I vietcong per trattare chiedono "Via tutti gli uomini di Thieu,, di Ennio Caretto

I vietcong per trattare chiedono "Via tutti gli uomini di Thieu,,Non sono bastate le dimissioni del presidente sudvietnamita I vietcong per trattare chiedono "Via tutti gli uomini di Thieu,, La cauta apertura di Saigon è stata definita "una manovra ridicola e ingannatrice" - Consultazioni in corso per sostituire il governo - Ultimatum agli americani perché effettuino uno "sgombero totale" (Dal nostro inviato speciale) Saigon, 22 aprile. A ventiquattr'ore dalle dimissioni di Van Thieu, la situazione politica e militare del Sud Vietnam rimane molto grave, Hanoi e il Vietcong hanno di fatto respinto la cauta apertura di Saigon, definendola « una manovra ridicola e ingannatrice » e chiedendo la destituzione «di tutta la cricca » dell'ex-presidente. Hanno inoltre rivolto una specie di ultimatum agli americani per « il loro totale sgombero ». Infine, hanno lanciato un appello all'esercito sudvietnamita affinché deponga le armi e si presenti a punti prestabiliti per passare dalla loro parte. Hanoi e il Vietcong non hanno neppure arrestato la loro avanzata. Oggi, si sono portati a ridosso di Bien Hoà, l'enorme base aerea a 25 chilometri a Nord della capitale, scavalcando Xuan Loc. Hanno costretto le forze governative ad evacuare Ham Tan, sulla costa, dirigendosi verso il porto di Vung Tau, che rappresenta l'unico sbocco di Saigon sul mare. Si sono insediati in alcune postazioni strategiche sul delta del Mekong. Se lo volessero, piomberebbero sulla stessa Saigon in un giorno o due. La cessazione delle ostilità e l'inizio dei negoziati di pace sembrano perciò ancora lontani. Dipenderanno in gran parte dagli altri cambiamenti attesi nel Sud Vietnam. Tran Van Huong è sgradito ad Hanoi e al Vietcong come lo è il resto del gruppo al potere. Nella capitale, frenetiche consultazioni sono in corso per sostituirli con un governo di centro-destra, composto da buddisti e cattolici, sotto il generale a riposo «Big» Minh. Gli esponenti di tutte le religioni sudvietnamite hanno oggi assistito a una grande messa nella cattedrale, insieme con l'ambasciatore di Francia. Al momento in cui scrivo, Van Thieu non ha ancora lasciato Saigon. Egli ha trascorso la giornata a «Palazzo Indipendenza», a colloquio col successore e coi generali. Dai cancelli, ho visto un giardiniere innaffiare le aiuole come sempre, e i poliziotti montare la guardia. All'euforia iniziale è subentrato nella popolazione un certo fatalismo. Ieri sera, si diceva «la guerre est finie», oggi la paura minaccia di riprendere il sopravvento. La realtà è che Hanoi e il Vietcong controllano ormai 21 province su 44, che hanno centomila soldati intorno a una capitale con soli trentamila difensori, e che gli aiuti decisi dal Congresso americano sono insufficienti. I sudvietnamiti si sentono condannati. Il significato delle dimissioni di Van Thieu non è del tutto chiaro. Appaiono misteriose le circostanze in cui esse sono avvenute. L'ex presidente s'è trovato con le spalle al muro. Gli hanno chiesto di andarsene «per il bene del Paese » l'ambasciatore degli Stati Uniti, Martin, il più fidato dei suoi generali, Van Toan, tornato precipitosamente dal fronte, il leader della destra cattolica che l'aveva sostenuto fino a ottobre, Padre Thran. Vediamo, ha detto Van Thieu nel suo discorso alla tv, se la mia rinuncia indurrà veramente il nemico a negoziare. L'ex presidente però ha ottenuto che la sua strategia non fosse abbandonata. Egli ha consegnato i poteri non al leader del senato Tran Van Lamm, come desiderava Washington, ma all'anziano Tran Van Huong. Ha confermato in carica il governo costituito di recente, un autentico «gabinetto di guerra». Alla Tv ha fatto dichiarazioni oscure, precisando di restare «a disposizione del Sud Vietnam», di aver preparato quanto necessario per eventuali trattative, di temere che stiano per scoppiare «nuove sfide e battaglie crudeli». Il suo linguaggio non è parso, nonostante le sue lacrime, quello di uno sconfitto. Un deputato, Ciung, ha commentato: «Anche senza di lui, è ancora il regime di Van Thieu». L'interrogativo che tutti si pongono oggi è questo. Riuscirà l'opposizione interna, nel brevissimo tempo che rimane, a rimuovere costituzionalmente ogni traccia di dittatura, e a stabilire un dialogo con Hanoi e col Vietcong? Le dimissioni di Van Thieu rappresenteranno una svolta storica solo se consentiranno uno sbocco democratico a Saigon. Molti, gli Stati Uniti soprattutto, dubitano che questo margine di tempo esista. Essi non vedono il motivo per cui le forze comuniste non dovrebbero trarre profitto dalla propria supremazia militare. Ennio Caretto