La città insorge, una battaglia di popolo

La città insorge, una battaglia di popolo La città insorge, una battaglia di popolo Praticamente così erano tolti i denti del veleno all'insidioso ordine ispirato dal col. Stevens. Noi mandammo alle 12 questo messaggio; ma già fin dalla mattinata « Mario l'alpino », col suo giovane commissario « Riccio », faceva delle puntate in profondità nella città; ed alle tredici — come ci informò Carmagnola, commissario della 19° — il distaccamento di Moretta e di Edera viene trasferito alla Barca, con il compito di effettuare azioni di disturbo alla periferia di Torino. Il disturbo si risolve con rapida successione, accorsi gli intrepidi «Trumlin», vicccomandante della brigata, e «Gino l'armiere», nell'attacco al munitissimo posto di blocco del ponte sulla Stura; nella esaltante liberazione della Barca; sino all'incontro con i valorosi operai delle Sap della Manifattura Tabacchi. Come poi mi riferì Wladi Orengo — un veterano della nostra cospirazione militare — che fu partecipe dell'impresa, un reparto di arditi della Divisione Monferrato di «Gabriele» Cotta, si spinse con audacissima puntata sino a Piazza Castello. Da "Marelli,, Osvaldo Negarville intanto si era collegato con Scotti. Per l'iniziativa e la decisione di questo veterano della guerra di Spagna fu prontamente ristabilita la piena collegialità ed unità del C.M.R.P., sicché giunse — scritto alle 14,45 — l'ordine «giusto» portato dalla Marcella Balconi, nipote di mamma Pajetta. Mentre ero in giro per ispezioni, «Marelli» me le inviò, avendo commentato in calce: «Avevamo sentito l'odore di trucco e ancora una volta non ci siamo sbagliati. Comunque sia i nostri ordini sono ormai impartiti e le nostre coscienze sono tranquille. Pagherà chi deve pagare». Una parola, far pagare il colonnello Stevens, massimo vero responsabile, che d'altra parte faceva la sua guerra; è già molto se almeno pagò col duro e motivato giudizio che su di lui diede il nostro comandante generale Trabucchi, quando raggiunse il suo posto di combattimento a Torino, appena liberato dal carcere di Milano. Intanto Torino si batte. Erano giunte le prime notizie nella notte dalle pattuglie di avanscoperta. Ora passano tra i reparti frementi le staffette: giungono dalla città superando il cerchio di terrore e di morte entro il quale i nazifascisti tentano di soffocare i centri dell'insurrezione: giungono dalle fabbriche già trasformale all'alba del 26 in fortilizi che gli operai difendono più che con le impari armi, col coraggio. Ai nomi di Dante Di Nanni, e degli altri eroi gappisti, ai nomi della famiglia Arduino, di Banfo e di Melis e di quanti affrontarono il martirio per preparare l'insurrezione, si aggiungono quelli degli operai che seppero affrontare e respingere a prezzo della vita anche i carri armati. I valorosi della Lancia mostrano come, con «molotov» e bombe improvvisate, si possono far saltare in aria i «Tigre» nazisti. Alla Spa gli operai presenti per l'80 per cento, mentre respingono i reiterati attacchi apprestano rapidamente con mezzi di fortuna due carri armati e due autoblindo che servono alla difesa delle officine e sono poi messi a disposizione dei sopraggiunti partigiani per gli ultimi combattimenti. Alla Mirafiori sono presenti nel corso dell'insurrezione il 90 per cento. Altissime percentuali dovunque: alla «Ricambi» come alla «Savigliano», al «Materiale Ferroviario» come alle «Ferriere». Date le circostanze impreviste, determinate dalla manovra di Stevens, mi ero collegato con la 105'' Garibaldi «Pisacane» per quanto non dipendesse più dal mio comando. Gli uomini sperimentati di «Romanino», del cap. Di Nanni, di «Mario il Gap», accorsi