La mano di Mao al nemico Ciang di Paolo Vittorelli

La mano di Mao al nemico Ciang Un lontano colloquio su una soluzione per Formosa La mano di Mao al nemico Ciang Quando vennero ad avvertirmi di rientrare subito a Pechino mentre assistevo ad un balletto di bambini di una scuola materna, in una comune popolare vicino alla capitale cinese-, fui quasi seccato. L'invito a partire era avvolto nel solito mistero. Non mi si disse né perché sarei dovuto rientrare, né chi avrei dovuto vedere. Dallo sguardo di chi fece sospendere lo spettacolo compresi che doveva trattarsi di questione importante. In albergo, il mio amico Saverio Sunianiello, addetto commerciale a Hong Kong, il quale aveva ideato e preparato il mio viaggio a Pechino, per tentare di normalizzare le relazioni diplomatiche, mi disse che ci aspettava Mao. L'invito era stato rivolto anche a lui, sebbene egli si trovasse ufficialmente a Pechino per ragioni diverse dalle mie, ossia per risolvere alcune questioni di ordinaria amministrazione relative alla partecipazione italiana lilla fiera di Canton. Santaniello mi disse subito che ci sarebbe venuto anche lui. Un'occasione come quella, di conoscere Mao, non si sarebbe presentata una seconda volta nella vita. Pazienza, se questo lo avesse compromesso. E difatti lo compromise. Eccome. La mattina dopo, sul Gemingibao, in prima pagina, di spalla, e sul resto della stampa cinese (lo potei appurare da un giornale che vidi poi a Canton) c'era mia bella foto di Mao con noi due ai Uni. L'incontro con Mao era tuttavia sganciato dalla mia trattativa, già conclusa due giorni prima con successo, anche se l'accordo per la normalizzazione commerciale fu formalmente siglato soltanto qualche mese dopo a Roma in condizioni abbastanza rocambolesche. Mao voleva solo sottolineare con quell'incontro, largamente pubblicizzato in Cina, che anche l'Italia, pochi mesi dopo la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Francia, intendeva procedere alla normalizzazione dei propri rapporti con la Cina. Era il 2 giugno 1964. L'incontro si svolse in un salone dell'Assemblea nazionale. Si parlò anche del significato politico del primo accordo fra l'Italia e la Cina. Ma la conversazione si svolse poi su una serie di altri temi. Mi ero accorto che i cinesi erano sensibilissimi alla cosiddetta questione delle «due Ci¬ ne», che un gruppo di studiosi americani vicini a Kennedy aveva idealo un unno prima per risolvere il problema dei rapporti con la Cina popolare. Guai a parlare di due Cine. La Cina era una sola ed era la Repubblica popolare cinese. Mi ero servito, durante le mie conversazioni, di un argomento of, jertomi dalla mancanza di una ! ambasciata d'Italia a Formosa. Era quasi un caso, perché l'assenza di un'ambasciata a Taipeh si doveva al fallo che l'ambasciatore italiano dell'epoca a Ciung King, ultima capitale continentale di Ciung Kai-scek, non aveva avuto alcuna fretta né ad andare a Ciung King, né, successivamente, ad andare a Taipeh, capitale di Formosa. E così non avevamo rappresentanza né a Pechino né a Taipeh, essendo di fatto tra i pochi a non avallare materialmente la teoria delle due Cine. Volli provocare Mao per conoscere il suo pensiero sulla questione. Gli domandai che cosa sarebbe accaduto a Ciung Kai-scek se fosse tornato in Cina. Mao, che capiva il francese, ma che attendeva per rispondere la traduzione in lingua cine¬ se, accolse con molla calma la mia domanda. Rifletté un momento e poi rispose: «Se Ciang Kai-scek tornasse in Cina come cittadino fedele alle istituzioni della Repubblica popolare cinese, non gli sarebbe torto un capello. Potrebbe vive- re tranquillamente in qualunque parte della Cina. Anzi potrebbe vivere perfino a Taiwan, se egli lo preterisse. Purché rispettasse ie leggi e il governo della Re- pubblica popolare cinese potreb- be anche lavorare, volendo. Potrebbe perfino diventare governatore di una nostra provincia». Potrebbe diventare governatore di Taiwan?, gli domandammo. «Perché no? Sempre beninteso, nel rispetto della sovranità della Repubblica popolare cinese, di cui Taiwan è parte integrante». Supponiamo — dicemmo ancoru noi — che Ciang Kai-scek fosse governatore di Taiwan, nel quadro della Repubblica popolare cinese, il governo cinese Paolo Vittorelli (Continua a pagina 2 in sesta colonna)