Come sa morire re Bérenger

Come sa morire re Bérenger La commedia di Ionesco al Gobetti in versione francese Come sa morire re Bérenger Non s'assomigliano affatto, o vagamente, e tuttavia il volto da vecchio clown di Ionesco affiorava l'altra sera dalle rughe, altrettanto clownesche nel trucco, dell'attore Jacques Mauclair che sul palcoscenico del Gobetti incarnava il per- sonaggio o, meglio, la ma- [ schera di re Bérenger I — lcioè, con una perifrasi presa | alla lettera: «l'uomo re del creato» — nella pièce dello scrittore franco - romeno Le roi se meurt. E poiché il Bérenger del Re muore è profondamente autobiografico, ancor più del Bérenger di Sicario senza paga e del Rinoceronte, si poteva avere l'illusione che alla ribalta ci fosse l'autore stesso. Ionesco è di casa al Gobetti (anche fisicamente: lo ricordo l'ultima volta nel foyer del teatro, seduto su un divanetto rosso come un bonzo con gli occhi di fauno, con un bicchierone di whisky per terra davanti a lui), dove si sono avute le prime rappresentazioni italiane di Sicario senza paga, del Gioco dell'epidemia e, appunto, del Re muore, nel 1963, a nemmeno un anno di distanza dalla prima assoluta a Parigi nell'allestimento di Jacques Mauclair che è poi quello che il Centro culturale italo-francese e lo Stabile di Torino hanno presentato lunedì, pcmsriggio e sera, a un pubblico foltissimo e largo di meritati applausi. Senza voler istituire un confronto tra questo spettacolo e quello diretto tredici anni fa da José Quaglio con l'interpretazione di Giulio Bosetti, basterà dire che Mauclair sembra preferire i toni comici e grotteschi, con qualche parentesi lirica, mentre Quaglio aveva impostato la ì I j j j | sua regìa, e Bosetti la sua interpretazione, su un'ipotesi (o un'illusione?) di dramma. Se mai, è più interessante sottolineare come l'edizione francese, che si avvale delle scene e dei costumi di Jacques Noel (le musiche sono di Georges Delerue), possa apparire spoglia e «povera» rispetto a quella italiana, imponente e fastosa nelle scene e nei costumi di Luzzati, che poi, si badi bene, tra i nostri scenografi non è davvero uno dei più sfrenati e più costosi. Tant'è: in Francia, anche per una prima importante, non ci si preoccupa troppo dell'allestimento, si preferisce puntare sulla recitazione. E come sta II re muore? S'intende drammaturgicamente, poiché per il resto, si sa, è uno sfacelo: un reame che si spopola, rimpicciolisce a vista d'occhio, si spalanca in abissi, una reggia che cade a pezzi, un sovrano che, nel giro di un'ora e mezzo (alla fine dello spettacolo — viene subito annunciato — il re morirà), incanutisce, s'incurva, si rattrappisce, svanisce nel gran nulla. Ma il dramma si regge ancora nella sua delirante progressione, nel disperato corpo a corpo di un uomo contro la morte, e si resta ancora presi nel vortice di un linguaggio rigoroso e vigoroso che tuttavia, qua e là, si distende in litanie senza nessi, svaria in arguzie senza sale, si tuffa nel luogo comune e nel non senso, proprio come le prime commedie di Ionesco da molti considerate tuttora come le sue cose migliori. Ma non è ora il caso di riaprire il discorso su un'involuzione che sarà abbastanza evi- ' dente nei lavori successivi (e U\ recente Che formidabile 1 bordello! lo ha confermato) ! ma che nel Re muore, da qualcuno considerato il capo ! iavoro di ionesco, era tutt'al- tro che in atto. D'altronde, anche se nel testo vi fossero già alcune crepe, questo spettacolo riuscirebbe benissimo a nasconderle tanto è fluida e ben concertata la recitazione di tutti: dall'eccellente protagonista a Berangère Dautun e Pascale Audret, che sono le due regine, da André Thorent, sapido e cinico medico di corte, a Claude Dereppe e Moni- mie Mauclair. a. bl.

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