Neutralità bella ma scomoda

Neutralità bella ma scomoda Come vive l'Austria tra i giganti dell'Est e dell'Ovest Neutralità bella ma scomoda (Dal nostro invialo speciale) Vienna, 5 aprile. Dalla ione affilata sul Danubio, quando il vento pulisce il cielo, la piatla puszta ungherese segna il filo dell'orizzonte. I Balcani — diceva Mettermeli — co- fldgsminciano a Erdberg. la periferia i di Vienna. Ma gli austriaci, og-1 gi, hanno occhi solo per l'Occi dente. 11 Trattato di Stato del '55 ha fissato in forma costituzionale la neutralità dell'Austria, ripetendo il ricordo di Yalta con la firma delle potenze vincitrici: nel salone del Belvedere. Dulles. Molotov. Eden e Pinay siglavano la fine della guerra e lappavano i lunghi canali dove Rccd e Welles avevano mimalo il tragi- ! co gioco delle necessità internazionali. Da allora, stima, cortesie e scambi commerciali vengono spartiti con misurala equidistanza tra Est e Ovest: ma il costume, i modelli di vita, la collo- cazionc geopolitica pretendono j d'esscre quelli della vecchia Eu- ropa. ! Nata da un'operazione ehirur- gica sovrannazionalc, nel 19181 l'Austria dell'imperatore Carlo j era soltanto ciò che restava do- po la dissoluzione della doppia monarchia e la formazione degli Stali successori: Iugoslavia. Polonia. Romania. Cecoslovacchia e Ungheria. La massiccia corona del Sacro Romano Impero con- j servata nel salone di un'ala del- j l'Hofburg ricordava un passale grande ed epico ad una realtà di sfacelo e d'assenza di peso politico internazionale: e YAnschhtss, dopo la nuova, misera ; repubblica, apparve il miglior risarcimento al trauma della storia. Invece, fu proprio la sconfitta del nazismo a guarire l'Austria dal suo complesso d'inferiorità e a darle misura consapevole della nuova 'calta: la classe politica formatasi nella clandestinità e nell'esilio apprese l'insegnamento dell'occupazione militare postbellica ed ebbe tempo di maturare una «scelta di campo» che l'accordo dei vincitori sulla neutralità del Paese non ha potuto modificare. L'Austria sconta questa neutralità con una sottile forma di .sciatteria, di compiaciuto e disordinalo grigiore; non ha le tradizioni storiche di disimpegno della Svizzera né la condizione d'una scelta volontaria come la Svezia. Ha solo un dovere politico, e lo accetta con quieta indifferenza, assopita da un'abitudine al rischio degli instabili cqulibri politici internazionali. 11 suo neutralismo è il più esposto, forse, nella linea di tensione che scorre. Ira Oriente e Occidente, nella vecchia Europa: nessun'altra area è tanto inserita all'interno del blocco di Varsavia, nessuna è tanto soggetla all'influenza di Bonn e agli sviluppi incalcolabili dello scacchiere balcanico; ma invece di ripetere le compiacenze della Finlandia, volge le spalle al grande centro di pressione orientale e sceglie gli atteggiamenti più decisi perdifendere il proprio ruolo: il Cancelliere, per esempio, è voluto andare nella comunista Budapest, per comunicare da li il suo rifiuto a una proposta sovieti- ca d'ingresso nel Comecon. Czernetz. l'anziano deputato responsabile della politica estera nella Spò, dice: «Noi siamo un Paese nano, posto strategica' mentre tra due giganti. La no- stru politica è basala su una convinzione: nessuno dei due giganti può calpestarci senza pestare i piedi anche all'altro gigante. Può sembrare a qualcuno un eccesso di ottimismo; ma noi siamo ottimisti, e profondamente: se non lo fossimo, non ci saremmo liberali dell'occupazione straniera». Nella vecchia Vienna ancora spartila tra i seliori militari dei Paesi vincitori. Czernetz abitava nella zona controliala dai russi e. durante la campagna elettorale, teneva i suoi comizi Ira due ufficiali sovietici: «Io dicevo alla gente di non aver paura, ma di guardare in faccia la realtà. Noi, gli dicevo, siamo come il grano preso nella macina del mulino: dobbiamo saper essere più duri della macina».Se la neutralità trova tutti gli austriaci d'accordo (KreiskySchleinzer e Peter hanno dichiarato: «La politica estera, a Vienna, è fatto unanime, non scella di partito»), i contrasti sorgono sul modo con cui difendere questa neutralità. Karasek. ministrodegli Esteri nel governo-ombra,dicc: «I socialisti intendono 'aneulralità in senso ideologico enon solo militare; tendono acollocare l'Austria tra i Paesinon-allineati e riducono ogni an-no il bilancio delle forze armale Noi diciamo, invece, eie la dife-, „ , . , ,„ni della patria non e solo nellapolitica estera, ma anche in un forte esercito ben addestrato».La polemica non è solo strumentale. A febbraio dello scorsoanno, l'ex generale