Quel giorno si fermò tutta Torino di Gabriella Poli

Quel giorno si fermò tutta Torino Il 18 aprile di trentanni fa: sciopero preinsurrezionale contro la fame e il terrore Quel giorno si fermò tutta Torino Migliaia di volantini raggiunsero ogni strato della popolazione, persino i bimbi delle scuole - L'ordine del Comitato di liberazione nazionale paralizzò la città: non più uno sciopero soltanto operaio (come nel '43 e nel '44), ma generale - Non valsero, contro il coraggio dei lavoratori, i carri armati tedeschi - Rappresaglia fascista: l'assassinio di Antonio Banfo, comunista, e di Salvatore Melis - 19 aprile: i partigiani di Barbato liberano Chieri Scioperare con i carri armati tedeschi clic bloccano l'uscita delle fabbriche e gli ufficiali fascisti, a faccia a faccia, dentro i reparli. Scioperare malgrado le rappresaglie, gli arresti, le deportazioni, gli agguati mortali. Dire « basta » al regime di guerra, ai salari di fame, alle rapine dei materiali; e « basta » ai soprusi, alle torture, alle stragi. Questo hanno fatto gli operai torinesi quattro volte, per più giorni, tra il '43 e il '45 per non contare che gli scioperi più clamorosi. E ogni volta hanno pagalo col sangue. Marzo '43, giorno 5, ore 10. Lo sciopero, organizzalo dal partito comunista, parte dalla Fiat Mirafiori e si gonfia, con i giorni, fino ad uscire dai confini della città. Centomila chicdono miglioramenti economici per far fronte al pauroso aumento del costo della vita. Ma dicono anche « Vogliamo vivere in pace». Sull'esempio di Torino, dove l'opposizione al fascismo ha radici profonde (è nata dalla strage squadrista del 18 dicembre '22, è continuata per oltre vent'anni con la cospirazione) lo sciopero si allarga alle officine di Milano e di Genova. L'Unità clandestina invoca: « Tulio il Paese segua l'esempio elei centomila scioperanti dì Torino per conquistare il pane, la pace e la libertà ». La ribellione Novembre '43. I tedeschi hanno ordinato che il lavoro in fabbrica continui anche durante i bombardamenti. Alla Riv di Villar Perosa ci sono stati morti e feriti. Il giorno 18, all'improvviso, gli operai della Mirafiori si ribellano alla crudele imposizione; lo sciopero coinvolge via via decine di fabbriche, a nulla serve che il generale delle SS Zimmermann schiumi rabbia e semini morte. Nemmeno un bullone parte per la Germania. Pietro Secchia commentai « Gli operai torinesi, paralizzando la produzione per parecchi giorni non hanno solo combattuto una lotta sindacale, ma una battaglia della guerra di liberazione nazionale. Nessuna /orma di sabotaggio individuale avrebbe potuto arrecare tanto danno alla produzione di guerra tedesca, quanto la fermata collettiva dèi lavoro ». Marzo '44. Il primo, vero sciopero generale in Italia dopo vent'anni di fascismo; il primo in Europa sotto il tallone nazista. Il terribile inverno, che ha impegnato duramente le bande partigiane, è appena finito. La primavera si affaccia nelle città affamate mentre i tedeschi intensificano deportazioni e spoliazioni. I partiti del Comitato di liberazione nazionale, il Cln, appoggiano l'iniziativa dello sciopero che è economico, ma anche politico e si allarga a tutto il Piemonte, donne in prima fila a rovesciare sui mercati i banchi delle merci requisite dai tedeschi e a urlare « Pane e pace ». I partigiani bloccano treni e aggrediscono presidi fascisti; i Gap (Gruppi azione patriottica) fanno saltare scambi, cabine, tralicci. Otto giorni: dall'I all'8 marzo; 150 mila uomini a braccia incrociate. Ne parla Radio Londra. Ne parlano i giornali stranieri. Luigi Longo: « La riuscita di quello sciopero dette un enorme impulso a tutta la lotta armala. Fu come una potente leva di massa per il consolidamento e lo sviluppo delle formazioni partigiane ». Aprile '45. I tedeschi guardano la catastrofe a distanza ravvicinata, i fascisti misurano sbi gottiti la caduta degli dèi e i fallimento delle proprie ambi zioni di superuomini. Le forze partigiane, uscite da altre massacranti prove, rispolverano i piani di attacco che a novembre il proclama di Alexander (« Cessate tutte le azioni di vasta scala, preparatevi a fronteggiare un nuovo nemico, l'inverno») li aveva costretti amaramente ad accantonare. E' a questo punto che il Cln decide un'azione dimostrativa di vaste dimensioni; uno sciopero politico che uscendo dalle fabbriche investa tutte le attività cittadine. L'ultimatum ai nazifascisti. La prova generale prima dell'insurrezione armata. La preparazione è minuziosa, capillare. La parola d'ordine: « Sciopero contro la fame e il terrore », riassume il significato della protesta; le angosce del popolo, la disumana misura dei suoi sacrifici, la rivolta contro la morsa dell'oppressione, contro il mostro