Essere cristiani

Essere cristiani RICORDANDO PIER GIORGIO FRASSATI Essere cristiani Si commemora oggi a Torino Pier Giorgio Frassati: ricorre quest'anno il cinquantenario chlla morte, seguita nella città il 4 luglio 1925. Il ricordo di lui è sempre vivo, non nel solo Piemonte; è stato trasmesso dalla generazione che lo ha conosciuto a quella che nel '25 non si era ancora affacciata alla vita. Nome popolare e caro non solo negli ambienti degli universitari cattolici, della gioventù cattolica in genere, ma, almeno in Piemonte, tra i poveri, tra quanti si occupano di beneficenza. L'esistenza di questo giovane, sano, prestante, forte, appassionato della montagna, allegro e scherzoso, ma fermissimo nella sua fede, instancabile nelle opere di bene, costituì oggetto di ammirazione e meditazione — a parte la pietà per quella fine in pochi giorni, a ventiquattro anni, quando tutto sembrava sorridergli — anche da parte di uomini lontani da ogni credo religioso, comunque dalla pratica cattolica, intensamente seguita da Pier Giorgio; alla sua morte scrissero belle pagine Filippo Turati, Mario Soldati, e più tardi, Luigi Ambrosini, Guido Piovene. E si comprende che la figura di Pier Giorgio abbia colpito uomini tanto diversi. Essa si proietta in una luce differente da quella che illumina la più gran parte delle agiografie. In queste il più delle volte l'avvio alla perfezione è dato dall'ambiente, la nascita in una famiglia molto devota; altrove, da eventi straordinari, pericoli da cui si è salvati quasi miracolosamente; oppure dalla visione di epidemie e stragi; quando non è così, da una reazione violenta all'ambiente, i figli di re che divengono mendicanti. Nulla di ciò, qui; per il credente, il fluire misterioso .'.ella grazia. Nasce e cresce in famiglia agiata, di non particolare devozione religiosa, in politica inserita nettamente nell'ambito liberale dell'inizio del secolo, vigile contro ogni rivendicazione ecclesiastica: la vita pubblica all'insegna della laicità. Non mostra insofferenze, reazioni, contro l'ambiente familiare, anzi sembra trovarvisi molto bene: alla madre lontana scrive con accenti quasi infantili di come avverta la sua mancanza, come senta il bisogno di averla vicina ad ogni ora; quando la sorella parte sposa, scoppia in un pianto irrefrenabile; tenerezza per la 'onna, per una zia (sta però che nessuno dei congiunti ostacola od è men che rispettoso della sua intensa pratica religiosa); neppure ostenta preoccupazioni, sforzi di conversione verso il padre, direttore del giornale La Stampa, non anticlericale, ma certo liberale e laico; né cerca attrarre la sorella, minore di lui di un anno, né la madre né altri parenti, a dividere il suo apostolato per i poveri, le sue veglie di preghiera. Per i familiari come per gli amici opererà con l'esempio, non assillando con rimproveri ed esortazioni. Ma fin dalla infanzia accoglie nel cuore i due grandi amori del cristiano — del vero cristiano, non di chi è soltanto un battezzato — Dio ed il prossimo; e prossimo sono tutti quelli che soffrono, anzitutto i poveri. Pier Giorgio, di famiglia ricca, sarà sempre senza un soldo in tasca, perché dà tutto a chi versa nel bisogno; lo s'incontrerà carico di pacchi, mentre va a soccorrere i suoi Doveri; l'ultimo pensiero sarà volto a che con la sua scomparsa non restino senza un soccorso immediato quelli che si accingeva ad aiutare. La sua ricreazione è la chiesa, la preghiera fervente del fedele, che ha il dono di avvertire che Dio ascolta le sue preghiere e risponde. Non crisi né esitazioni né dubbi; e serenità sempre. Un dono della grazia, ma una risposta, l'accettazione. Accettazione del ruolo voluto dall'Alto, delle rinunce che esso importa. Ripeto, stato di grazia. Perché Pier Giorgio è un bel giovanottone, appassionato della montagna, buontempone, proclive alle scherzo. Non mostra mai quell'assillo, comune ancora ai giovani cattolici della sua generazione, che è costituito dalla paura delle tentazioni carnali, la donna pericolo sempre incombente. Ha buone compagne, alcune buone amiche; ma