dalla zona del Montoso parteciparono così anche alle azioni contro i presidi periferici: azioni che culminarono dopo un giorno di combattimento con la resa alla divisione «Ferreira» alle Brigate «Nannetti» e «Pisacane» del presidio di Villastellone, il cui ricco deposito di armi e munizioni diventò il nostro arsenale per la battaglia finale. Contro i Tigre La 4* Garibaldi e le avanguardie della Divisione «Monferrato», già attestate a Superga, non si rassegnano in attesa dell'ordine finale alle sole, pur profonde, puntate nella città che combatte. I valorosi «Milan», «Gabriele» e «Fracassi» colgono l'ansia dei combattenti e decidono di procedere all'attacco generale: le loro formazioni si portano a Sassi e con successive azioni liberano e salvano dalla distruzione i ponti sul Po, fronteggiando le puntate dei Tigre e dei guastatori tedeschi. Non è possibile, in breve spazio, ricordare delle cinque giornate di Torino anche soltanto gli episodi più gloriosi. Ma come tacere dei tre giovani garibaldini della «Giambone» che nella notte del 26 incontrano un reparto di SS con due «Tigre» e per dare l'allarme ai compagni preferiscono non sfuggire, come potevano, al disperato combattimento, ma lo affrontano e a prezzo della vita salvano dalla sorpresa la Brigata? E gli eroi della 2J che catturano una autoblindo e la adoperano contro il preponderante nemico audacemente finché cadono in combattimento? Gareggiano in valore i veterani del G.M.O - G.L. di «Renato» e di «Carletto» Mussa con gli Autonomi di «Gabriele», fedele alle antiche tradizioni monferrine. L'attacco finale fu caratterizzato dalla lotta contro i mezzi corazzati e da enormi difficoltà nei collegamenti. Ma i centralinisti della Sip — grazie a Picco e al fratello di «Max» Rendina, capo di S.M. della 19" — si mobilitarono: i capi cabina si trasformarono in staffette e stabilirono collegamenti rapidi con i reparti operanti. Già all'alba del 27 un reparto della 19* è alla Grandi Motori. Giungono staffette operaie con la richiesta di ulteriori rinforzi. Mando l'ordine e presto a scaglioni tutta la 19° è in questo fortilizio dell'insurrezione e infligge insieme con le Sap duri colpi al nemico. Matteottini e Garibaldini espugnano il posto di blocco dell'autostrada. Mi giunge notizia del vittorioso attacco dell'801 Garibaldi guidata dal valorosissimo Burlando al munito presidio nazifascista della stazione Dora. L'ufficiale tedesco all'intimazione di resa senza condizioni aveva chiesto il salvacondotto per sé, per i suoi uomini e per i suoi carri armati da Torino al Brennero. Burlando glielo aveva seccamente rifiutato. E il durissimo combattimento era stato ripreso e condotto fino alla vittoria. Nel pomeriggio dal C.L.N. della Sip vengo informato che il famigerato capitano Schmidt, della polizia di sicurezza germanica, era stato autorizzato dall'ambasciatore Von Rahn a trattare con i reparti partigiani una tregua di armi. Feci sapere — e in questo senso si espresse pure il Comando del IV settore — che io avevo poteri non per trattare delle tregue ma per combattere. 11 capitano Schmidt quando ebbe la risposta del C.L.N. minacciò per Torino la fine di Varsavia. Vado a ispezionare la Divisione Matteotti « Italo Rossi » che strenuamente si batte contro i criminali di via Asti. Trovo il comandante « Emilio » febbricitante accanto ad uno dei cannoni strappati al presidio di Cimena. Col fuoco di questi cannoni e dei mortai la divisione stronca i ripetuti attacchi dei carri armati della « Leonessa » che tentano di por¬ tare soccorso al presidio accerchiato. Gli uomini sono stremati ma non lasciano la preda che cadrà nella notte. Nel pomeriggio, tramite Sip, la valorosa 49° Garibaldi, che