Le armate adolescenze

Le armate adolescenze Anna Banti; nuovi studi di donna Le armate adolescenze Anna Banti: « Da un paese vicino », Ed. Mondadori, pag. 252, L. 4000. I « paesi lontani » di Anna Banti, le sue storie ambientate in un passato di reperti da inventare, di frammenti da collocare in un lussureggiante luogo della memoria, o addirittura in un futuro denso di ammonimenti, hanno con i « paesi vicini », le vicende cioè ambientate nell'epoca in cui viviamo, in comune un cocciuto richiamo, che si ripete per segnalare che la chiave interpretativa di età poco affini, di mondi tanto distanti può essere raccapezzabile; ma va usata con suprema cura. Questo cocciuto richiamo, è sempre il gesto, l'espressione — nel suo senso più completo ed insieme più sfuggente — di una creatura femminile. Un gesto, o un'espressione, caparbio e scontroso: dal coraggio che sconfina nell'insolenza, dall'inquietudine che ne racconta l'ambigua trama segreta di timidezza. Da un paese vicino, ora in libreria, ci fa pensare ad altri libri di racconti di questa scrittrice, che hanno la sua inconfondibile forza di struttura, la sua prepotenza narrativa: uno studio d'ambiente, prima sotterraneo poi sem- pre più esposto, dal quale pesplode il dramma. Che può sessere benissimo rappresentato soltanto dal volto sciatto di una donna già concertista e poi lavandaia dei panni famigliari, dal vociare di un gruppo di ragazze nate « nel paese delle serve », dal fuoco nelle guance di una scappata di casa di quarant'anni fa o dalle gramaglie altezzose di una monaca infedele ad uno stato scelto per impeto giovanile. Questo per ricordare due libri della Banti, che è gran maestra di racconti: La monaca di Sciangai del '57 e Campi Elisi, del '63. Nel nuovo libro, altri « studi di donne»: che si animano fino alla distruzione, sparpagliando temerarie scintille. In quel covo allucinato « dove — dice Giulio Cattaneo nell'attraentissimo risvolto — le nevrosi contano più dei fatti » che è la casa di « Insufficienza di prove » (una casa che precipita in un sogno dove l'omicidio appare irreale di sogghigni e di bisbigli), non è certo l'adolescente contestatore che viene depredato della vita, delle fantasie dell'età giovane, ma la labile, innocentemente voluttuosa Mariella; la mamma, la figlia e la nonna di « Parole sul filo » attraverso la smozzicatura dei ri- eqpcmueTv cordi (che li rende semmai più brucianti) si pungono e si rintuzzano l'una con l'altra e perfino l'una nell'altra, in quel processo alterno di sopraffazione di mortificazione che le imparenta in un legame di cellule che trascinano un'eredità intaccata, falsificata dalle generazioni. Assai bello, il racconto intitolato: «Un lungo rancore». Ci fa tornare alla mente, leggendolo, — è ambientato a Genova — la Genova dove si esprimevano tre altre « signorine », tra le quali spiccava Teresa, un personaggio bantiano esemplare, di quelli che la scrittrice considera ricchi di una «armata adolescenza», che eleggono la fuga o la morte a protesta contro tutto ciò che è contesto intolle rabile di una vita dominata da formule oppressive (ci riferiamo a « Inganni del tempo », del '40). In «Un lungo rancore », in una Genova dove il vento e il sole sembrano trabocchetti e il porto un luogo per fuggire lontano, si consuma la storia di due famiglie, una modesta e l'altra benestante, alle quali gli eventi invertiranno la posizione sociale: mutandone, con la fortuna, pretese tic e sentimenti. Spiccano anche qui tre signorine che vivono chi di astio chi di ricordi chi di sulfuree manie e di aggressivi lampi di gelosia. La giovinezza non ha presa su di loro: la fine della seconda guerra mondiale — alleati, scatolette, illusioni — le vede ormai spente, anche se la più forte, Mariuccia, riesce, morta a metà, a cavare dai suoi rancori un dispettoso attaccamento alla vita che coltiva in nevrotiche severità claustrali. Ma la « signorina » che più fa meditare su quel gesto simbolico, su quell'espressione femminile che guida tutti i racconti e i romanzi dell'autrice di Artemisia, uno dei più meritatamente lodati romanzi del Novecento, è la protagonista dell'ultimo racconto che chiude, come a sigillarla con una riprova di accorato coraggio, la raccolta. Ha per titolo, appunto, « La signorina ». Vi appare ima donna riottosa eppur timida di fronte ad una situazione che la vorrebbe impegnata in un ruolo laterale, anche se non privo di preziosi riverberi, e che vede sorgere dentro di sé, dalle indistinte vocazioni dell'adolescenza, quello che sarà l'assunto della sua vita. A misura del suo carattere, di una sua poco clamorosa ma per questo più appassionata fedeltà rivoluzionaria. Rossana Ombres

Persone citate: Anna Banti, Banti, Giulio Cattaneo, Rossana Ombres

Luoghi citati: Genova, Sciangai