cecoslovaccoSejna riparato in Occidente dopo i fatti di Praga del '68, rivelòin una clamorosa intervista allatv viennese che lo stato magg.ore sovietico ha pronto un pianomilitare per l'immediata invasione dell'Austria, in caso di con flitto globale o di intervento del-] ll'Urss in Iugoslavia. La notizia tdel «piano Polarka» traumatizzò dgii austriaci più di quanto gli sstessi socialisti vogliono ammet-1 sterc, e la tensione per quello che j «accade al di là del confine meri- dionale, in una Iugoslavia che soffre già il suo dopo-Tilo, c mollo alta. Ma la lezione del realismo è una buona garanzia per la politica di Vienna. Czcrnclz ribatte a Karasek: «La politica estera ha un ruolo essenziale nella dilesa: evitare i pericoli d'una guerra: nessun esercito potrà mai svolgere lo stesso ruolo. Noi sappiamo comunque ■— e lo abbiamo detto all'Urss — che il di- sarmo d'ima sola parte è impossibile: la nostra libertà, lu nostra vita, il nostro futuro sono laudali sull'equilibrio degli armamenti». Osservatorio un tempo privi- cstdvdazcclegialo ed esclusivo sui fatti che ! segnano la politica del non sem pre quieto blocco comunista, og! gi Vienna scrina e analizza con la massima attenzione ogni noti-1 1 zia che giunga soprattutto da j Belgrado. Nella lunga teoria del- j le ambasciale viennesi, i discorsi tornano sempre sull'evoluzione dei Balcani e sul ruolo che l'Austria potrebbe esser costretta a sostenere nel delicato incastro «globale» che lega Usa e Urss; il confronto è sempre con il '68. e se e come la situazione sia mutala. Resta un fatto, comunque: dopo l'invasione della Cecoslovacchia da patte delle truppe del Patio di Varsavia. Dean Rusk (allora segretario di Stalo americano) lece una dichiarazione definita «segreta» ad una conferenza della Nato; disse che. sebbene gli Stati Uniti non siano legati da alcun accordo con Vienna o Belgrado, in caso d'invasione dell'Austria o della Iugoslavia le forze armate statunitensi dovrebbero intervenire, perché risulterebbe violato un «interesse nazionale» degli Usa. Son passali selle anni, da allora, e sono siali anni in cui l'A- melica ha più volle rivisto i propri impegni e dimenticato le dichiarazioni già falle. «Oggi, come sette o venti anni fa — ci di- ssonsissdrpdPgalcusvidnuck ce Erich Bielka. ministro degli Esteri austriaco — noi siamo al I p centro dei due grandi bioechi, e \ m siamo pereto estremamente sensibili a uno stato di distensione o di guerra fredda. Anche noi, naturalmente, avvertiamo la tensione con cui il mondo politico internazionale segue i fatti jugoslavi, ma forse conosciamo questo Paese nostro vicino meglio di altri, e conosciamo e ammiriamo il suo coraggio e il suo patriottismo: la Iugoslavia, non dimentichiamolo, è stato l'unico Paese che abbia fatto da solo la guerra alla Germania nazista e abbia combattuto e respinto l'occupazione straniera. Sono convinto che questo Paese così unito saprà conservare ìl suo status, il suo ruolo, la stia posizione attuale nel mondo». E' l'abile dichiarazione d'un vecchio diplomatico, che parla il codice raffinato e mimetico delle ambasciate. Dietro i riconoscimenti, gli auguri e le certezze (tutti sinceri, peraltro), c'è una fortissima preoccupazione: tanto più forte quanto più dichiarali sono quegli auguri e quelle certezze. Il «piano Polark piccolo episodio militare stru- mcntalizzaio per molivi di poli-potrà pur essere soltanto un ao o a e o o ì o n a o è : e tiea interna, ma resta — drammatica — l'incognita d'una evoluzione internazionale che gli Usa non sembrano attualmente preparati a sostenere in tutte le sue implicazioni. Oggi, forse, per la prima volta gli austriaci rintracciano le ragioni più vere di questa loro «naturale» tendenza verso Occidente: sottaciute storicamente nel passato breve di questi vent'anni. esse appaiono ora in tut- e troppo allreltalamcntc sancito dall'interesse «naziona- ; le» delle due nazioni che, alla fi- j -1 un suo termine. -1 Mimmo Candito ta la loro crudeltà, retaggio d'un 1equilibrio mondiale non mai ri- I solto e troppo affrettatamente : , ne. furono le autentiche vincili!-1 :i dell'ultimo conflitto mondiale. 11 neutralismo dell'Austria guarda, dunque, ad Occidente , mentre la realtà della geografia : segna Oriente. E' un processo di | transizione che riscopre oggi le : n,ni. -, ì ' •„.„.,,„' a: ii-.nin 1 paure e le incenezze ai_nenia lanni la. Non e un caso che, dei I grandi leader di quel mondo. Ti- j lo sia l'unico ancora sopravvis-1 sino: quando Tito morirà, que- ! n j sto processo di transizione avrà |

Persone citate: Dean Rusk, Dulles, Mimmo Candito, Molotov, Pinay, Welles