Cee indispensabile ma con modifiche

Cee indispensabile ma con modifiche NOTE DI AGRICOLTURA Cee indispensabile ma con modifiche Al convegno della Confagricoltura, indicate le linee per una revisione della Comunità europea - Le colpe dei politici e degli agricoltori - Invito ad una autocritica (Dal nostro inviato speciale) Strcsa, 19 aprile. Per anni abbiamo sacrificato l'agricoltura all'industria, dicendo: « Non importa se dobbiamo acquistare carne all'estero, tanto ce la paghiamo con l'esportazione dei nostri prodotti industriali ». Per anni non abbiamo avuto una politica agricola, perché chi aveva il dovere di farlo 0 era incapace o era legato a forze cui interessava soprattutto mantenere gli agricoltori divisi, per influenzarli al momento del voto. Per anni non c'è stata programmazione agricola, anzi c'è stato, se è possibile, tutto il contrario: si sono dati premi per produrre più latte e poi si sono promesse sovvenzioni per abbattere le vacche; si sono spesi soldi per incrementare la frutticoltura, poi si è premiato chi sradicava 1 frutteti; fino a pochi anni fa si diceva agli agricoltori « piantate viti che rendono», e ci siamo accorti nei giorni scorsi che l'Europa può lavarsi i piedi nel vino che non riesce a vendere. Le contraddizioni si sono susseguite per anni sia a livello comunitario sia a livello nazionale, ed ora che qualcosa sta cambiando, con uomini e sistemi nuovi, si vorrebbe che tutto fosse rimesso a posto, quasi con un colpo di bacchetta magica. Non è così, non può essere così, ci vuole tempo, ma è già importante essersi accorti degli errori commessi. Con parole più addolcite di quelle che abbiamo usato noi, con diplomatiche sfumature, lo hanno detto oggi a Stresa, al convegno della Confagricoltura, il ministro Giovanni Marcora, il vicepresidente della Commissione Cee, Carlo Scarascia Mugnozza, il direttore generale del ministero Vincenzo Di Chio, il direttore generale della Confagricoltura Rinaldo Chidichimo e il presidente della Confagricoltura Alfredo Diana. Per uscire dal caos agricolo, sia nazionale sia europeo, il nostro Paese può contribuire con poche cose fondamentali, ma non facili da ottenere: un governo credibile e che duri qualche tempo (un ministro come quello che abbiamo tutti sperano che resti in carica il più possibile) per avere più prestigio e più peso a Bruxelles; una programmazione agricola, che non sia un « libro dei sogni » come il piano Mansholt; meno politica e più fatti concreti. Infine, c'è bisogno che l'agricoltore medio esca dal suo guscio di timori, diffidenze, paure di essere ingannato: bisogna che si Idi, se non dei politici, almeno dei suoi colleghi, e che comprenda questo concetto. Ci sono in Italia e nel mondo grosse industrie che, non ritenendosi grosse a sufficienza per gli attuali mercati, si uniscono, si fondono tra loro. Come possono pretendere di sopravvivere — e molti lo pretendono, — piccole aziende agricole con qualche ettaro di terra e qualche vacca magra e malata nella stalla? Eppure sappiamo che ne esistono ancora troppe di queste aziende (chiamiamole così), e che pretendono di fare tutto da sole, comperare mangimi, macchine, fertilizzanti, vendere la carne, discutere il prezzo del latte con gli industriali. Che pretesa assurda. Eppure non vogliono sentir parlare di unirsi e lavorare insieme: nessuno porterebbe via loro nulla, si tratterebbe solo di fare della cooperazione, una cosa che nei Paesi comunitari — lo ha detto oggi Scarascia — riguarda l'80 per cento delle aziende agricole e che tocca le nostre solo per il 12 per cento. Perciò, pur difendendo gli agricoltori e comprendendo la loro amarezza, riteniamo di doverli invitare ad un'autocritica: hanno essi fatto tutto il possibile per uscire dalla palude in cui gli altri li hanno cacciati? Si ricordino di tutto ciò al momento del voto: lo stesso ministro Marcora, con una frase scherzosa ma piena di significato, ha detto oggi: « Credo che le Regioni saranno svelte ad elargire il credito, non foss'altro che per motivi elettorali ». Purtroppo qui a Stresa non erano presenti gli agricoltori che più avrebbero avuto bisogno di sentire certe cose: c'erano infatti i rappresentanti delle imprese più moderne e progredite, i veri imprenditori agricoli, i proprietari o i conduttori di quelle 360 mila aziende che, come ha detto Di Chio, costituiscono appena il 10 per cento di tutte le imprese italiane, ma che forniscono oltre la metà di tutta la produzione agricola. Questo fatto, ha aggiunto il direttore generale del ministero, ci lascia sperare perché dimostra una cosa: che oltre due milioni di imprese agricole sono suscettibili di migliorare, di diventa¬ re economiche ed efficienti. Quindi, il tessuto su cui lavorare esiste, bisogna che gli uomini politici vogliano e riescano a dare quell'impulso necessario a rimuovere secoli di immobilismo e di stagnazione, che creano paure e diffidenze. Ma è necessario che l'agricoltore si aiuti anche da sé, si scuota. Ci diceva, a proposito della cooperazione, un illuminato imprenditore agricolo cuneese: quando il prete, durante la Messa, invita i fedeli a scambiarsi il segno della pace e della fratellanza (cioè a stringersi la mano), nelle nostre chiese nessuno si muove: come volete che diventino soci delle persone che non osano nemmeno stringersi la mano in chiesa? Passando dall'Italia alla Cee, il bisogno di rinnovamento non è meno sentito, anche se il fatto di rimanere dentro la Comunità è ritenu¬ to da tutti essenziale. Quindi non si discute la Comunità Europea, che ha molti difetti, ma che ci consente se non altro di essere a diretto confronto con paesi più progrediti, di migliorarci con essi e spronarci per raggiungerli. Si è discusso invece a Stresa in che modo cambiare questa Comunità, che dopo 17 anni di vita mostra i segni di una precoce vecchiaia. Di questo ha parlato soprattutto Rinaldo Chidichimo, centrando i problemi con chiarezza, com'è sua consuetudine. Le revisioni dovranno essere fatte in tre direzioni: nei rapporti tra la Cee e i Paesi terzi, nell'organizzazione dei mercati, a livello nazionale. Facendo esempi concreti, I queste revisioni possono riI guardare, fra le altre cose, . gli accordi con i Paesi mediterranei che rischiano di danI neggiare gravemente i nostri 1 vini, i nostri agrumi, la no¬ stra frutta; oppure le impor tazioni di carne dai Paesi Cee e dai Paesi terzi; revisione vuol dire anche non più sot tostare alla « politica della margarina » (cioè alle pressioni delle grandi industrie alimentari europee), che ci ha procurato enormi eccedenze di burro, smaltite poi con forti spese comunitarie In sostanza, bisogna salvaguardare la politica agricola comune senza la quale torneremmo indietro di qualche decennio, non indebolire la politica dei prezzi, ma riequilibrarla, così come dev'esserci un maggiore equilibrio tra i mercati del settore. A proposito di settori, il presidente Diana ha ricordato l'enorme ritardo (tre anni) dell'applicazione in Italia delle direttive comunitarie, che sono ancora all'esame del Parlamento per «alcune demagogiche modifiche ». Livio Burato

Persone citate: Alfredo Diana, Carlo Scarascia Mugnozza, Di Chio, Giovanni Marcora, Livio Burato, Marcora, Scarascia, Vincenzo Di Chio

Luoghi citati: Bruxelles, Europa, Italia, Stresa