Buon governo per le città di Carlo Casalegno

Buon governo per le città IL CASO DI GENOVA Buon governo per le città Neppure una settimana dopo che i partiti di centro-sinistra avevano raggiunto un compromesso realistico e responsabile sulle misure contro la criminalità e la violenza politica, l'accordo «frontista» per il Comune di Genova e i problemi aperti da alcune amministrazioni locali hanno suscitato nuove difficoltà — inquietanti, anche se non mettono in discussione la sopravvivenza del governo — per l'alleanza quadripartita. Sembra assurdo, pensando che fra due mesi si rinnoveranno tutte le amministrazioni; ma proprio l'avvicinarsi del voto esaspera i contrasti, e stravolge in grave fatto politico anche minori episodi di vita municipale. Così il pasticciaccio brutto di Genova, con la scelta di un'effimera giunta socialcomunista, senza avvenire e senza maggioranza, dovuta alle beghe locali del psi e non a una scelta ideologica o a direttive da Roma, ha scatenato una tempesta; pronta rappresaglia democristiana, polemiche, appello ai grandi princìpi. Il Popolo non ha esitato a denunciare la «minaccia alla democrazia»; l'Unità ha esaltato in toni trionfalistici la «logica democratica» del ritorno dopo 24 anni alla santa alleanza popolare; e VAvanti! sta difendendo l'autonomia delle scelte, prendendo le distanze dal pei come dalla de. Sono indicazioni, minori ma chiare, di quello che avverrà nella campagna elettorale. Anche se tutte le previsioni ragionevoli concordano nell'affermare che dopo il 15 giugno sarà inevitabile il ritorno all'alleanza di centro-sinistra, perché non si attendono massicci spostamenti di suffragi neppure dal voto dei diciottenni, e perché gli schieramenti parlamentari non consentono formule alternative di governo, appare evidente che la propaganda elettorale condurrà a scontri aspri tra gli alleati della maggioranza. Sarà dura soprattutto la battaglia tra de e psi; per calcolo opportunistico e per l'esistenza d'un profondo dissidio. La segreteria democristiana sembra puntare risolutamente a un ricupero di voti a destra, come consentono la debolezza de] pli e il fallimento della strategia di Almirantc; e affronta la campagna con molta baldanza, nella convinzione che il partito abbia superato il periodo più nero della crisi. I socialisti sono risoluti a sfruttare fino in fondo le occasioni offerte dalla «nuova Italia» rivelatasi con il referendum sul divorzio, e vogliono accrescere la loro presenza per trattare con la de da posizioni di forza. Non rinunciano a chiedere né un rapporto privilegiato con i democristiani, né un salto di qualità nella politica di centrosinistra: Nenni lo ha ripetuto negli ultimi giorni con grande vigore. In questo dissidio s'inseriscono le pattuglie esigue ma combattive dei socialdemocratici, esasperandolo per motivi di concorrenza e d'orientamento: Orlandi ha sparato sulla giunta di Genova con maggior intransigenza di Fanfani. Così nella campagna per le amministrative si parlerà molto, ancor più che in passato, dei grandi temi politici: il Portogallo, l'offerta comunista di compromesso storico, la restaurazione della legge. Piccoli ha riconosciuto lealmente che l'ordine pubblico sarà l'argomento centrale della propaganda de: presenta dei rischi, ma risponde a preoccupazioni diffuse e può dare frutti abbondanti. E' un vecchio vizio italiano quello di far entrare nella vita amministrativa i grandi princìpi e la politica del mondo; tuttavia questa volta nessuno potrebbe togliere alla consultazione un significato politico. Si è a metà d'una travagliata legislatura, l'alleanza quadripartita resiste a fatica; si vive in uno stato d'incertezza, tra governi a termine e rischi di rottura, che impone un controllo elettorale. Anche l'inquietudine della situazione europea carica di significato politico il voto italiano. C'è da temere che sia assente dalla campagna, o almeno che venga respinto ai margini, quello che dovrebbe essere il tema centrale di queste elezioni: il buongoverno di Comuni, Province e Regioni. E il bilancio degli ultimi anni è fallimentare. Quasi tutte le grandi città hanno amministrazioni deboli o provvisorie, spesso per le beghe interne in uno stesso partito o le faide tra piccoli uomini: Torino èlgsln è vissuta per mesi nel vuoto, Milano ha conosciuto lunghi travagli, Venezia attraverso il «minicompromesso» con il pei ha sfiorato la gestione commissariale, in Napoli non si sono mantenute le promesse di risanamento, Roma soffoca sotto i debiti... Le Province sopravvivono, senza gloria né utilità, alla riforma regionale. E le Regioni crescono maluccio tra vacanze della legge, ritardi nei finanziamenti, resistenze burocratiche, crisi che ripetono in venti piccole capitali gli aspetti deteriori della politica romana. Né le regioni e città « rosse » vanno immuni da censure. Sappiamo che neppure una classe dirigente tutta formata da altrettanti Cavour e Quintino Sella potrebbe risolvere in tempi brevi i problemi angosciosi di città cresciute nel caos della grande rivoluzione urbana postbellica, di Regioni investite più di poteri teorici che di mezzi per lavorare. Ma la buona, onesta amministrazione degli enti locali, al riparo delle pratiche clientelati e delle faide, con l'occhio più attento ai conti in ordine che alla grande politica, farebbe miracoli per la ripresa del Paese. Questa è la prima e più urgente riforma. Per realizzarla, occorre rispettare due condizioni: dare la priorità all'efficienza e alla correttezza amministrativa sui problemi di schieramento, premiare con il voto gli uomini migliori e convincerli a non disertare l'amministrazione per la carriera parlamentare. Fino a che i politici non capiranno che un buon sindaco vale più di un anonimo deputato, le città non usciranno dalla crisi. Carlo Casalegno

Persone citate: Cavour, Di Genova, Fanfani, Nenni, Orlandi, Quintino Sella