerarchi del fascismo colpevoli di aver contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali, di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tra- I|dito le sorti del Paese e di averlo condotto all'attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e, nei casi meno gravi, con l'ergastolo». All'incontro nel palazzo dell'arcivescovo, fissato per le 17, vanno il generale Cadorna, Lombardi e Marezza. Più tardi si aggiungerà Giustino Arpesani, liberale. Sandro Pertini, impegnato a tener comizi in periferia, arriverà soltanto alla fine. Il mandato è: resa senza condizioni, entro le 20. L'incontro non approda a nulla. Mussolini torna in prefettu- I ra dicendo che darà risposta in un'ora. Invece parte | precipitosamente, infilando la strada fatale che lo porterà a Dongo. Mentre nelle tipografie del Corriere Ì7i via Solferino e dell'ex Popolo d'Italia in piazza Cavour si preparano i giornali che annunceranno ai milanesi l'insurrezione (sono Z'Italia Libera, l'Unità, /'Avanti! e lo stesso Corriere che poi verrà sospeso per qualche tempo), si riunisce per l'ultima volta clandestinamente il Clnai, in casa del segretario Balzarotti, in via Cadore. Occorre dare completamento all'insurrezione, occupando gli edifìci pubblici. Leo Valiani scrive l'ordine per il colonnello Alfredo Malgeri, comandante della legione della Guardia di finanza, che da tempo si è messo a disposizione del Clnai. Nella caserma di via Melchiorre Gioia, dove ci sono cinquecento uomini e viveri per una settimana, il colonnello riceve il messaggio verso l'una del 26. Dine: « Il Comitato di liberazione nazionale per l'alta Italia ha diramato l'ordine dell'insurrezione nazionale. La Guardia di finanza ha l'ordine formale di impossessarsi entro la notte della prefettura di Milano; inoltre, deve accerchiare e, condizioni militari permettendo, espugnare gli edifici della Muti, della guardia nazionale repubblicana e della X Mas. Tutti gli appartenenti a queste formazioni devono essere disarmati e gli ufficiali fatti prigionieri ». Il colonnello esce con i suoi uomini inquadrati poco prima delle 4. La città appare tranquilla, deserta. (Si calcola che le sole forze fasciste siano sui dodicimila uomini: in buona parte, sono già svaniti. Riccardo Lombardi, con un gruppo di partigiani, è andato per attaccare la munita sede della brigata « Resega » in piazza San Sepolcro, chiusa da muretti, cavalli di frisia, filo spinato: temeva gran resistenza, non c'è nessuno). Divisi in quattro compagnie, i finanzieri si avviano alla prefettura. Sul principio di corso di Porta Nuova, raffiche di mitra di squadre della X Mas, che è in piazza Fiume (nella piazza, ora intitolata alla Repubblica, c'è anche il comando tedesco, nell'albergo Touring). I finanzieri rispondono al fuoco e proseguono la marcia. Qualche altro scontro, ed ecco la prefettura. Gli uomini si dispongono secondo il piano d'attacco concordato in caserma. Ma non c'è bisogno: all'intimazione, i difensori si arrendono subito. Mentre l'operazione si compie, alla caserma di via Melchiorre Gioia arriva una telefonata del comando piazza repubblichino: vogliono parlare con Malgeri. Il piantone risponde che il colonnello « è fuori col reggimento ». L'uomo all'altro capo del lì¬ | z0> sorpreso e indignato, ur - la nel microfono: « Li farò fucilare tutti ». Ma sarà lui a sgomberare rapidamente. Prima delle 8, la Guardia di finanza completa l'occupazione delle sedi del comando militare, della provincia, del municipio, della radio. Alle 8, il colonnello Malgeri fa suonare le sirene dell'allarme aereo per tre minuti: è il segnale del tutto compiuto. Milano è ufficialmente libera. Riccardo Lombardi assume « tutti i poteri dello Stato nella provincia di Mila- no » ed emana il primo ordine: « Tutti i fascisti devono essere disarmati e fatti prigionieri ». Sindaco è il socialista Antonio Greppi, non ancora in città: lo sostituì- j sce il segretario del Cln mi lanese, avvocato Boneschi. E' una mattina di cielo grigio. Vediamola dalla finestra di una casa di corso Magenta, che è uno dei centri della Resistenza milanese, punto di riunione per gli operai, luogo di smistamento dei soccorsi ai partigiani, raduno di intellettuali. E' la casa del filosofo Antonio Banfi e di sua moglie Daria Malaguzzi, chiamata « la contessa bolscevica ». Sono le 9. Un uomo passa sul marciapiede dì fronte tenendo dispiegata l'Unità, ostentatamente; accanto, un droghiere sulla soglia del negozio prende in consegna armi da un gruppetto di marò, appena usciti da una vicina caserma della X Mas. Dall'angolo, sbucano pedalando alcuni operai in tuta con sul braccio una fascia rossa. I marò sì allontanano velocemente. Arriva un camion con i partigiani fin sul tetto. Entrano nella caserma della X Mas, non trovano altro che bidoni vuoti: le grosse gomme degli I autocarri sono state fatte j sparire nella notte. Gruppi di anziani operai armati di ! mitra e di bombe, presidia- | no le strade verso il centro; I fermano le rare auto, confrollano chi passa. Dai tetti ogni tanto si spara. Alle 16 grande comizio in | piazza della Scala davanti al j i palazzo del municipio diroccaio. Scene di entusiasmo; lunghi applausi agli uomini nuovi che parlano di libertà, j iVe malica uno, Maurizio. Dopo essere stato per tanti j mesi l'anima della Resisten- j za, dopo avere preparato e duramente sofferto questa giornata, Ferruccio Farri non I vi ha partecipato. Arrestato all'inizio dell'anno, liberato poi in Svizzera come dimostrazione di buona volontà dai tedeschi che cercano di cucire accordi con gli alleati, Parri arriva a Milano la sera del 25, ma non riesce a mettersi subito in contatto con i compagni. Scriverà mesi dopo: « Avevo capito, frattanto, qual era la situazione di Milano: difficile. Disponevamo in città di notevoli forze di quartiere, suf- fìcienti per la protezione di impianti, di uffici, eccetera; non sufficienti per attaccare i nidi nei quali si erano barricati fascisti e tedeschi. Attaccare tali nidi fortificati avrebbe richiesto armi pesanti (e ce n'erano pochissime) e un inquadramento militare, che faceva difetto. Erano in montagna ». Dall'Oltrepò / partigiani delle valli cominciano ad arrivare il pomeriggio del 27. Sono i garibaldini dell'Oltrepò pavese, che hanno liberato Voghera e Pavia e hanno avuto scontri a Casteggio. La colonna di autocarri, con seicento uomini, entra da Porta Ticinese: attraversa la città per corso Italia, piazza Duomo, corso Venezia, corso Buenos Aires, e si acquartiera nelle scuole di viale Brianza, vicino a piazzale Loreto. Alle 18, dall'Ossola l'ottava brigata Matteotti. Alle 13 di sabato 28 aprile, sono al casello dell'autostrada i garibaldini della « Monte Rosa », scesi dalla Valsesia. Si schierano lungo viale Certosa, poi sfilano fino in piazza del Duomo dove parlano Luigi Longo e Cino Moscatelli. I tram circolano, i negozi sono aperti. Qualche fascista spara ancora dai tetti, o passando veloce in automobile. Corrono avvisi: « Attenzione a Fiat 500 MI 1680 bandiera tricolore con giovane robusto con impermeabile »; « Attenzione a macchina targata PR 1729 sul tetto giovanotto con pellicciotto chiaro ». Mille tedeschi del palazzo dell'Aeronautica, in piazzale Balbo, si arrendono. Altri stanno chiusi nei loro quartieri in attesa degli alleati. Ventun fascisti, catturati nei vari rioni, sono fucilati in piazza Tripoli. Nel pomeriggio di sabato 28 aprile, comunicato della Camera del lavoro: « Chiusa trionfalmente l'insurrezione, si invita per lunedì 30 aprile a riprendere il lavoro ». Franco Nasi Milano, aprile 1945. Gli operai presidiano le fabbriche: saranno i primi a scontrarsi con i tedeschi ed i fascisti