che incombe sulla città stremata, colma di rovine. Decine di migliaia di manifestini stampati alla macchia dal Cln agitano lo spettro dei pericoli imminenti: «Solo una grande manifestazione di popolo, attuata tempestivamente con energia e coraggio, può ammonire l'oppressore e frenarne la tracotanza». L'appello è una campana a stormo: «Aderite in massa allo sciopero generale che il Comitato provinciale d'agitazione sta preparando contro la fame e il terrore nazifascista... dimostrale la forza e la compattezza del popolo torinese; date la vostra attiva collaborazione a questa grande prova, che prepara gli animi alla prossima insurrezione popolare liberatrice... Chi riputa in questo grave, decisivo momento la propria adesione, merita il nome di traditore della Patria... La grande ora si avvicina. Dimostri la nostra gloriosa città di saper oggi, come lo fu negli anni del Risorgimento, e come lo è slata in questi ultimi mesi, essere alla lesta del movimento nazionale dì liberazione». Pigiati nelle sporte della spesa, cacciati in fondo alle tasche, ripiegali Ira i libri, dal 10 aprile in poi i volantini raggiungono le buche delle lettere, scivolano sotto le porte, s'infilano tra le pagine dei giornali. Non sono i soli. Il Cln-scuola spedisce per posta a maestri e professori una lettera che comincia: «L'ora è decisiva... Da tutta Europa, tormentala da cinque anni di una guerra pazza e atroce, si è levato il grido della rivolta... E oggi questo grido è accolto dagli italiani del Nord, ultimo tra i popoli oppressi, che attende il giorno della Liberazione... Uno sciopero generale è la rivendicazione economica non solo delle maestranze operaie, ina di tutte le categorie sociali, ed è allo stesso tempo una rivendicazione politica». La saldatura è in alto, panigiani - operai - intellettuali. E bambini? Come immaginare che vadano a scuola, in una giornata che può essere di violenze e di disordini? Lia Corinaldi, del Cln scuola piemontese: «Allora si pensò di rivolgere, proprio per mezzo dei fanciulli, un appello alla popolazione perché appoggiasse la dimostrazione degli insegnanti e proteggesse l'incolumità dei bambini». Altro manifestino, in bianco, rosso e verde, diffuso alla brava tra la calca all'uscita da scuola, nascosto nei quaderni o nei cappottini, consegnato alle madri. «Fanciulli delle scuole elementari. Leggete attentamente queste parole forti». Le « parole forti » spiegano ai bambini, per la prima volta, che cosa vuol dire « sciopero » e i motivi per i quali i torinesi non andranno al lavoro. « In quel giorno pure voi non dovete assolutamente presentarvi a scuola, non soltanto per non esponi ai pericoli della strada, ina per manifestare il vostro desiderio che la Patria risorga». Dai ricordi di cent'anni prima riecheggia la canzoncina risorgimentale: «Noi siamo piccoli, ma cresceremo; difenderemo la libertà ». Potete cantarla anche voi, dice il manifestino, il primo e forse l'unico che sia mai stato indirizzato ai bimbi. Ma subilo ci si preoccupa di educare: « Non resterete a casa per trasgredire un dovere o per una vacanza allegra; ma per protestare contro coloro che hanno ! rovinato la Patria ». Un brivido Poi un brivido: « 7'lif/fl la città sarà ferma ». Ferma « contro » i tedeschi. «Contro» i fascisti. Non è un gioco quello a cui si prepara la coscienza popolare. E allora perche non | ', | | i j I j j I ' I deporre nelle mani pure dei bambini la speranza che lutto vada bene? « E voi intanto pregherete perché Libertà e Pace coronino il vostro gesto coraggioso ». Manifestini per le donne, con parole che scendono nel fondo dei loro cuori. Per gli studenti. L'ultimo per i fascisti e gli invasori: ed e un ultimatum: | « Una sola via di scampo e di ', salvezza resta ancora ai fede| sdii che calpestano il nostro | suolo e a quanti, italiani, hani no tradito la Patria, sostenuto il fascismo, servito i tedeschi: j abbassare le armi, consegnarle I alle formazioni patriottiche, arj rendersi al Comitato di Liberaj zione... Chi non si arrende saI rà fucilato... Che nessuno pos' sa dire che. sull'orlo della tomba, non è stato avvertito ». L'ordine dello sciopero è per I il diciotto aprile e paraliz¬ ì za la città. Dalla relazione della Giunta consultiva regionale piemontese: « Il successo fu completo. Fu una magnifica dimostrazione di forza di tutte le categorie cittadine intorno al Cln e diede alle sedicenti autorità nazifasciste la precisa sensazione della loro impotenza a padroneggiare la situazione. Verso le 9 tutti gli operai abbandonarono il lavoro e i locali degli stabilimenti. Solo in alcune industrie maggiori, conte la Fiat Mirafiori, la Grandi Motori e altre, gli operai rimasero nelle officine, ma inoperosi, essendo stati bloccati