America, l'odiato modello di Mario Bonini

America, l'odiato modello America, l'odiato modello L'Urss ha scoperto la sociologia e giudica le rivolte studentesche dell'Occidente Igor Kohn: « La contestazione studentesca », Ed. Teti, pag. 167, lire 2500. C'è un vezzo, o complesso, o stimolo competitivo che nel vivacissimo linguaggio parlato americano è chiamato metooism o anche me-toomania (evidenti, in questo caso, l'allitterazione e la rima con muthomania. « mitomania »). E' in parole nostre, la « mania del-pure-io », il desiderio di dimostrare che non si è da meno degli altri, amici o rivali. Il vicino ha comprato ima nuova falciatrice da giardino? Bisogna subito comprarne un modello altrettanto sofisticato. La casa concorrente monta sulle sue automobili un nuovo tipo di carburatore? Occorre immediatamente brevettarne tino simile o anche più avanzato, e reclamizzarlo. Il mondo sovietico, tanto lontano per molti versi da quello statunitense, sembra averne preso a prestito, almeno sul piano del confronto esterno, questo carattere saliente, tipico d'una società ove la competizione, l'iniziativa, lo status symbol sono valori per-1 manenti, che resistono a ogni rivolta culturale, generazionale e di costume. Un settore ove l'adozione del modello è stata tardiva è quello delle scienze sociali, e, più propriamente, della sociologia. Nell'era staliniana la sociologia era condannata in blocco come scienza o pseudoscienza « borghese », strumento delle classi dominanti per meglio asservire, studiandole come un entomologo studia la vita delle api o uno zoologo quella dei castori, le classi dominate. Seguì il disgelo, via via che il crescere della società sovietica rendeva evidente che per studiare, sorvegliare e incanalare questa crescita non bastavano le armi teoriche della scienza economica. E oggi anche l'TTrss può vantare una sua scuola sociologica. Uno dei primissimi documenti di questo risveglio tradotti in italiano è lo studio di Igor Kohn, accademico non ancora cinquantenne, sulla contestazione giovanile in Occidente, fenomeno al quale il mondo ufficiale sovietico ha sempre guardato con circospetta diffidenza. L'aspetto più singolare dell'opera è che in essa l'osservazione e l'analisi, spesso corrette, della rivolta studentesca inaugurata dai moti di Berkeley e propagatasi in pochi anni in tutti gli atenei del mondo occidentale, procedono di pari passo con una polemica puntigliosa e a volte altezzosa con i sociologi « borghesi », rei dn un primo tempo di non aver pre| visto l'esplosione e poi di averla mitizzata e piegata a un'interpretazione strumentale, tendenziosa, « di classe ». Ma è un'accusa che si potrebbe facilmente ritorcere contro l'autore, il quale a sua volta si guarda bene dall'uscire dalla propria corazza ideologica. La tesi è evidente e preesiste alla raccolta e all'esame dei dati: la rivolta studentesca degli Anni Sessanta e dell'inizio degli Anni Settanta (l'indagine si arresta qui e non tiene conto degli sviluppi successivi, letargo da un lato, ulteriore radicalizzazione e parcellizzazione dall'altro) segno, secondo Kohn, della presa di coscienza, da parte degli studenti e degli intellettuali in genere, di una condizione sempre più subalterna, che « li avvicina sensibilmente... alla classe operaia » Il sociologo sovietico, insomma, non perde d'occhio Marx, e il Marx più profetizzante e meno « scientifico ». Curioso è poi che egli consideri negativo e alienante, per esempio, il fatto che mentre negli Anni Venti solo il 9 per cento dei redattori e collaboratori di piccole riviste letterarie degli Stati Uniti lavorassero anche come insegnanti, negli Anni Cinquanta la percentuale di redattori e col-1 laboratori « legati alle università e ai colleges » fosse salita al 40 per cento. Anche più curiosa è la distinzione, esemplarmente umanistica, fra intellettuali «produttivi» (ricercatori, ingegneri, tecnici, insegnanti) e intellettuali « creativi » (scrittori, artisti). Il cimento più arduo per Kohn è la definizione del carattere « di classe » dei movimenti universitari e giovanili. Non potendo assimilare d'un tratto il ceto studentesco a una classe ben definita, cosa che nessuno dei teorici del marxismo aveva ipotizzato, l'autore si destreggia fra l'ammissione che gli studenti «rappresentano incontestabilmente una comunità sociale specifica » grazie anche al « concentramento nelle città universitarie » e a « una certa comunanza d'interessi dì gruppo», e l'enunciazione che gli studenti non possono essere considerati una classe sociale perché «non hanno rapporti specifici con i mezzi di produzione e non oc cupano un posto indipendente nella produzione ». Meno schematica è l'analisi quando l'autore prende in esame il groviglio ideologico che ha caratterizzato la rivolta studentesca. «Questo curioso amalgama d'elementi di marxismo (il giovane Marx, interpretato secondo lo spìrito romantico, è particolarmente popolare), d'anarchismo, di Freud, di Marcuse, di Trockì] e di Mao è all'origine di costruzioni ideologiche del tutto fantastiche ». Ma anche qui il rimedio suggerito per porre fine a questo variegato utopismo è troppo semplicistico: « La stretta unione con il mo vimento operaio e la sua avanguardia comunista ». In America e in tutte le so cietà avanzate dell'Occidente è in corso da decenni un processo di terziarizzazione che erode sempre più l'egemonia e la stessa identità rivoluzionaria della classe operaia; e anche in paesi ove il partito comunista detiene saldamente una funzione egemonica nel movimento operaio, come in Italia, è piuttosto il partito comunista ad accostarsi ai ceti intellettuali che l'inverso. Mario Bonini

Persone citate: Freud, Igor Kohn, Kohn, Mao, Marcuse, Marx

Luoghi citati: America, Berkeley, Italia, Stati Uniti, Teti, Urss