mai ombra di sguaiataggine, mai un momento di dimenticanza: non c'è una lettera che scriva ad amici od amiche in cui non sia un richiamo a valori cristiani. E' appassionato della montagna, ricercatore e contemplatore di opere d'arte; pratica l'equitazione. Forse non lo attraevano ricevimenti e balli; ma certo avrebbe amato lunghi viaggi, esplorazioni su nuove catene di monti. Incombeva però sempre su di lui la missione (di cui mai parla, e forse neppure intcriormente pronuncia questo vocabolo), soccorrere chi soffre. Il padre gesuita Karl Rahner ha scritto di Pier Giorgio: «Quel che colpiva in lui era la sua purezza, la sua gioia raggiante, la sua pietà, la sita libertà di figlio di Dio per tutto quello che c'è di bello nel inondo, il suo senso sociale, la coscienza che aveva di condividere la vita e il destino della Chiesa. Ma quello che più stupisce è che tutto questo appariva in lui cosi naturale e di una spontaneità così calda e virile!». Il dono della grazia, data misteriosamente in più o mene larga misura. E' il dono della grazia quello che gli può fai scrivere in una lettera del sue ultimo anno di vita: « Ogni cattolico non può non essere allegro; la tristezza dev'essere bandita dagli animi cattolici, il dolore non è la tristezza, che è una malattia peggiore di ogni altra... lo scopo per cui noi siamo stati creati ci addita la via seminata sia pure di molte spine, ma non una triste via; essa è allegria anche attraverso i dolori ». Questa figura di cristiano appare veramente singolare, a parte quella mancanza di cui si è detto, delle origini di una vita intensamente religiosa che sogliono riscontrarsi nelle vite dei santi. Perché sotto certi aspetti, di pratica del culto, di scelta delle devozioni, di predilezione per date chiese o santuari, non solo è legata al suo tempo, ma potrebbe anche connettersi ad una religiosità dominante qualche lustro prima. Non escluderei che oggi un cattolico di quella tempra venisse chiamato integralista, ricordando che in una sua lettera Pier Giorgio vorrebbe il solo matrimonio religioso, escludendo quello civile; quanto meno, precorrendo il Concordato, che non è ancora nell'aria — né egli sembra prospettarsi la possibilità, che forse lo sgomenterebbe, che Chiesa e fascismo si pongano d'accordo — vorrebbe che il matrimonio religioso sortisse effetti civili. Certe manifestazioni di cattolicesimo a viso aperto — i lunghi saluti passando dinanzi ad ogni chiesa — oggi poi parrebbero persino ostentate; e sono connesse alla reazione all'anticlericalismo ancora tanto diffuso nella sua generazione, e più nella generazione dei suoi genitori. Una reazione al «rispetto umano», alla paura di apparire un paolotto, comune anche a chi in cuor suo deplorava certe manifestazioni di anticlericalismo becero. Scorgere tali forme di aperta dichiarazione di fede in un gio vane i.ella posizione sociale di Pier Giorgio poteva incutere coraggio a più d'uno. Ed è della sua generazione reagire a questo anticlericalismo, appassionarsi per le belle adunate di giovani cattolici, che portano i loro vessilli; è della sua generazione il sollievo nel vedere finalmente sorto in Italia un partito che si dice cristiano e manda i suoi deputati, numerosi, in Parlamento; e soffrire quando vede il fascismo affermarsi come partito unico e nella sua logica mostrarsi ostile alle organizzazioni di azione cattolica; sicché avrà atti di fierezza, dimissioni da circoli cattolici che amava, allorché questi crederanno di dover compiere atti di omaggio al vincitore del momento. Non saprà perdonare a certi zelanti di un cattolicesimo fascistizzante, che pungoleranno anche le autorità ecclesiastiche e disobbediranno quando trovino vescovi restii a piegarsi. Ma sotto altri aspetti anticipa i tempi; così nel rinnegare ogni fonila di bigottismo (lo sdegno perché l'Opera di S. Vincenzo ha abbandonato una povera famiglia, perché una figlia non teneva buona condotta); così, se ancora non si avverte l'ecumenismo, quel senso del corpo mistico, del non dover pensare soltanto alla salvezza della propria