dalle forze nazifasciste che avevano impiegalo per il blocco carri armati e autoblindo. All'incirca verso la stessa ora lutti i tranvieri fermarono le vetture dando così alla cittadinanza il segno palese e più appariscente ì della paralisi della vita cittadi¬ na. Analogamente avvenne per i negozi, per la massima parte degli uffici pubblici e privati, per le scuole e gli uffici giudiziari ». Calano le saracinesche delle botteghe con un fragore che riempie di gioia Ada Gobetti: « Dello sciopero nelle fabbriche eravamo tutti sicuri. Gli operai non han forse scioperato, a più riprese, in pieno e non ancora scosso regime fascista? Invece lo sciopero è stato completo, totale: anche da parte di quelle classi e categorie tradizionalmente prive di ardimento ... Era tutta la popolazione che diceva "basta" ... I tedeschi non possono certo arrestare mezzo milione di persone ». Episodi sporadici di ossequio a Salò naturalmente ci sono. In qualche scuola ad esempio, dove i presidi chiamano le brigate nere e fanno sbarrare le por- te perché gli studenti non possano uscire; o in qualche ufficio statale vigilato dai fucili repubblichini. Ma sono eccezioni. II rettore dell'Università convoca il Senato accademico e invita i colleghi a sospendere le lezioni. Gli avvocati, in maggioranza, disertano le aule; i giudici depongono le toghe. E i fascisti, che fanno? Furibondi, impotenti (malgrado le « grida » del capo della Provincia, Grazioli, c del federale, Solaro) a riportare Torino alla normalità, decidono di far circolare i tram. Un disastro. Vetture lanciate a corsa pazza che deragliano e si rovesciano. Sessanta feriti, due morti, traffico bloccato. Dal diario di Carlo Chevallard, cittadino osservatore, non impegnato politicamente: « Persino qualche donna e un bambino di una dozzina di anni si cimentano alla guida ». E il giorno dopo: « I danni maggiori li Ita avuti l'Almi non poche vetture hanno subilo avarie e molte di esse hanno dovuto essere ritirate ». Rappresaglia Ma occorre sangue, ai fascisti, per lavare la sconfitta bruciante. Alla Grandi Motori due uomini, uno di fronte all'altro: l'operaio comunista Antonio Banfo e il colonnello Cabras. comandante provinciale della Gnr. Cabras vuole convincere gli operai, sotto la minaccia dei fucili, a riprendere il lavoro Si legge nel volantino del Cln: «Banfo si fa avanti. La sua è la voce di tutti gli operai. "Noi non riprenderemo il lavoro. Bisogna che gli assassini che ci governano sappiano che non siamo disposti a tollerare ancora i massacri quotidiani di operai, di cittadini, d'intere famiglie. Noi agli assassini diciamo: Basta". Cabras si avvicina a Banfo col passo leggero della belva. Gli chiede il nome, sorride. Dice: "Banfo, ti garantisco che tu no/; vedrai più massacri". La sentenza è pronunciata». Viene eseguita alla sera, verso le 22.30. Una squadracela irrompe in via Scarlatti 4 bis, nell'alloggio di Banfo. C'è lui, la moglie, sei bambini; una figlia sposata col marito, Salvatore Melis, e i loro due figli. Gli uomini sono agguantati, trascinati via. All'alba del 19 aprile, sull'angolo di corso Novara con corso Giulio Cesare, gli operai che vanno al lavoro inciampano in due cadaveri, orribilmente sfigurati. «Banfo "tu" non vedrai più massacri». Poi la macabra farsa. Il 20 aprile il giornale riporta una delirante versione dell'omicidio di cui si dà la colpa ai comunisti. E dopo «l'ultima vigliaccheria», la ridicola smentita a proposito dello sciopero insurrezionale. Un proclama di Grazioli afferma: « Un'assoluta minoranza di comunisti al soldo del nemico ha tentato di gettare il disordine nella città, all'unico scopo di giustificare i lauti compensi ricevuti. Il movimento inconsulto è clamorosamente fallilo ». Mentre gli attacchini incollano ai muri le spudorate menzogne dell'uomo di Salò, i partigiani dell'VIII zona liberano Chieri «a sfida e beffa — scrive il comandante Barbato — delle forze nazifasciste, dotate di potenti mezzi corazzati, che occupavano Torino». E' il primo atto dell'insurrezione. I partigiani sono pronti e ormai riuniti, sotto un unico comando, nell'Esercito di Liberazione Nazionale. Aspettano, armi al piede, l'ordine di convergere sulla città. Dopo la grande dimostrazione dello sciopero, sanno con che spirito sono attesi. Nelle fabbriche le Sap (Squadre d'azione patriottica) mettono a punto i piani di difesa degli impianti, e lo stesso fa il servizio controsabotaggio del Cln affidando ai combattenti della libertà la tutela delle linee ferroviarie, dei ponti, delle centrali, delle dighe. La battaglia di Torino è cominciata. Gabriella Poli . e a e o , , o e Una foto storica: il tram rovesciato in via Nizza; i fascisti si erano sostituiti al conducente provocando 2 morti aAC