Farassino "amaro,,

Farassino "amaro,, Il cantante piemontese all'Erba Farassino "amaro,, Sereno, come tutti coloro . che sanno di avere le carte I buone per la pr0pria partita, 1 Gjpo FarasSjno affronta l'impegno di un «recital» di due ore e mezzo al Teatro Erba. Gli sono al fianco, con il trio di Happy Ruggiero, i due collaboratori abituali, il regista Massimo Scaglione e lo scenografo Gian Mesturino. Insieme hanno pensato di collocare Gipo sullo sfondo di un incredibile ammasso di cianfrusaglie, frutto probabilmente di accurate indagini nel solaio di casa o tra le bancarelle del «Balon». Il cantante ac cetta ia proposta: ruote scen trate, bambole in pezzi, statuine da quattro soldi costituiscono l'albero genealogico di un artista popolare. L'appuntamento, con qualche lieve concessione al populismo, è sempre piacevole. Da Gipo Farassino non ascolteremo mai tiritere alla moda né stanchi compiacimenti. Per questo «recital» ha riunito canzoni vecchie (ma quelle meno fortunate, come la storia d'amore di Remo, la barca) e canzoni nuove. Tra le ultime, assolutamente da non perdere è La moneda. In essa Farassino rivendica una sua musa plebea, ricordando cioè di avere cominciato una ven tùia d'anni fa a usare parole del gergo e a mostrare di non aver paura di sporcarsi trattando argomenti forti o banali. Ma qualcuno lo ha battuto. Oggi lo spettacolo non rinuncia al turpiloquio, non si vergogna dell'esibizionismo. Rimane la constatazione di una differenza sostanziale: c'è chi ha usato i modi aspri per rin novare se stesso, c'è chi li usa per rinnovare il portafogli. La differenza sta nella «moneda», nei quattrini. Anche i versi dedicati a un caffeuccio di via Rivarolo e a un «mé amor» che non vuole cancellarsi, rientrano nell'ultimo repertorio. Qui Gipo ripropone testardo la sua poetica amara, con le soddisfazio¬ ni nella carriera e i trionfi nei sentimenti che arrivano troppo tardi, sotto un cielo grigio che urla «lavami» e in un'aria pesante che sa di frittata. La realtà del borgo — attualmente lontana anche da chi è di origine proletaria — risulta di continuo presente nelle canzoni di Gipo Farassino. E' come il nero dell'officina che si appiccica alle mani del fonditore e che né il sapone, né l'amore, né la morte riusciranno a togliere. D'intesa con Scaglione, Gipo ha infine allargato la sua panoramica a personaggi nuovi, uomini del Sud che vivono a contatto con gli abituali eroi di periferia e con le donne del popolo. I due mondi si avvicinano. Alla «tòta» dalla bocca carnosa e dal petto che scoppia, immagine sognata un tempo tra le arance o le tonnare, l'immigrato offre timido e sicuro la sua mano pe sante. E' una delle tante delicate intuizioni d'un cantautore nemico del sentimentalismo, p. per.

Persone citate: Farassino, Gian Mesturino, Gipo Farassino, Happy Ruggiero, Massimo Scaglione, Scaglione, Sereno