anima, ma alla salvezza di tutti; così nel desiderio di giustizia sociale. Rispettosissimo della gerarchia, intende conservare quanto possibile di libertà; avverte la necessità di disporre interamente della sua giornata, di potersi muovere, dirigere le sue scelte nelle opere di bene. Si sente portato verso l'apostolato laico: come Ozanam, ma senza aspirare a cattedre né a scrivere libri di apologetica; quel ch'e6li vuole è operare; darà l'esempio, anche se nella sua modestia non pensi mai 1 proporsi come modello. Anticipa il suo tempo non solo nella socialità, ma anch; nel senso del rispetto della libertà altrui. Si è detto come in famiglia non cerchi mai di fare opera di proselitismo; gli ripugnerebbero comportamenti tenuti solo per il desiderio di compiacerlo; non è della sua mentalità dire (come molti cattolici diranno, e potranno giustificarsi con illustri esempi): prima la pratica, poi seguirà il bisogno di questa, da ultimo verrà anche la fede. Rispetto costante del sentire altrui; ma sente veramente calore solo quando è con altri che dividono la sua fede; la comunità dei credenti in Cristo è sempre sentita da lui, prima con il cuore che con il pensiero. Nel periodo che passa in Germania allorché il padre è ambasciatole d'Italia a Berlino, visita con gioia tutto il Paese, ricerca le opere d'arte, ma si assicura un confes-jre che comprenda bene l'italiano, non fidandosi ancora della sua padronanza del tedesco; abita volentieri quando può in un pensionato tenuto da suore; le conoscenze che predilige sono quelle per giovani impegnati nel movimento cattolico. In quegli anni apprese ad amare molto la Germania: che credo scorgesse come nazione dal forte sentire religioso, dove la teologia non era considerata, come in Italia, un relitto del passato, dove il fattore religioso aveva per il popolo una importanza quale mai aveva rivestito in Italia * ★ Tale fu Pier Giorgio Frassati. La sorella Luciana ha fatto la possibile luce, sulla base di ricordi, di testimonianze, di lettere, di scritti rimasti, su questa vita, veramente intemerata ed esemplare. Sta per uscire il volume, nelle edizioni Studium, I giorni della sua vita ove la sorella ha raccolto con grande affetto, ma sempre con aderenza alla realtà, senza voler scrivere un'apologia, ogni dato atto a far comprendere Pier Giorgio; volume che termina con le penosissime pagine, della morte di lui, colpito da un attacco di poliomielite tardi diagnosticata e contro cui comunque allora non si avevano a portata di mano rimedi. A cinquantanni di distanza, in un mondo profondamente mutato, la sua figura, astraendo da ogni elemento contingente, di contrasti politici, di prospettive di mutamenti di regimi e pur di orientamenti ecclesiastici, dà un insegnamento che può valere in ogni tempo. Quello dell'abbandono fiducioso, del «sia fatta la volontà di Dio» — che può pronunciare nella sua sostanza, sia pur mutando i termini, anche il non credente in un Dio personale che segue ciascuno di noi, sol che accetti l'idea che l'uomo è inserito in un meccanismo che gli è inconoscibile e di cui le realtà fisiche non sono che una parte, e che questo meccanismo non è cieco —; quella volontà di essere sereni, di compiere il proprio dovere senza sgomen to. « Fa quel che devi, avvenga quel che può»; tutte queste esortazioni, abbiano o meno un fondo religioso, sostanzialmente convergono: dimenticare se stessi, pensare agli altri; avere una volontà di bene; non sentirsi pezzi di legno in balìa delle onde, ma parti coscienti del proprio compito, anche se inseriti in un meccanismo troppo più grande di noi. Il « non essere tristi » di Pier Giorgio, il prodigarsi, l'essere di esempio senza mai cadere nella contemplazione di se stessi, sono direttive che valgono per tutti. Dobbiamo immaginarlo quanti non lo conoscemmo, al principio di ogni sua giornata, e svegliandoci al mattino rievocarlo, e proporci che la giornata che comincia sia per noi non troppo dissimile da quella che sarebbe stata per lui. A. C. Jemolo

Luoghi citati: Berlino, Germania, Italia, Piemonte, Torino