non fa parte della mia zona e che si trova dopo vivaci combattimenti nei pressi della Cernaia, chiede direttive. Rispondo: « Asserragliatevi nelle case vicine alle caserme, combattete alla garibaldina contro i carri, non lasciate le posizioni conquistate con tanto sacrificio ». Lo stesso ordine dò, sempre per telefono, a « Trumlin » che si trova pure in posizioni molto avanzate. I "cecchini,, Intanto le divisioni procedono, braccano i carri armati e stringono da presso gli obiettivi centrali. Nella notte la resistenza crolla in quasi tutti i posti. Il 28 mentre si stroncano le ultime feroci resistenze e si inizia la lotta contro il cecchinaggio — che ci costa tra l'altro la vita preziosa di due valorosi comandanti, Massimo ed il francese Jimmy (m'ero appena incontrato con questo operaio parigino veramente straordinario nella stanza della Sip dove s'era insediato il Comando: me lo vidi riportar giù dal ■ tetto del palazzo dove, mentre snidava i cecchini, era stato colpito al cuore) — il popolo in delirio festeggia gli artefici della sua liberazione, gli operai eroicamente insorti e i partigiani vittoriosi della lunga e difficile guerra. I forti garibaldini del raggruppamento delle Langhe guidato dal valoroso e sperimentato Nanni Latilla, liberate Dogliani, Narzole, Cherasco, Bra e fatto prigioniero il presidio tedesco a Moncalieri, qui fronteggiano la minaccia di Schlemmer su Torino. In loro appoggio mandai uno dei migliori reparti della « Pisacane » armato di panzerfaust catturati a Viilastellone. E così Nanni e l'inseparabile « Max » Tani, « Romanino », il capitano Di Nanni e il medico partigiano Pinna Pintor ed altri partecipi della cospi¬ razione militare e dei primi combattimenti — respingendo a Moncalieri gli attacchi dei reparti di testa della colonna tedesca responsabile dell'eccidio di tredici garibaldini a Nichelino (le ausiliarie infierirono selvaggiamente sui cadaveri) e che la sera stessa del 29 doveva compiere l'infame eccidio di Grugliasco — furono protagonisti dell'ultimo combattimento delle cinque giornate della insurrezione e liberazione di Torino. Ancora una prova che ogni rinvio dell'insurrezione, ogni ritardo nell'azione partigiana avrebbero potuto avere conseguenze disastrose particolarmente per Torino. Ma il patriottismo e la capacità dei dirigenti politici e militari dell'insurrezione, il generoso slancio degli operai, del popolo, il valore e l'iniziativa dei partigiani ebbero ragione di ogni intrigo, di ogni sabotaggio, di ogni difficoltà ed assicurarono a Torino, al Piemonte, all'Italia tutta — anche al Sud che con tanti suoi figli fu partecipe su tutti i fronti sui quali si levò la fiamma della guerra liberatrice — la gloria di quelle giornate memorabili. Fu certo questo spirito nuovo di unità nazionale e popolare che indusse i responsabili politici e militari del Piemonte a prescegliere due siciliani, « Barbato » e « Petralia », come comandante e come alfiere del C.V.L. nella parata, alla testa dei trentamila protagonisti della insurrezione e liberazione di Torino e del Piemonte. Di questo spirito ha oggi massimamente bisogno l'Italia. I nuovi doveri impongono « il massimo di unità per il massimo di combattività » nelle necessarie battaglie democratiche per rinnovare la società e lo Stato; per colpire la criminale eversione fascista soprattutto strappando con decisione e tenacia le radici del fascismo dovunque si annidino; perché la corruzione non soffochi le istituzioni democratiche; perché, soprattutto per i giovani, con i giovani, possa tornare sul Paese « il cielo pulito » della Resistenza. Pompeo Colajanni « Nicola Barbato » Barbato alla manifestazione del 6 maggio in piazza Vittorio